Diocesi di Adria-Rovigo
Ufficio per l’Annuncio e la Catechesi, in collaborazione
con Ufficio per la Famiglia
Educare al senso del Sacro
Itinerari educativi alla genitorialità
A cura di
Maura Bianco Vallin
Teodolinda Levi
Ermanna Pelà Lazzarin
Andrea Varliero
Educare al «senso del sacro»
«Non è un’anima, non è un corpo che si educa; è un uomo: non bisogna dividerlo in due»
(Michel de Montaigne, filosofo, scrittore e politico francese, 1533-1592)
Abbiamo fatte nostre alcune considerazioni che ci hanno orientato
nella stesura del percorso:
1. La crescita è un
processo complesso che implica uno sviluppo fisico, cognitivo, sociale,
emozionale, morale e spirituale. Necessita di continuità, sistematicità (ossia
con regolarità senza interruzioni), e sistemicità (le figure educative
condividono un progetto insieme per la crescita armonica del bambino)
2. I genitori sono i
primi educatori; sono persone con competenza (magari va fatta riscoprire per
prenderne consapevolezza). L’obiettivo da conseguire è quello dell’assunzione
di corresponsabilità, evitando deleghe o sostituzioni.
Il percorso formativo:
• Valorizza 5
annualità ( dai 6 agli 11 anni).
• Si avvale di 5
verbi generativi per annualità
• Ogni annualità
viene introdotta da un momento propedeutico.
Noi riteniamo che il momento propedeutico sia fondamentale,
non solo dal punto di vista tecnico- organizzativo, in quanto viene presentato
il conduttore – facilitatore (quando non è il catechista) e condiviso il
percorso educativo – formativo dell’annualità di riferimento, ma anche perché,
in questo incontro, viene stipulata l’alleanza educativa tra il conduttore e il
genitore. Il clima che si instaura consentirà di orientare positivamente gli incontri
successivi. Pertanto, una buona accoglienza favorirà un contesto idoneo
all’ascolto e predisporrà il genitore all’apertura come condivisione e
cambiamento. A supporto della riflessione un’opera d’arte strettamente connessa
al tema conduttore degli incontri: il simbolismo dell’immagine vuole offrire
spunti interpretativi per introdurre o concludere il momento formativo.
Isoliamo per un attimo un “verbo generativo” per vedere come
è strutturato un incontro.
1° momento:
denominato “comprensione: è la fase teorico espositiva, in cui il genitore si
pone in ascolto delle riflessioni – stimolo”; coinvolge la dimensione
antropologico –esistenziale del soggetto,
2° momento:
denominato “la vita chiama”: è la fase dell’attivazione in piccolo gruppo in un
primo momento e della riappropriazione in plenaria a seguire, in cui il
genitore è chiamato a confrontarsi con se stesso e con l’altro da sé, ponendo
in essere capacità comunicative all’interno della dinamica di gruppo. Coinvolge
la dimensione riflessivo – operativa
3° momento: fase
della “Parola in ascolto della vita” (brani evangelici del N.T. legati al verbo
generativo); coinvolge la dimensione spirituale ed etica
4° momento: fase
della “consegna educativa” (da realizzarsi in famiglia), per condividere con i
figli il percorso di crescita. La generatività del genitore raggiunge il suo
apice nell’atto educativo. Coinvolge la dimensione pedagogica.
Bibliografia di
riferimento a conclusione di un percorso formativo annuale
(da ultimo in)
Appendice: testi in prosa, poesia, preghiere… ad integrazione e arricchimento
del percorso
Si è privilegiata una metodologia variata: al momento
espositivo - discorsivo (comunicazioni, aforismi, immagini) , fa seguito il
momento applicativo (riflessioni nel piccolo o grande gruppo) nella conduzione
di ogni incontro, consentendo, in tal modo, di attivare tutte le potenzialità
dell’adulto in formazione.
Presentazione
«Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona».
(Carl Gustav Jung)
«Non guidarmi, non calpestarmi, non spingermi, non frenarmi, non superarmi.
Accompagnami».
(Fabrizio Caramagna)
Il presente strumento di lavoro vuole porsi come un sussidio
per chi ha il compito di accompagnare i genitori in un percorso di catechesi in
sintonia con il percorso del proprio figlio, quasi un camminare mano nella mano
pur con obiettivi e metodologie diversificate, ovviamente rispondenti alla
diversa maturità e sensibilità dei destinatari.
Riteniamo infatti che la catechesi di iniziazione cristiana
possa essere perseguita proficuamente se affiancata alla disponibilità da parte
dei genitori ad accompagnare i propri figli nel cammino della fede,
disponibilità che richiede da parte dei responsabili della catechesi l’impegno
di far scoprire o riscoprire la bellezza di alcuni aspetti essenziali della
fede.
Si tratta di dar vita ad una alleanza educativa fra
l’adulto-animatore e l’adulto genitore per crescere insieme in vista di una
Chiesa che sia sempre più spazio aperto e dialogante fra adulti maturi e in
grado di essere figure significative per le nuove generazioni.
Ogni scheda è suddivisa in cinque incontri mensili,
preceduti da un incontro propedeutico, che sviluppano un nucleo tematico
(parola-verbo) in correlazione con le tappe dell’iniziazione cristiana dei ragazzi.
Le motivazioni che hanno guidato l’ideazione e la
realizzazione di questo sussidio si possono così delineare:
La necessità di un
approfondimento di nuclei tematici rilevanti per la crescita umana e spirituale
di ogni persona e, nello specifico, di un genitore che si sente responsabile in
prima persona dell’educazione del proprio figlio. Sono le parole-chiave che
costituiscono il focus di ogni incontro attorno al quale si articola il primo
momento, affidato all’animatore, della comprensione, aperto alle problematiche
del mondo attuale con riferimenti supportati da Autori della cultura in
generale: poeti, scrittori, psicologi, pedagogisti, filosofi…. e dalla Parola
di Dio (l’uno e l’altro Testamento) per stimolare la riflessione, la problematizzazione,
la contestualizzazione dei contenuti che non può prescindere dalla nostra
specifica realtà territoriale, socio-culturale, geografica.
L’importanza
dell’attualizzazione che si declina nel momento La vita chiama, impostato in
una modalità perlopiù esperienziale con lo scopo di “calare” la teoria nella
vita di tutti i giorni e nell’esperienza personale di ciascuno, attingendo
anche a parabole della vita, racconti, favole, poesie, canzoni che aiutano a
far emergere quel senso nascosto e genuino delle cose che la fantasia è in
grado di raggiungere meglio di qualsiasi altro discorso.
L’attenzione alla
relazione interpersonale che si deve creare fra l’animatore e i genitori, i
genitori fra loro e i genitori con i loro figli. Un clima di accoglienza e
rispetto reciproco è alla base di ogni incontro che voglia essere produttivo.
- È il momento del
confronto in gruppo sui contenuti proposti e sulle sollecitazioni offerte ne la
vita chiama.
- Ma è anche il
momento della riappropriazione, che permette di riformulare e restituire in
plenaria quanto si è presentato nel vissuto personale e nell’approfondimento
del tema e nello scambio reciproco, in una condivisione che diventa in qualche
misura “revisione di vita”.
- E infine è anche
il momento della consegna educativa, una proposta di azioni concrete da vivere
con il proprio figlio in uno scambio di doni reciprocamente stimolante, sia
sotto il profilo relazionale e umano che spirituale.
La convinzione che
fede e vita sono reciprocamente arricchenti è la motivazione che sta alla base
del momento la vita in ascolto della Parola in cui si propone un brano della
Bibbia come un nutrimento spirituale e uno spiraglio di eternità su tutto ciò che
di più bello abbiamo nel cuore.
Indicazioni per il conduttore-formatore
Chi “anima” gli incontri, quando non si tratti di persona
già conosciuta, può avvalersi di una scaletta così costituita:
• Chi è il
formatore: nome e cognome, esperienze professionali o altro
• Qual è il mio
compito all’interno del percorso formativo?
• Come è
strutturato il percorso formativo: la struttura del percorso e degli incontri;
porre l’accento sul ruolo educativo del genitore.
Questa prima presa di contatto con l’uditorio è molto
importante in quanto costituisce “la base” dell’alleanza educativa. Si
suggeriscono semplicità espositiva, chiarezza e concretezza ( rispondere
brevemente ad eventuali domande chiarificatrici) Tempo: 7/10 minuti.
Esempio di presentazione
“Buon giorno (Buona sera) a tutti, grazie per aver accolto
l’invito di partecipare a questo percorso educativo -formativo. Io mi chiamo
(…), da molti/alcuni anni sono formatore/trice e accompagno la riflessione
all’interno di percorsi educativi rivolti ai genitori. Questa sera sono stato/a
invitato/a a presentarvi un percorso di formazione rivolto a voi. Svilupperemo
il lavoro insieme, valorizzando il vostro ruolo e la vostra competenza come
genitori. Cercheremo di confrontarci e di riflettere su alcune problematiche
relative alla “costruzione del senso del sacro” nei vostri figli, condividendo
punti di vista, difficoltà, incertezze, delusioni e forme di scoraggiamento, ma
anche gioie, emozioni, sentimenti. Accompagnare i vostri figli in questo
percorso di crescita è fondamentale: lo sviluppo di un/a bambino/a è sempre
integrale: fisico, cognitivo, sociale, emotivo e morale. Non si possono
separare o eludere questi momenti, pena un disequilibrio nella crescita.
Prenderne consapevolezza è molto importante, attivando processi di
corresponsabilità. Condividere insieme la crescita di un/a bambino/a (
genitori, educatori, catechisti…) evidenzia la sua urgenza in un tempo segnato
da incertezze, distorsioni comunicative e complessità sociale. Non possiamo
educare da soli: farlo insieme rende meno pesante e faticoso il cammino”.
Dopo aver spiegato brevemente come sarà impostata la serata
e le linee generali dell’intero percorso formativo, si può iniziare l’incontro
propedeutico, predisposto per introdurre i genitori all’interno del percorso
formativo, valorizzandone esperienze e competenze.
Buon lavoro
Il gruppo di lavoro
Primo anno
Quadro: Primi passi di Van Gogh
Introduzione – “il dilemma del porcospino”(ad uso
del conduttore del gruppo di formazione)
Il dilemma del porcospino afferma che tanto più due
esseri si avvicinano tra loro, molto più probabilmente si feriranno l’uno con
l’altro. Ciò viene dall’idea che i porcospini possiedono aculei sulla propria
schiena. Se si avvicinassero tra loro, i propri aculei finirebbero col ferire
entrambi, infatti, nella realtà, i porcospini sono animali solitari e non
soliti al branco. Questo è in analogia con le relazioni tra due esseri umani.
Il concetto è ideato dal filosofo tedesco Arthur
Schopenhauer nel suo Parerga e paralipomena, volume II, capitolo XXXI,
sezione 396. Il racconto descrive un numero di porcospini che necessitano di
accomodarsi vicino per scaldarsi e che si sforzano di trovare la distanza
giusta per non ferirsi l’un l’altro.
Il testo della parabola recita così:
“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si
strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere
assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li
costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di
riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno;
di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non
ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la
migliore posizione”.
Considerazioni operative:
Quali sono gli aspetti cognitivi, comportamentali, emotivi,
ludici e valoriali di cui deve tener conto un conduttore di gruppi di
formazione?
Come fa ad utilizzare gli interventi dei partecipanti?
Come fa ad imitare i porcospini di Schopenhauer nel mantenere
quell’equilibrio tra distanza e prossimità che consente di scaldare il cuore e
la mente, senza farsi male?
L’esempio è ricco di spunti di riflessione anche per la
coppia e la famiglia.
Ci si chiede infatti: fino a che punto si può stare vicini senza
disturbarsi troppo?
Qual è il livello di calore e di intimità di cui la persona
ha bisogno?
Che cosa è necessario fare per vivere insieme senza danneggiarsi
a vicenda?
Come trovare il modo per dare qualcosa a chi ci sta vicino,
per ricevere da lui qualcosa senza tuttavia farsi del male?
Questi quesiti indicano il problema di fondo di ogni coppia
– per il rapporto tra partner - e di ogni famiglia – per quello tra genitori e
figli: si tratta della chiave di ogni convivenza democratica, del segreto del vero
ben-essere familiare.
Mese di SETTEMBRE
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presentazione del percorso educativo/formativo
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INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: il genitore “competente”
Nell’altro non si entra come in una fortezza,
ma come si entra in un bosco in una bella giornata di sole.
Bisogna che sia un’entrata affettuosa
Per chi entra come per chi lascia entrare,
da pari a pari, rispettosamente, fraternamente.
Si entra in una persona non per prenderne possesso,
ma come ospite, con riguardo, con ammirazione,
venerazione:
non per spossessarlo ma per tenergli compagnia,
per aiutarlo a conoscersi meglio,
per dargli consapevolezza di forze ancora inesplorate,
per dargli una mano a compiersi,
a essere se stesso (Aiutare, Primo Mazzolari)
Obiettivi generali:
Trasmettere il messaggio che i genitori sono persone
competenti; tramite lo scambio e la ricerca apprendono insieme (facilitare
la ricerca personale;accompagnare in un itinerario educativo i cui protagonisti
sono i genitori)
Avviare la presa di coscienza delle proprie
risorse e competenze (valorizzazione delle singole persone e di tutto il
loro bagaglio conoscitivo ed esperienziale)
Maturare gradualmente un atteggiamento di autoconsapevolezza
dei propri ed altrui bisogni (i bisogni dei genitori e… i bisogni dei figli)
Sensibilizzare i genitori alla formazione.
Competenze:
Porsi in ascolto
dei propri e degli altrui bisogni.
Attivare modalità
comunicative consone ad un dialogo interpersonale.
Saper lavorare in
piccolo e grande gruppo.
Attuare una leadership
cooperativa.
Presentazione del percorso educativo/formativo
Introduzione a tutto il percorso educativo/formativo per
motivare le persone a parteciparvi. Nucleo centrale: perché un itinerario
con i genitori.
Il punto centrale è la valorizzazione delle singole persone
e di tutto il loro bagaglio, proprio perché si presuppongono “competenti”.
Il ruolo del “conduttore”: offrire occasioni di riflessione,
orientare e ri-orientare al dialogo, suggerire, stimolare, sostenere il
confronto con elementi conoscitivi
connessi alla crescita del/della figlio/a anche sul piano religioso.
Proposta di avvio dei momenti formativi
Accoglienza
Presentazione dell’incontro
La comprensione: Racconto di apertura
(metafora del “genitore – competente”)
L’attivazione: Proposta di lavoro nel piccolo
gruppo e scambio con il “conduttore”
La riappropriazione: Nella plenaria si
condivide quanto emerso nell’attivazione
La Parola in ascolto della vita
Consegna educativa
Tempi di attuazione
5 minuti: Accoglienza. Per entrare in relazione con l’adulto
necessario è creare il clima favorevole di reciproca conoscenza.
5 minuti: Presentazione dell’incontro per informare sul
tema, sui tempi e sulle modalità di attuazione del percorso.
5 minuti: La comprensione grazie ad un racconto di apertura,
una parabola moderna. Per coinvolgere l’adulto nel proprio ruolo educativo si
usano modalità narrative in grado di attivare la partecipazione, l’apertura,
l’ascolto di se stessi, l’attivazione delle risorse, nel rispetto della libertà
che il racconto stesso propone.
20 minuti: L’attivazione. Dal racconto si attivano domande e
dinamiche di piccolo gruppo, composto al massimo da sei membri; ogni piccolo gruppo
sceglierà al suo interno una persona in grado di coordinare e attuare la
restituzione alla plenaria.
10 minuti: La riappropriazione. Nell’assemblea plenaria si
condivide quanto emerso dai piccoli gruppi, riappropriandosi delle competenze e
consapevolezze del genitore. Il coordinatore integra e rilancia i contenuti
educativi più significativi.
10 minuti: La Parola
in ascolto della vita. Alla scuola della pagina biblica affrontiamo la sfida
educativa da una nuova prospettiva e con rinnovata fiducia e speranza, quella
del Dio- con-noi.
5 minuti: Una consegna educativa. Al genitore viene affidato
un piccolo passo educativo nella fede da compiere assieme ai propri figli.
3) La comprensione. Racconto di apertura - Il
ramo e gli occhiali
C’era una volta un giovane ramo di un grande albero. Era
nato in primavera, tra il tepore dell’aria ed il canto degli uccelli. In mezzo
all’aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti,
trascorse i suoi primi mesi di vita.
Era felice: aveva foglie bellissime e, poi, erano sopraggiunti
fiori colorati ad adornarlo e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti
gli uccelli del cielo potevano nutrirsi.
Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era Settembre… i
frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore, diventavano
sempre più pallide…addirittura, di tanto in tanto, il vento se ne portava via
qualcuna.
Venne la pioggia, e poi l’aria fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio;
non capiva cosa stesse succedendo. In pochi giorni ed in poche notti si trovò
spoglio, infreddolito, completamente solo.
Rimase così qualche tempo, fin quando capì che non poteva
far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per
poter di nuovo stare insieme a loro. “Devo darmi da fare”, disse risoluto tra
sé e sé.
Cominciò, allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici. S
rivolse dapprima al Mattino: “Sono solo ed infreddolito, ho perso tutte
le mie foglie, sai dove le posso trovare?”. Il Mattino rispose: “ Ci sono
alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro”. Si rivolse a questi
alberi: “Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le foglie, sapete dirmi dove
le posso trovare?”. Gli alberi risposero: “Noi le abbiamo sempre avute, prova a
chiedere agli alberi uguali a te”. Si rivolse ai rami spogli come lui. “Abbiamo
tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti…”, gli risposero.
Queste parole lo fecero sentire meno solo. Si disse che, se
avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il
luogo in cui si trovavano. Continuò la sua ricerca e chiese al Vento. “Io
le foglie le porto solo via, è la Pioggia che le fa crescere”, disse il Vento a
gran voce. Si rivolse alla Pioggia. “Le farò crescere a suo tempo”,
disse la Pioggia tintinnando. Si rivolse allora al Tempo. “Io so tante
cose”, gli disse con voce profonda, “il Tempo aggiusta tutto, non ti
preoccupare: occorrono tanti giorni e tante notti”. Si rivolse allora alla Notte,
ma la Notte tacque e lo invitò a riposare.
Si sentiva infatti molto stanco.
Mentre stava per addormentarsi, uno gnomo passò di là. Al
vedere quel ramo così spoglio ed indebolito dal freddo e dalle intemperie, si
fermò e, un po’ preoccupato, gli chiese cosa stesse succedendo. Il ramo gli
raccontò tutta la sua storia. Lo gnomo stette con lui. Si fermò nel suo
silenzio, lo ascoltò, sentì il suo dolore. Allora il ramo parlò
ancora e disse: “ Mi è sembrato di chiudere gli occhi, e, dopo averli riaperti,
non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle”.
Lo gnomo pensò a lungo, poi capì: si tolse gli occhiali e lì
posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per
guardare dentro di sé. Il ramo, allora, aprì bene gli occhi e… meraviglia… vide
che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa
circolare, provò ad ascoltare, guardò a fondo: era linfa, linfa viva che si
muoveva in lui.
Incredulo, disse allo gnomo ciò che vedeva. Lo gnomo gli
spiegò che le foglie, i fiori e i frutti nascono grazie alla linfa oltre che al
caldo sole, all’aria di primavera e alla pioggia.
“ Se hai linfa dentro di te, hai tutto”, gli disse, “non
occorre chiedere più nulla a nessuno, ma insieme all’acqua, alla luce,
all’aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro”.
Il ramo, immediatamente, si sentì più forte, rinvigorì:
aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere
la linfa che circolava in lui. La linfa da cui, un giorno, sarebbero rinate le
amiche foglie. (in Paola Milani, Progetto genitori, Erickson, Pagg.36-
38)
4) L’attivazione. Proposta
di lavoro
Consegna di un
foglio con alcuni stimoli che aiutino i genitori a riflettere e a rilevare le
proprie competenze e capacità. Si può
esplicitare che si tratta di mettersi a guardare un po’ dentro di sé per
trovare la propria “linfa”.
La linfa rappresenta tutte le potenzialità, le competenze,
le specificità, le capacità che ognuno di noi ha dentro di sé, ma occorre
esserne consapevoli.
Analizziamo una situazione:
Una mamma racconta: “mi devo occupare io di ogni cosa, in
quanto mio marito lavora fuori casa tutto il giorno. Ieri la mia bambina è
tornata a casa da scuola con il broncio. Le chiedo che cosa era accaduto e
lei mi risponde che la sua migliore
amica era andata con un’altra bambina e non l’aveva più degnata di uno sguardo.
Ed io, con tutte le cose che ho da fare, le ho risposto: E sei arrabbiata per
quelle cose lì!”
Riflettiamo insieme:
Come si sarà sentita la bambina? (non capita e magari
sbagliata)
Come avrebbe potuto rispondere la mamma (Capisco perché ti
senti arrabbiata. Ed ora che cosa pensi di fare? – Quindi (attraverso la
riformulazione) dare il permesso alla figlia non solo di provare sentimenti ma
anche di pensare ad una soluzione (superando l’emozione della rabbia che blocca
e paralizza.)
Pensare ad un problema fa stare male; pensare alla soluzione
fa stare meglio.
Pensi a
una situazione di difficoltà con suo/a figlio/a che si è risolta positivamente.
Si
soffermi a ricordarla. Quali delle sue caratteristiche personali (creatività,
allegria
Riflessività, capacità di dialogo e di ascolto, assertività, autocontrollo,
rispetto, disponibilità)
ha
attivato in quella situazione? (si tratta di riconoscere la propria linfa…)
Quali
strategie di comportamento da lei usate si sono rivelate efficaci?
5’- 10’ di riflessione personale e/o di coppia, eventualmente
per iscritto.
10’ – 15’ di riflessione in piccolo gruppo (a tre a sei
persone, senza spostare le sedie), per discutere sulle riflessioni personali.
5. La riappropriazione. Scambio con il “conduttore”
Si lascia un tempo per dialogare su quanto emerso nella
riflessione personale e nello scambio nei piccoli gruppi. Possono emergere
domande, considerazioni o suggerimenti personali ed esperienze. Il “conduttore”
risponde alle domande, problematizzando, riformula le considerazioni e le esperienze,
verbalizza gli stati d’animo, dialoga con le persone fino a quando non coglie
uno spunto adatto sul quale innestare delle considerazioni teoriche che
apportino a contenuti nuovi a quanto detto finora e che siano anche riassuntive
di quanto emerso dai partecipanti.
6. La Parola in ascolto della vita
13 Or alcuni gli conducevano dei bambini affinché
li toccasse; ma i discepoli li sgridavano.
14 Visto ciò, Gesù si sdegnò e disse loro:
«Lasciate che i bambini vengano a me e non li ostacolate, perché di quelli come
loro è il regno di Dio.
15 In verità vi dico che chi non accoglierà il
regno di Dio come un fanciullo, certamente non vi entrerà».
16 Quindi, prendendoli tra le braccia, li
benediceva e imponeva loro le mani. (Mc 10,13-16)
7. Consegna educativa
Offrire delle indicazioni teoriche che i genitori possono
confrontare con la loro esperienza. Due sono i nuclei fondamentali: le
competenze ed i bisogni dei genitori.
Maturare consapevolezze
Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.. il
segno della Croce. Il genitore vive ogni attimo nel nome di.. consapevolmente
Il bambino un
dono che educa
Immagine: primi
passi di Vincent Van Gogh
L’immagine propone una scena di vita familiare in un ambiente
contadino, fissando il momento del ritorno dal lavoro del padre, atteso dalla
mamma e dalla figlioletta.
Come si vede nel dipinto, la madre sorregge la bambina, non
la trattiene; è la bambina che si protende in avanti come per accennare, anche
se in modo goffo, il primo passo. E’ lei il soggetto attivo, con la gamba
alzata, che si appresta a percorrere quello spazio che la separa dal padre. Il
padre, da parte sua, la sta aspettando con gioia, a braccia aperte, che
invitano all’azione e nel contempo, sono segno di accoglienza e di
rassicurazione per il buon esito dell’azione.
Anche l’atteggiamento posturale del padre è molto importante:
non rimane in piedi ad aspettare, ma, restando accovacciato, si mette alla
stessa altezza della bambina, è nella sua prospettiva, incrocia il suo sguardo.
Il padre non si sostituisce alla bambina, non cammina al
posto suo. E’ la bambina che deve imparare a camminare!
L’atteggiamento del
padre è certamente accogliente, le sue braccia aperte sono garanzia di presa
sicura. Inoltre è la piccola, con le sue mani rivolte in alto, quasi a cercare
una forma di equilibrio, a educare il padre a diventare porto, sicuro alla fine
del suo percorso, nel tentativo di iniziare a camminare attraverso quei primi
passi.
Nella relazione con i genitori, il bambino fin dalla nascita,
educa l’adulto anche con i suoi bisogni e appelli, con il suo dare fiducia o
meglio affidandosi, facendo sperimentare il valore del dare la vita e del curarla
nel suo divenire. Per i genitori, l’assunzione di responsabilità connessa alla
nascita di un figlio, la percezione di una nuova fase dell’essere diventati
adulti, l’esperienza del donare se stessi, mediante un rapporto di cura, il
dare la vita che, concretamente viene vissuta come esperienza nuova,
tratteggiano nuovi contorni alla propria identità di genitori. In seguito il
bambino crescendo interpella l’adulto con le domande, i perché del vivere e del
morire. Questi interrogativi provocano l’adulto a trovare risposte adeguate,
approfondendo contenuti propri della fede cristiana.
Occorre anche sapere che ciò che agisce sui nostri
bambini, nell’età dell’infanzia, non sono, come si crede un po’ troppo, le
nostre lezioni e i nostri consigli, ma ciò che siamo come genitori e ciò di cui
viviamo. I nostri figli vivranno solo della nostra vita. “I figli respirano,
mangiano, bevono, la vita dei genitori. Nella misura in cui essi vivono
fisicamente, moralmente, spiritualmente, nella stessa misura i bambini cominciano
a vivere. L’educazione è una trasfusione di vita”. (Caffarel)
Anche l’immagine di Dio, nel cuore dei nostri bambini,
assomiglia a quella dei genitori ed essi imparano com’è Dio nelle virtù dei
loro genitori.
In piccolo o grande gruppo.
Che cosa vi colpisce di più in questo dipinto?
Ritornando con la memoria all’essere stati bambini, cosa vi
suscita la scena raffigurata nel dipinto?
Provate a pensare a vostro figlio/a come DONO e RICCHEZZA
della vostra vita di coppia e di adulti. In che modo dono? In che modo
ricchezza?
Percorso formativo
dei genitori: tempi e nodi tematici:
Settembre
|
Ottobre
|
Novembre
|
Gennaio
|
Febbraio
|
Marzo
|
Incontro
propedeutico
|
Attendere
|
Generare
|
Accogliere
|
Dare un nome
|
Far camminare
|
Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: IL
DONO
Bambini/e di 6 anni – classe prima - scuola primaria
|
Nucleo generativo
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atteggiamento
|
preghiera
|
Vangelo di riferimento
|
Icona biblica di riferimento
|
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
|
segno
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Gesto di carità
|
Il dono[1]
|
Ascolto[2]
|
Nel nome del Padre…
Gloria al Padre
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Vangeli dell’infanzia di Gesù
(Mt e Lc)
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La creazione; Adamo ed Eva
|
Avvento e Natale
|
Il presepe
|
Raccolta doni
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Mese di OTTOBRE
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Parola da concettualizzare: ATTENDERE
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Primo incontro. Attendere
Focus sull’incontro: dal bambino immaginato al
bambino reale
“Quando
l’orecchio si affina diventa un occhio”
(Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo)
Accoglienza
Presentazione. Attendere un figlio[3]
Diventare padri e madri significa, tra le altre cose,
considerare le profonde modificazioni che i coniugi subiscono in riferimento al
DESIDERIO di un “oggetto d’amore”, all’ATTESA del medesimo e al
loro modo di reagire dinanzi alla sua PRESENZA.
Il desiderio di un figlio comincia a prendere forma
gradualmente, a mano amano che aumenta la convinzione di aver compiuto un certo
cammino di coppia, perciò di essere pronti all’accoglienza del diverso da sé.
E’ possibile dire che le difficoltà nell’attuazione del desiderio di un figlio
mettono a dura prova la coppia che si sente già pronta a crescere nella
dimensione della parentalità. In questa circostanza, la mancanza di valori
spesso è fonte di rimproveri reciproci, di fratture emotivo – affettive, di
colpevolizzazioni vicendevoli. All’opposto, la possibilità di fare riferimento
ad un certo sistema di valori aiuta la coppia a dare senso al desiderio frustrato
e a ri-orientarlo. Circa i motivi che alimentano il desiderio di paternità e di
maternità. È difficile procedere ad una classificazione: troppe sono le
variabili psicologiche, culturali, sociali coinvolte.
L’attesa di un
figlio è un periodo nel corso del quale i sentimenti e le sensazioni
s’intensificano oltre misura: in questo tempo matura il senso della paternità e
della maternità. Nel periodo dell’attesa si delineano ulteriori differenza tra
l’uomo-padre e la donna-madre. Per il primo l’attesa e fatta di attenzione
prevalentemente razionale per quanto avviene e
sta per accadere: egli è più attento ai valori sociali, pubblici, di
sicurezza materiale. Per la seconda, l’attesa è contraddistinta soprattutto da
sensazioni fisiche ed emotivo – affettive, a cui seguono quella razionali. La
presenza del figlio si traduce nell’incontro dei genitori con il “tu”
sconosciuto, con il mistero della vita svelatosi alla coppia, la quale cosa
procura spesso un senso di smarrimento e di meraviglia per quanto è dato di
vivere.[4]
Quello in oggetto è il momento in cui la funzione educativa del padre e
della madre comincia delinearsi, in cui l’alfabeto relazionale della coppia
compone le prime parole e frasi, avviando il processo di strutturazione della
comunicazione educativa con il figlio. I valori dell’autorità,
dell’amore, dell’attenzione, del dono, della cura disinteressata, del sostegno
diventano elementi quotidiani con i quali misurarsi e che, a loro volta,
esigono il riferimento ai valori morali e religiosi assunti dai coniugi.
Nel processo di apprendimento della funzione paterna e
materna, acquista un’importanza fondamentale la dinamica educativa della
coppia. Attraverso il legame coniugale il padre precisa la propria funzione
educativa in termini di rappresentante della categoria dell’alterità. Così
facendo, sin dai primi momenti di vita del figlio suscita in quest’ultimo,
rispetto alla “pienezza” dell’esperienza con la madre, il desiderio di
ampliamento del raggio esperienziale e dei significati esistenziali, mentre al
tempo stesso lo sospinge ad accettare e a comunicare con “il diverso da sé”.
Per il suo presentarsi come “altro” rispetto alla figura della madre, egli si
mostra non solo colui che “taglia il cordone ombelicale” favorendo
l’avviarsi del processo di conquista dell’autonomia del figlio, ma anche e
soprattutto come colui che compie una mediazione educativa dell’esperienza
filiale, ossia come adulto capace di accostare convenientemente il minore a
contenuti e a spazi conoscitivi ignorati. In quanto rappresentante
dell’alterità, capace di ristrutturare il legame tra madre e figlio, il padre
può essere concepito come figura educativa che si contraddistingue soprattutto
per la dimensione della socialità. In riferimento a ciò, l’osservazione
del divenire delle relazioni educative familiari permette di distinguere “una
paternità sociale” che si esplica all’interno della famiglia[5] ed
una che si manifesta nel contesto extradomestico.
Durante l’infanzia l’adulto, a cominciare dai genitori,
possiede un’autorità naturale che non ha bisogno di argomenti, in quanto vi è
una differenza sostanziale tra l’adulto e il bambino che gli conferisce
influenza e “potere” sul figlio (statura psicologica). Durante
l’infanzia l’adulto è visto come il detentore del sapere, è a lui che si chiede
cosa è vero e cosa è giusto, lui solo possiede, insieme ai segreti della
sessualità, la capacità di pensare le cose difficili e complicate (Per lo meno
così sembra ai bambini; con l’adolescenza questo potere viene meno e, di
conseguenza, i rapporti di “forza” sono messi in discussione e tendono a
invertirsi, perdendo le sue fondamenta naturali)
3) L’attivazione. La vita chiama (in
piccolo gruppo)
Anche dopo la nascita del figlio, la vita dei genitori è una
continua attesa: della prima parola, del primo dentino, del primo giorno di
scuola, che sia autonomo, che sia una persona responsabile, che segua i nostri
valori, che trovi il suo posto nella società…
E’ un’attesa lunga ed è accompagnata da ansia, trepidazione,
gioia, soddisfazione, speranza, disillusione, crisi, lasciare andare – tenere
vicino, fiducia – prudenza…
E’ il tempo più difficile, perché nessuno ci insegna ad
essere genitori, è l’amore a guidarci, ma anche a metterci alla prova. Gli
errori nostri, come genitori, sono all’ordine del giorno e…beati i genitori che
si accorgono di aver sbagliato e cercano di porre rimedio. A volte si sbaglia
in buona fede, per troppo amore, per troppa solerzia, per troppo zelo, per
troppe aspettative, perché ci sostituiamo a loro, anche in cose che sappiamo
sanno fare da soli e…per mille altri motivi.
Bisognerebbe apporre un cartello sopra ogni bambino con su
scritto:
“Maneggiare con cura, contiene sogni” (A. Badiale)
Le risorse – strumenti dei genitori sono: pazienza, fiducia,
esserci, cura, rispetto, potenziare, incoraggiare, credere, pregare, attendere…
C’è una canzone di qualche anno fa che può aiutarci ad avere
l’atteggiamento giusto: “Quando cammino fra la gente”. In particolare c’è una
frase illuminante: “A volte però mi fermo, perché la strada è faticosa.
Allora anche Lui si siede laggiù e mi aspetta sorridente”. Notare
l’atteggiamento benevolo di Gesù, che diventa icona e che ci può essere di guida
nei nostri momenti di attesa. Gesù non è in piedi impaziente, irritato dal
nostro arrancare, non ci spinge, non ci strattona, non è arrabbiato, ma…è
seduto e sorridente, cioè rispettoso dei nostri tempi, della nostra fatica; è
anche incoraggiante col suo sorriso, fa il tifo per noi, crede in noi, sa
infondere forza e nuovo vigore.
Attendendo nostro figlio, quali emozioni ho vissuto?
Quali sentimenti ho provato? Quali paure e sogni?
Quali attese vivo ora nei confronti di mio figlio/a?
“Non dare a tuo figlio quello che a te è mancato… che
riflessione mi provoca questa frase?
D – La Parola in ascolto della vita:
25 Ora, c'era in Gerusalemme un uomo chiamato
Simeone: era un uomo giusto e pio e aspettava la consolazione di Israele e lo
Spirito Santo era su di lui. 26 Anzi, dallo Spirito Santo gli era
stato rivelato che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore.
27 Andò dunque al tempio, mosso dallo Spirito; e mentre i genitori
portavano il bambino Gesù per fare a suo riguardo quanto ordinava la legge, 28
egli lo prese tra le braccia e benedì Dio, dicendo:
29 «Ora, o Signore, lascia che il tuo servo se ne
vada in pace secondo la tua parola,
30 perché i miei occhi hanno visto la tua
salvezza 31 che tu hai preparato davanti a tutti i popoli;
32 luce che illumina le genti e gloria del tuo
popolo, Israele».
33 Ora, suo padre e sua madre rimasero
meravigliati di quanto era stato loro detto di lui.
34 Simeone li benedì e a Maria, sua madre, disse:
«Ecco, egli è posto per la caduta e per la risurrezione di molti in Israele e
come segno di contraddizione,
35 sicché una spada trapasserà la tua anima, affinché
vengano svelati i pensieri di molti cuori».
36 Vi era anche una profetessa, Anna, figlia di
Fanuèle, della tribù di Aser, molto avanzata in età, che era vissuta con suo
marito sette anni dopo la sua verginità.
37 Rimasta
vedova e giunta all'età di ottantaquattro anni, non lasciava mai il tempio e
serviva Dio giorno e notte, con digiuni e preghiere.
38 Arrivò
essa pure in quella stessa ora e rendeva grazie a Dio e parlava del bambino a
tutti quelli che aspettavano la liberazione di Gerusalemme. (Lc 2,25-38)
Nel tempo dell’Avvento ci prepariamo a rinnovare
l’attesa di un DONO: il dono che Dio ha fatto all’umanità:
Ha pensato a noi
Ha deciso di stare con noi.
E’ entrato in intimità con noi
Ci ama e ci cerca per primo
Vuole insegnarci come amare per essere felici
Vuole essere accolto perché la nostra vita sia piena,
abbia significato.
L’Epifania, “manifestazione” del Signore.
“Ogni bambino che nasce, ogni umano che viene al mondo deve
apparire con la dignità di un re; come un fratello o una sorella che attende da
noi il nostro oro (ciò che abbiamo), il nostro incenso (il
profumo sprigionato dalla nostra presenza), la nostra mirra (ciò
che sappiamo sacrificare di noi stessi, spendendo la vita per l’altro)”
(in Enzo Bianchi, epifania de Signore, 6 gennaio 2019)
E – Decisione:
Pensare un dono da dare….agli altri.(la logica del
possesso deve cedere il passo alla logica del dono)
Preparare un dono da preparare e donare. Tensione positiva
della sorpresa
Mese di NOVEMBRE
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Parola da concettualizzare: GENERARE
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SECONDO INCONTRO: GENERARE all’esistenza
Accoglienza
Presentazione: focus: accompagnare il/la bambino/a a
diventare “se stesso/a”
“Genealogia di Gesù
Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò
Isacco,(…)Giacobbe generò Giuseppe,
lo sposo di Maria,
dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo”
(Mt 1, 1…16)
“Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Infatti il bambino che
è generato in lei viene dallo Spirito Santo”
(Mt 1,20)
3) La comprensione La generatività dell’adulto[6]
Diventare adulti
significa: evolvere in uno stadio della vita, caratterizzato da: una carriera
lavorativa, una relazione stabile, un futuro più certo.[7] L’età
adulta, sostengono gli studiosi di scienze umane, è il risultato di un “continuum”.
L’essere umano è, costantemente alla ricerca della propria identità
personale (comprendere chi sono? Che cosa voglio? Quali
sono i miei valori, le mie credenze? Quali sono i veri propositi nelle
scelte della vita? Si giunge all’ “essere adulto” dopo aver superato i
molteplici problemi dell’esistenza (definiti da Erikson, crisi evolutive,
che sono il risultato di una
maturazione, in armonia con l’insieme delle attese che la società ha nei
confronti dell’individuo). Erik Erikson pone l’adulto al settimo (7°)stadio
delle fasi evolutive psico – sociali (l’ultimo, l’ottavo è la senilità) e gli
assegna la funzione della GENERATIVITA’,(il suo opposto è la STAGNAZIONE =
immobilità, inutilità) che è “ la capacità propria della persona adulta di uscire
da una concezione narcisistica, individualistica, tesa a concentrare le
energie mentali e le preoccupazioni su di sé per potersi dedicare e prendere
cura dell’altro”[8]nel
senso di “dare la vita”, non esclusivamente in senso biologico, ma offrire un
contributo anche per educare le nuove
generazioni.
2 – La generatività di una comunità
Allora, si può parlare di GENERATIVITA’ SOCIALE, che è quell’azione
trasformativa diretta ad uno scopo liberamente scelto, rispettosa del
contesto e aperta al futuro.
Per Mc Adams la generatività è un valore, in quanto è
diretta ad offrire e trasmettere ciò che meglio si produce; è un atteggiamento
per la vita, in quanto si tende a riconoscere se stessi come anello della
sequenza generazionale.
Papa Francesco in “Amoris Laetitia”cap. settimo Rafforzare
l’educazione dei figli (263 – La formazione etica dei figli) ci ricorda che
“Lo sviluppo affettivo ed etico di una persona richiede un’esperienza
fondamentale: credere che i propri genitori sono degni di fiducia. Questo
costituisce una responsabilità educativa: con l’affetto e la
testimonianza generare fiducia
nei figli, ispirare in essi un amorevole rispetto.”[9]
Ancora, al paragrafo 272 in “Paziente realismo”, asserisce
che “La formazione etica a volte provoca disprezzo dovuto a esperienze di
abbandono, di delusione, di carenza affettiva, o ad una cattiva immagine dei
genitori. Si proiettano sui valori etici le immagini distorte delle
figure del padre e della madre, o le debolezze degli adulti. Per questo
bisogna aiutare i bambini a mettere in pratica l’analogia: i valori sono
compiuti particolarmente da alcune persone molto esemplari, ma si realizzano
anche in modo imperfetto e in diversi
gradi”.
Per il sociologo Mauro Magatti è un’azione trasformativa
che rende le persone capaci di gestire una libertà che non è consumo
individualizzato ma opera relazionale (nella famiglia, nella realtà
associativa, nella comunità locale). Essa ricombina, riarticolandole , le
categorie dell’innovazione (geniale) e della sostenibilità (gratuità, generosità).
Papa Francesco in “Amoris Laetitia”cap. settimo Rafforzare
l’educazione dei figli (261 – Dove sono i figli?) afferma….”non si può
avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi….
Si tratta di generare processi più che dominare spazi… Quello che
interessa principalmente è generare nel figlio, processi di maturazione
della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione
dell’autentica autonomia.”
La generatività è un dono;
implica la disponibilità a sopportare la fatica, la disponibilità a
spendersi per qualcosa di buono e di vero. Rimanda e riassume i concetti di fedeltà
e fiducia, di affettività e desiderio, di sensibilità e
sostenibilità (premura verso l’essere umano), di resistenza e sacrificio
(l’adulto non si scoraggia, non si arrende).
C’è bisogno di generatività, c’è bisogno di adulti. E’
necessario riorientare la direzione. (Alcuni autori parlano di scomparsa
dell’infanzia, di bambini – adulti; v. Neil Postman, “La scomparsa
dell’infanzia. Ecologia delle età della vita).
Il disagio vissuto da persone e comunità rivela i sintomi
di una STAGNAZIONE assimilabile a quella descritta da Erikson, come sofferenza,
sradicamento, mancanza di senso dell’esistenza e della vita.
Occorrono azioni generative: nel lavoro, nella famiglia
(come cura di relazioni, promozione di socialità) nella comunità,
nell’economia civile, nel welfare.
L’attivazione: (in piccolo o grande gruppo)
Obiettivo: stimolare la discussione ed il
confronto circa i propri valori e le proprie regole di vita
Proposta:
Accanto al generare biologico c’è il generare esistenziale,
al senso della vita. E’un cammino difficile che richiede impegno, generosità,
attenzione, promozione umana e spirituale.
Nel Vangelo di Giovanni (10,10) troviamo scritto “Sono
venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Essere “datori di
vita” per nostro figlio significa anche assumere atteggiamenti, prendere
decisioni che gli “danno vita” cioè fare in modo, nei limiti delle nostre
possibilità, che nostro figlio si realizzi pienamente, abbia la gioia di
vivere, sia contento di essere se stesso.
Allora potrei chiedermi:
Le mie scelte portano vita?
Fanno emergere tutto il suo potenziale?
Il mio rapporto con lui fa crescere il suo rapporto con gli
altri e con Dio?
Quali atteggiamenti “danno vita”?
Mi hai deluso.
Non sei capace.
Sono orgoglioso di te
Andiamo insieme a Messa.
Vai a messa, mentre io, intanto, faccio altre cose.
Sii furbo, almeno non farti scoprire!
Sii geloso delle tue cose e non prestarle.
Puoi parlare, se vuoi: ti ascolto.
Facciamo insieme una sorpresa alla mamma (al papà)?
Metti in ordine, altrimenti la mamma “sclera” (sbraita)
Mettiamo in ordine così la mamma sarà contenta
(riformulazione)
Ho fiducia in te
Mi piace stare con te
Quando ti senti più infelice.
Mi piaci come sei
Per che cosa vogliamo ringraziare Dio?
C – La riappropriazione (restituzione
in plenaria con il conduttore)
Condividete con il gruppo, facendo emergere
nell’argomentazione gli elementi di significatività.
D – In ascolto della Parola:
19 Il suo sposo Giuseppe, che era giusto e non
voleva esporla al pubblico ludibrio, decise di rimandarla in segreto. 20
Ora, quando aveva già preso una tale risoluzione, ecco che un angelo del
Signore gli apparve in sogno per dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria, tua sposa: ciò che in lei è stato concepito è
opera dello Spirito Santo. 21 Darà alla luce un figlio, e tu lo
chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22 Tutto ciò
è accaduto affinché si adempisse quanto fu annunciato dal Signore per mezzo del
profeta che dice: 23 Ecco: la vergine concepirà e darà alla luce un
figlio che sarà chiamato Emmanuele,
24
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore
e prese con sé la sua sposa;
25 ma non
si accostò a lei, fino alla nascita del figlio; e gli pose nome Gesù. (Mt 1,19-25)
Consegna educativa: seme/bulbo da coltivare insieme
Mese di GENNAIO
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Parola da concettualizzare: ACCOGLIERE
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Terzo incontro. Accogliere
Sviluppo della tematica: ACCOGLIERE l’altro nella
mia vita
Accoglienza
Presentazione/Focus: accogliere se stesso e l’altro da sé
(coniuge, figlio/a)
Comprensione
1 - Una parola, un
significato
Accogliere (etimologia latina: accolligere, da colligere
=cogliere, raccogliere; a sua volta composta da: co = insieme e lègere
=raccogliere).
L’accoglienza è un’apertura: ciò che viene raccolto o
ricevuto viene fatto entrare – in una casa, in un gruppo, in se stessi.
Accogliere vuol dire mettersi in gioco, e questo esprime una sfumatura
ulteriore rispetto al supremo buon costume dell’ospitalità – che appunto può essere anche solo un buon costume.(v.
appendice). Chi accoglie rende partecipe
di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l’altro diventando un
tutt’uno con lui.
Il primo passo
per accogliere veramente significa fare spazio dentro di noi, comporta un
avvicinarsi deciso e nello stesso tempo delicato all’altro che percepiamo
essere fragile o nel bisogno. L’accogliere quindi conduce a farsi vicini, a non
essere freddi e insensibili, a non aspettare necessariamente che l’altro “bussi”
alla mia porta di casa. L’accoglienza si realizza dove al centro c’è la persona
da accogliere e non il mio desiderio di sentirmi a posto per offrirgli qualcosa.
Naturalmente accogliere significa davvero essere disposti a “patire” e a “gioire”
con e per l’altro.
2 - L’accoglienza
autentica crea una relazione.
L’altro non è un “utente”,
anzi diventa “compagno” (colui con il quale si condivide il pane e non solo).
Accogliere implica diventare responsabile della persona. Ogni volta che
accogliamo qualcuno la nostra vita cresce e ci rendiamo conto – prima di ogni
altro riferimento – che siamo fratelli in umanità. Accogliere non è
mai allora condannare, ma aiutare e sostenere la persona perché migliori
facendo il suo personale cammino di rinnovamento e di riparazione. Oggi
accogliere richiede «fare strada insieme» all’altro. Le diverse debolezze
psicologiche e relazionali di tanti esigono maggiore capacità di attenzione e
di concreta disponibilità. L’accoglienza si deve declinare nell’incoraggiare e
motivare l’altro ad essere fiducioso nelle sue potenzialità e aperto alle sfide
che l’esistenza quotidiana ci mette davanti.
3 - La segnaletica del Calvario
Miei cari fratelli, sulle grandi arterie, oltre alle frecce
giganti collocate agli incroci, ce ne sono ogni tanto delle altre, di piccole
dimensioni, che indicano snodi secondari. Ora, per noi che corriamo distratti
sulle corsie preferenziali di un cristianesimo fin troppo accomodante e troppo
poco coerente, quali sono le frecce stradali che invitano a rallentare la corsa
per imboccare l'unica carreggiata credibile, quella che conduce sulla vetta del
Golgota?
Una di queste è la freccia dell'accoglienza. E' una deviazione
difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta dritto al cuore del
Crocifisso. Accogliere il fratello come un dono. Non come un rivale. Un
pretenzioso che vuole scavalcarmi. Un possibile concorrente da tenere sotto
controllo perché non mi faccia le scarpe. Accogliere il fratello con tutti i
suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del
nostro egoismo: la sua carta d'identità! Si, perché non ci vuole molto ad
accettare il prossimo senza nome, o senza contorni, o senza fisionomia. Ma
occorre una gran fatica per accettare quello che è iscritto all'anagrafe del
mio quartiere o che abita di fronte a casa mia. Coraggio! Il Cristianesimo è la
religione dei nomi propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non degli
ectoplasmi. Del prossimo in carne ed ossa con cui confrontarsi, e non delle
astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi (Tonino
Bello)
Attivazione/la vita chiama: (in piccolo o grande
gruppo)
In Thailandia, se un bambino strepita, la mamma sorride e
gli dice: “Non capisco, non sento niente. Che peccato! Prova a dirmi le cose
sottovoce!”
Anche per noi genitori l’inserimento dei figli a scuola è
un’occasione importante per socializzare con altre coppie, altre famiglie.
Socializzare inteso come entrare in relazione abbastanza
stretta, perché accomunati dalle medesime vicende legate ai nostri figli.
Quante occasioni di accogliere e accoglierci abbiamo:
Passare le informazioni.
Portare i compiti a chi è assente.
Permettere a nostro figlio di fare i compiti assieme ad un
compagno di scuola.
Dare un passaggio in auto a bambini che abitano nella stessa
via.
Condividere la merenda con chi l’ha dimenticata o non ce
l’ha.
Provate ad individuare in quali altri modi potete rendere
concreto il verbo ACCOGLIERE. Saranno tutte opportunità che vi
permetteranno di conoscervi di più tra famiglie, di instaurare nuove amicizie,
di essere segno e modello per i vostri figli.
C – La riappropriazione (restituzione
in plenaria con il conduttore)
D – In ascolto della Parola
8 In quella stessa regione si trovavano dei
pastori: vegliavano all'aperto e di notte facevano la guardia al loro gregge.
9 L'angelo
del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce: essi
furono presi da grande spavento.
10 Ma
l'angelo disse loro: «Non temete, perché, ecco, io vi annunzio una grande gioia
per tutto il popolo:
11 oggi,
nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è il Messia Signore.
12 E
questo vi servirà da segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in
una mangiatoia».
13 Subito
si unì all'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio così:
14 «Gloria
a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
15 Appena
gli angeli si furono allontanati da loro per andare verso il cielo, i pastori
dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme a vedere quello che è accaduto e
che il Signore ci ha fatto sapere».
16
Andarono dunque in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva
nella mangiatoia.
17 Dopo
aver veduto, riferirono quello che del bambino era stato detto loro.
18 Tutti
quelli che udivano si meravigliavano delle cose che i pastori dicevano loro.
19 Maria,
da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole in cuor suo.
20 I
pastori poi se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che
avevano udito e visto, come era stato detto loro. (Lc 2,8-20)
Consegna educativa
Abbracciare. Recitare la preghiera del Padre Nostro
tenendosi per mano
Mese di FEBBRAIO
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Parola da concettualizzare: DARE UN NOME
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QUARTO INCONTRO
Sviluppo della tematica:
DARE UN NOME
Il nome
è una moneta preziosa:
per le cose da poco non la spendere,
per oro e per argento non la vendere,
tienila sempre da conto
ma per le cose grandi
a gettarla sii pronto.
è una moneta preziosa:
per le cose da poco non la spendere,
per oro e per argento non la vendere,
tienila sempre da conto
ma per le cose grandi
a gettarla sii pronto.
(G. Rodari)
1) Accoglienza
2)
Presentazione/Focus: Prendere coscienza del valore di “dare un
nome” e di “essere un nome”. Il nome è rivelatore della persona
3) Comprensione:
A.1 - Il valore del
nome
Per la nostra
cultura occidentale il nome serve solo a identificare una persona presso
l’anagrafe civile, ma per gli ebrei e per la Bibbia era qualcosa di ben più
importante. Il nome per gli ebrei presentava l’essenza stessa della
persona, la sua natura, la sua forza, la sua attività. Per la Bibbia, chi
non ha un nome non esiste.
Sono tante infatti
le espressioni della Bibbia che rivelano questa valenza forte del nome: «Hai minacciato le nazioni, hai sterminato il
malvagio, il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre» (Sal 9,6). E ancora: «Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome
dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi
angeli» (Ap 3,5).
Nella Bibbia dunque
il nome agisce come se avesse una forza propria, può stare a sé come sinonimo
della persona. Allora dare un nome ad una persona che viene alla vita vuol
dire in qualche modo creare un’entità nuova, estraendola dall’indefinito e
identificandola in quanto persona unica e irrepetibile, come Dio l’ha pensata
dall’eternità: «Prima di
formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto».
Dare un nome alle cose significa farle esistere, donare loro
un volto e quindi gettare una luce nuova sul loro essere.
«Tu mi hai detto: Io ti conosco per nome e tu
hai trovato grazia ai miei occhi» (Es 33,12). Questa espressione
pronunciata da Mosè a Dio in un momento di difficoltà del lungo peregrinare nel
deserto a capo
del popolo di Israele, ci suggerisce che il nostro nome è
prima di tutto nella mente e nel cuore di Dio. Ogni nome racchiude una vocazione: dovunque
siamo chiamati, la nostra vita consisterà .in questo mettere
continuamente “il nostro nome nel Nome”, anche nelle
circostanze più semplici e quotidiane. Ad ogni nome corrisponde un
mistero di vita che è il SOGNO DI DIO.
Nella Sacra
Scrittura l’attribuzione di un nome segna momenti importanti della storia del
popolo di Israele o della storia di un singolo personaggio biblico. A volte è
Dio stesso ad assegnare un nome come per Ismaele (Gen 16,11) e Isacco (Gen
17,19) oppure a cambiarlo come per Abramo «Non ti chiamerai più Abram, ma ti
chiamerai Abramo» (Gen 17,5); per Sara «Quanto a Sarài tua moglie, non la
chiamerai più Sarài, ma Sara» (Gen 17, 15); per Giacobbe «Non ti chiamerai più
Giacobbe, ma Israele…» (Gen 32, 29).
In ogni caso il nome
indica una novità: per i nascituri una nuova vita, nel caso dei patriarchi una
storia nuova, segnata da una più intensa relazione con Dio.
Anche nella Nuova
Alleanza il cambiamento del nome assume un significato rilevante, basti pensare
a Simone a cui Gesù attribuisce il nome di Pietro pensando alla sua futura missione
di roccia su cui avrebbe edificato la sua Chiesa oppure a Paolo la cui storia è
legata al cambiamento del nome: il
persecutore dei cristiani, Saulo, nome regale che discendeva del re Saul,
diventa Paolo, dal latino paulus, piccolo, di poco conto. Dal regale
all’infimo, dalla grandezza alla piccolezza: lui stesso nella prima lettera ai
Corinzi (15, 9) si definisce: «il più piccolo tra gli apostoli». La sua grandezza diventa,
dopo la conversione sulla via di Damasco, l’annullamento del suo io per far vivere
in sé Cristo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
Non sarebbe male recuperare
questo significato forte del nome nel momento in cui i genitori devono
scegliere per il proprio figlio. Anzichè lasciarsi guidare dalla moda o da
preferenze del momento si potrebbe dare un nome che racchiude una storia, una
missione, il sogno di una vita che può diventare anche realtà.
A.2 -La scelta del nome
Allora scegliere il nome di un bambino che viene al mondo
non deve essere allora un fatto casuale, affidato al gusto dei genitori o, al
più, motivato da certe tradizioni familiari. Con difficoltà noi moderni
percepiamo il valore augurale del nome (cui gli antichi erano molto sensibili),
e ancor meno percepiamo - racchiuso in esso - il mistero irripetibile della “persona”.
Comunque, una volta
che il nome è stato scelto e assegnato, accade anche per noi una sorta di
miracolo: quel piccolo essere esce dall’anonimato, può essere “chiamato”, ci si
può rivolgere a lui con determinazione, come se egli avesse finalmente un
volto. E quel nome ci diventa caro come colui/colei che lo porta, significa sempre
avere un’intimità con lui/lei, godere di una conoscenza profonda e
determinante, di un certo possesso perfino.
Pronunciare il nome
di una persona ha un valore immenso, è come se le dicessimo:
Grazie di esserci
Per me il tuo volto è unico
Sei insostituibile
Attivazione: La
vita chiama: (in piccolo o grande gruppo)
Consegnare il testo
della canzone:
Avevi
scritto già il mio nome lassù nel cielo
Avevi
scritto già la mia vita insieme a te
Avevi
scritto già di me
Nel mare del silenzio una voce si
alzò
Da una notte senza confini una
luce brillò
Dove non c’era niente quel giorno.
E quando hai disegnato le nubi e
le montagne
E quando hai disegnato il cammino
di ogni uomo
L’avevi fatto anche per me.
Se ieri
non sapevo oggi ho incontrato te
E la mia
libertà è il tuo disegno su di me
Non
cercherò più niente perché…tu mi salverai.
Riflettere personalmente (5-10 minuti)
Che cosa ti suggerisce questo testo?
Quali motivazioni hanno ispirato la scelta del nome di
vostro figlio?
Riflettere sul fatto che il nome indica una vocazione, un
destino, una missione, ma non siamo noi genitori ad assegnarli.
C – La
riappropriazione
Si dialoghi su quanto emerso nella riflessione personale e
nello scambio nei piccoli gruppi. Possono emergere domande, considerazioni o
suggerimenti personali ed esperienze. Il “conduttore” risponde alle domande,
problematizzando, riformula le considerazioni e le esperienze, verbalizza gli
stati d’animo, dialoga con le persone fino a quando non coglie uno spunto
adatto sul quale innestare delle considerazioni teoriche che apportino a
contenuti nuovi a quanto detto finora e che siano anche riassuntive di quanto
emerso dai partecipanti.
6. La Parola in ascolto della vita
26 Al sesto mese Dio mandò l'angelo Gabriele in
una città della Galilea chiamata Nazaret,
27 ad una
vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide: il nome della
vergine era Maria.
28 Entrò
da lei e le disse: «Salve, piena di grazia, il Signore è con te».
29 Per
tali parole ella rimase turbata e si domandava che cosa significasse un tale
saluto.
30 Ma
l'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
31 Ecco,
tu concepirai nel grembo e darai alla luce un figlio. Lo chiamerai Gesù.
32 Egli
sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il
trono di Davide, suo padre,
33 e
regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà mai fine».
34 Allora
Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?».
35
L'angelo le rispose: «Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la potenza
dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra; perciò quello che nascerà sarà
chiamato santo, Figlio di Dio.
36 Ed
ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia,
e lei che era ritenuta sterile è già al sesto mese;
37 nessuna
cosa infatti è impossibile a Dio».
38 Disse
allora Maria: «Ecco la serva del Signore; si faccia di me come hai detto tu». E
l'angelo si allontanò da lei.
(Lc 1,26-38)
7. Consegna educativa
Il nome è importante, ci identifica, ci differenzia dagli
altri, ci accompagna per tutta la vita.
Sarebbe bello far conoscere al figlio il perché della scelta
di quel nome, proprio per lui.
Cercare insieme il significato etimologico del nome.
Cercare insieme la vita di un santo che porta il suo nome.
Mese di MARZO
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Parola da concettualizzare: FAR CAMMINARE
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QUINTO INCONTRO
Sviluppo della tematica: FAR CAMMINARE
“La caratteristica più
importante dell’essere genitori
è fornire una base sicura da cui un bambino…possa
partire
per affacciarsi al mondo esterno, a cui possa ritornare
sapendo per certo che sarà il benvenuto,
nutrito sul piano fisico ed emotivo,
confortato se triste, rassicurato se spaventato
(J.Bowlby, 1988,p.10)
“I figli hanno tutto, ma mancano dell’essenziale”(V.
Frankl)
“I giovani hanno bisogno del Bello, del Bene, del Vero;
allontaniamo dalla polis chi non riesce a farlo”(Platone)
Accoglienza
Presentazione/Focus focus: far crescere il/la proprio/a
figlia/a
La comprensione:
A.1 – Introduzione
Il cammino (il viaggio) è la metafora dello spostamento, del
divenire, che non è solo fisico, ma anche psicologico, spirituale, ossia
esistenziale. Ogni cammino, anche senza salita, riserva delle difficoltà,
previste o impreviste. E’ nella logica dell’essere umano far fatica, aggiustare
le scelte, ponderare i cambiamenti. Non esiste un cammino lineare. Ed è per
questo che, sul piano educativo, i genitori, per primi, e a seguire tutti gli altri
adulti, con cui il bambino si relaziona, dovrebbero accompagnarlo affinché
diventi autenticamente persona.
A.2 –il ruolo dei
genitori
Ogni genitore dovrebbe trasmettere principalmente ai propri
figli autonomia, autostima e capacità di costruire e mantenere
rapporti significativi (sociali, amicali, di intimità, di amore,…). Questi
tre cardini costituiscono la condizione necessaria per la sopravvivenza della
specie umana: autonomia vuol dire farcela da soli, non dipendere da altri per
vivere (nel nostro caso è la capacità di darsi regole da soli; concetto diverso
dall’eteronomia che risulta essere la capacità di acquisire regole con l’aiuto
di altri); l’autostima è la competenza necessaria per credere in se stessi, per
prendere iniziative, per provare desideri, per realizzarsi; la socialità
rappresenta la dimensione in cui è possibile conoscere l’altro, incontrarsi,…
Autonomia, autostima, socialità, sicurezza e molti
altri aspetti della personalità si costruiscono attraverso un
continuo scambio comunicativo con i figli caratterizzato da atteggiamenti e
modi di essere adeguati, continui, accoglienti e autorevoli. Il modo in
cui entriamo in contatto con loro fin dal giorno della loro nascita assume
dunque un’importanza cruciale. Si tratta di acquisire il più precocemente
possibile un modello educativo, un modo di essere e di stare con i figli
empatico, autorevole, disponibile, cioè una relazione educativa
caratterizzata costantemente da ascolto, contenimento(in grado di dare
regole e porre limiti) e tempo significativo da dedicare. I
bambini hanno assolutamente necessità di regole e limiti non per essere puniti
(la punizione non deve essere considerata un’ azione repressiva, ma un atto
teso a ristabilire il buon funzionamento delle relazioni) o semplicemente per
riconoscere il potere dell’adulto, ma per modulare lo scambio tra l’ambiente
esterno e il proprio mondo interiore così complesso. Tale bisogno di
regole, indicazioni e contenimento non
appartiene solamente ai bambini, ma anche ai figli più grandi il cui mondo
interiore, con la crescita, tende a diventare ancora più complesso e irto di
difficoltà.
Il clima familiare migliore è quello improntato ad affetto
e reciproco rispetto. I figli di genitori affettuosi, solleciti e
disponibili crescono meglio, hanno un’autostima più alta e facilità nei
rapporti sociali. I bambini cresciuti in un clima “freddo” o addirittura ostile
sono soggetti a insicurezza e depressione. Ancor più pericoloso è
l’atteggiamento noncurante o indifferente, che produce nei figli
disorientamento, umiliazione o rabbia (dove l’educazione manca il pericolo non
è l’ignoranza, ma la possibilità di influenze deleterie che l’individuo subisce
passivamente perché non possiede gli strumenti per arginarle).
I figli vanno messi nelle giuste condizioni di fare
responsabilmente i figli, senza pretendere da una parte di essere sempre
accontentati o dall’altra di essere ignorati, quando sono portatori di
legittime richieste. I ruoli non vanno mai confusi e ribaltati, perché
il disorientamento aumenta in modo vertiginoso. Il genitore, quale adulto
significativo, spiega le motivazioni di una o più scelte e con le
relative conseguenze, educa i figli ad accettare quei “sì” e quei “no” che li
aiuteranno a crescere, a riflettere. Se tutto è ammesso, se non c’è più
differenza fra il”bene” e il”male”, tra vero e falso, tra giusto e sbagliato,
diventa difficile tutto: insegnare, lavorare, far crescere un figlio trasmettendogli qualcosa di significativo
per la sua vita e per le relazioni da costruire con gli altri
A.2 – il ruolo della
comunità
Educare un figlio non è un problema “privato”, ma un impegno “allargato”
a tutta la comunità. Nella società “allargata” si realizza la seconda
socializzazione (la prima è avvenuta in famiglia): ci si apre all’incontro con
l’altro, al confronto e al dialogo con il diverso, si fa esperienza del limite.
La comunità sociale ed ecclesiale, in sinergia con la famiglia, facilita
il processo di crescita alimentando i valori che sono alla base del
vivere comune.
4. Attivazione La vita chiama: (in
piccolo o grande gruppo)
Vorremmo fermarci a riflettere sulle tre parole che abbiamo detto essere fondamentali per la
crescita dei bambini: autonomia, autostima, socialità.
Leggi, attentamente, le espressioni che definiscono ciascuno
dei concetti sopra citati:
AUTONOMIA: Che cosa faresti? Cosa potresti portare?
Quale scegli? Cosa proponi? Cosa ti piace? Perché, secondo te, non si deve
fare? Perché, secondo te, è bene farlo?
AUTOSTIMA: Bravo. Ce l’hai fatta! Ero sicuro che ci
saresti riuscito. Continua così. “Dammi il cinque!” Dimmi: ti ascolto. Mi piace
stare con te. Hai fatto progressi.
SOCIALITA’: Saluta. Sorridi. Dai la mano. Ascolta.
Sii gentile. Fai un complimento. Chiedi per favore. Chiedi scusa (Attenti al tono della voce. Centrarsi in
modo benevolo sugli altri)
Inserisci le tre
espressioni, sotto riportate, nel gruppo – concetto giusto
Sono orgoglioso di
te
Hai chiesto il
permesso?
È meglio questo o
quello?
C – La riappropriazione (restituzione
in plenaria con il conduttore)
Condividete con il gruppo, facendo emergere
nell’argomentazione gli elementi di significatività.
D – In ascolto della parola:
41 I suoi genitori erano soliti andare a
Gerusalemme ogni anno, per la festa di Pasqua.
42 Ora,
quando egli ebbe dodici anni, i suoi salirono a Gerusalemme, secondo il rito
della festa.
43 Trascorsi
quei giorni, mentre essi se ne tornavano, il fanciullo rimase in Gerusalemme,
senza che i suoi genitori se ne accorgessero.
44
Credendo che egli si trovasse nella comitiva, fecero una giornata di cammino,
poi lo cercarono fra i parenti e conoscenti.
45 Ma, non
avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme per farne ricerca.
46 Lo
trovarono tre giorni dopo, nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, intento ad
ascoltarli e a interrogarli.
47 Tutti
quelli che lo udivano restavano meravigliati della sua intelligenza e delle sue
risposte.
48 Nel
vederlo, essi furono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché hai fatto
questo? Ecco, tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo!».
49 Ma egli
rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io mi devo occupare di
quanto riguarda il Padre mio?».
50 Essi
però non compresero ciò che aveva detto loro.
51 Egli
scese con loro e tornò a Nazaret, ed era loro sottomesso. Sua madre conservava
tutte queste cose in cuor suo.
52 E Gesù
cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e davanti agli uomini.
(Lc 2,41-52)
7. Consegna educativa
Partecipare alla celebrazione della messa insieme; camminare
insieme
Bibliografia di riferimento:
Alcamo Giuseppe (a
cura di), “Nulla è più esigente dell’amore” La famiglia e le sfide di
Amoris Laetitia, ed Paoline, 2017
Erikson Eric, Infanzia e società, Armando
ed. Roma
Milani Paola, Progetto
genitori, Itinerari educativi in piccolo e grande gruppo, Centro studi Erickson, Trento, 1993
Mastromarino Raffaele, Prendersi
cura di sé per prendersi cura dei propri figli. Proposta di training per
genitori. Elledici, Torino, 1995
Bernardo G. Boschi, Il
nome nella Bibbia, Angelicum University press
Secondo anno
Mese di SETTEMBRE
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presentazione del percorso educativo/formativo
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INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: essere genitore
responsabilmente
Obiettivi generali:
Allargare il
campo delle conoscenze e competenze nella relazione educativa genitori – figli
Riflettere e
condividere la propria esperienza di genitori, per facilitare l’armonia
all’interno della famiglia attraverso l’abitudine all’ascolto.
Competenze:
Saper riconoscere
in sé, e in parte nel prossimo, le difficoltà nate da irrigidimento e da senso
di inadeguatezza.
Saper applicare,
in alcune semplici situazioni del proprio vissuto, le proposte suggerite per
migliorare il livello di ascolto, accoglienza e comprensione del figlio
Quello che già so non mi interessa sentirlo ripetere e
quello che ancora non so, se ho vissuto fino ad oggi senza saperlo, significa
che non è poi così importante
Il confronto è la base della crescita personale e sociale;
un confronto interattivo e costruttivo è la premessa necessaria per affrontare
le tematiche di questo percorso educativo – formativo.
Se il primo rischio è il pregiudizio della chiusura e del non
ascolto, il secondo è il suo opposti.
Lo presentiamo attraverso l’aneddoto, più volte utilizzato
da Paul Watzlawick, del “millepiedi ballerino” (cf. L’arte del cambiamento)
C’era un millepiedi ballerino, che sapeva ballare in modo
strepitoso. Teneva serate in tutto il mondo riscuotendo un successo senza
precedenti; era sulle pagine di molti giornali e riviste.
Un giorno, dopo uno dei suoi spettacoli, un suo
ammiratore andò a trovarlo nel camerino per fargli i complimenti. Prima di
congedarsi, però, lo spettatore gli rivolse, con tono ammirato e stupito,una
domanda:
“ Ma come diavolo fa a ballare così divinamente con tutti
quei piedini? Deve essere un’impresa difficilissima tenere in ordine e in
armonia, sincronizzate, tutte quelle zampette!”.
Il millepiedi, sorpreso a sua volta, rispose: “Sa che non
ci avevo mai pensato?”.
Da quel giorno il millepiedi non riuscì più a muovere un
passo di danza; era tutto concentrato su come tenere in ordine le zampette, e
cadeva quasi ogni momento.
Questo aneddoto serve per cercare di evitare di finire nello
stato del millepiedi ballerino: molti, in particolare i genitori, rischiano di
farsi travolgere dal numero e dalla complessità degli elementi che entrano in
campo nella relazione educativa; finiscono per dirsi: “ma se ci sono così tante
cose da considerare, fare il genitore responsabilmente è difficilissimo, non ci
riuscirò mai !”
In questo modo, proprio come il nostro millepiedi,
dichiarano fallimento oppure negano i problemi minimizzandoli per poter sopravvivere
senza affrontare sensi di colpa o di inadeguatezza.
In realtà i genitori sono i più competenti in assoluto per
risolvere i problemi dei bambini. Non devono assolutamente delegare o perdere
l’uso del buon senso e della loro esperienza.
Vorremmo lavorare insieme sulle competenze che ogni genitore
possiede, ma che a volte, preso dal clima vorticoso della vita, si dimentica di
possedere.
Verrà consegnato ad ognuno un biglietto sul quale è scritto
un verbo attinente le competenze oppure un verbo falso. I biglietti, mescolati
e riposti in un cestino, vengono offerti ai genitori, che dopo aver letto il
proprio, dichiarano, motivando, se è un’azione positiva o negativa.
Azioni che favoriscono la relazione educativa:
ascoltare, rassicurare, incoraggiare, proteggere, collaborare,
divertirsi insieme, valutare insieme, decidere insieme la punizione.
Azioni che non favoriscono la relazione educativa:
sostituirsi, gridare, insultare, svalutare, deridere,
incolpare, picchiare, disprezzare, trascurare.
Il Battesimo di Cristo, Marko Ivan Rupnik
Il Battesimo di Cristo, di cui si parla all’inizio dei
vangeli, è immagine della sua morte e resurrezione; perciò Cristo è vestito
come sulla croce, solo con un perizoma, con le mani abbassate. Cristo è come se
fosse messo in una tomba piena di luce, piena di oro. Ai lati ci sono due
montagne, come nella tradizione iconografica, con in mezzo un fiume che sembra
sprofondato in esse, come a suggerire che dopo il peccato si è creata una
spaccatura tra il mondo spirituale e il mondo umano. Cristo ha colmato questa
spaccatura, questo abisso tra il divino e l’umano. Dal vangelo sappiamo che il
Battista si pone in un atteggiamento di estrema umiltà verso Cristo: basta
ricordare quando dice “io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da
me?” (Mt 3,14) o ancora “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30).
Cirillo di Gerusalemme dice che, quando Cristo è sceso nel
Giordano, ha conferito alle acque i colori della sua divinità: perciò l’oro che
scende dal cielo fin negli abissi dell’umanità, del male del mondo, poi
scenderà e tingerà l’acqua. Cristo, come dice un’antica preghiera della festa
del Battesimo di Gesù, è entrato nelle acque per santificare tutte le acque,
affinché noi potessimo essere battezzati. Il cielo scende sulla terra. E’
curioso che Cristo sia stato battezzato in un posto molto basso – 480 metri
sotto il livello del mare – proprio per indicare il suo abbassamento, la sua
umiliazione nel cercare l’uomo nella morte e nel peccato.
Percorso formativo
dei genitori. Tempi e nodi tematici
Settembre
|
Ottobre
|
Novembre
|
Gennaio
|
Febbraio
|
Marzo
|
Incontro
propedeutico
|
Consacrare
|
Donare
|
Immergere
|
Illuminare
|
Aprire
|
Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: IL
BATTESIMO
Bambini/e di 7 anni – classe seconda - scuola primaria
|
Quadro di riferimento: Il Battesimo, Piero della
Francesca
Nucleo generativo
|
Atteggiamento
|
preghiera
|
Vangelo di riferimento
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Icona biblica di riferimento
|
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
|
segno
|
Gesto di carità
|
Il Battesimo
|
Incontrare me stesso
|
Ave o Maria
Angelo di Dio
|
Le parabole
(Mt 13)
|
Noè e l’Alleanza dopo il diluvio
|
Tempo ordinario
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Luce e acqua
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Festa della vita in comunità
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Mese di OTTOBRE
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Parola da concettualizzare: CON- SACRARE
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PRIMO INCONTRO
focus: dall’appartenenza al gruppo familiare
all’appartenenza alla comunità religiosa. I riti sono gli esercizi del cuore
Sviluppo della tematica: con–sacrare …attraverso i riti
“Il pane ed il vino posti sull’altare sono,
dopo la consacrazione,
non solo sacramento ma anche vero corpo e
sangue del Signore nostro Gesù Cristo,
che, in modo sensibile, non solo in
sacramento, ma in verità,
è toccato e spezzato dalle mani dei sacerdoti
ed è masticato…dai fedeli”
(Papa Niccolò II,
155° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, Sinodo di Roma, 690 d. C.)
A - La comprensione:
1- Introduzione
Il termine significa “rendere sacro mediante un solenne rito
religioso[10]. In senso
figurativo, consacrare rimanda al rendere immortale qualcosa, ossia duraturo
nel tempo.
Tramite il rituale, soprattutto all’interno della
celebrazione di una festa, le varie componenti religiose come, ad esempio: le
prescrizioni, le formule, divengono reali e normative per tutti i partecipanti.
(v. a tale proposito:la Pasqua ebraica in Esodo; le nozze di Cana in
Giovanni). L’uomo religioso affida al rito i momenti più critici della sua
esistenza personale e della collettività di cui fa parte, cercando in esso la
garanzia del mantenimento della propria identità e di quella della comunità di
appartenenza.
2 – il valore del
rito
Tra i diversi riti, quelli di passaggio,[11] occupano nella
letteratura delle scienze umane un ruolo
centrale, in quanto favoriscono, tra l’altro, il soddisfacimento dei bisogni di
struttura[12], fondamentali per la formazione
del bambino. Il bisogno di struttura[13] è
connesso anche al senso di libertà interiore e all’universo dei valori di
riferimento di ciascuno. Se abbiamo molta paura degli altri e abbiamo bisogno
assoluto della loro considerazione per poter fare e sentirci a posto significa
che la nostra motivazione, la spinta a fare e ad essere, dipende dall’esterno e
che abbiamo uno scarso senso di identità e di appartenenza. Per ovviare a
questi problemi è opportuno aiutare il bambino a sentire l’appartenenza alla famiglia (alla classe, a gruppi, ecc.),
anche attraverso riti quotidiani. Tali riti sono azioni che ogni individuo
inventa per formalizzare il contatto con i propri simili. Le ricerche, a tale
proposito, hanno individuato cinque tipologie di riti quotidiani a carattere
transnazionale, in quanto esemplificativi di tutte le culture, tali sono: i
riti del mattino, il riconnettersi con la famiglia e mangiare, il farsi belli,
l’uscire al lavoro, i riti serali prima di dormire.
B – La vita chiama:
Il momento di andare a letto, per la maggior parte dei
bambini, è problematico. Chiudere gli occhi e addormentarsi è come separarsi da
tutto ciò che si ha, abbandonare tutte le certezze, comprese le cose e le
persone. Per questo motivo il bambino si agita, recupera le ultime energie per
prolungare i tempi e non dover chiudere gli occhi.
E’ inutile rimproverarlo o ingiungergli (ordinargli) con
autorità che è ora di dormire.
Meglio prepararlo con gesti sempre uguali (rassicuranti):
indossare il pigiama, lavare i denti, dire la preghiera, leggere una favola….
Se il clima, attorno a lui è sereno, sarà più facile abbandonare le ultime
resistenze.
Buona cosa sarebbe ripercorrere insieme la giornata, per
ricordare le cose belle e positive. Tutto ciò non interrompe l’appartenenza e..
lo fa “scivolare” nel sonno.
Attivazione: Leggete le consegne della “scheda di
lavoro” e scrivete le risposte in modo semplice e immediato.
Ci sono dei riti che compie coscientemente? Quanti? E quali?
Ci sono dei riti nella sua famiglia? Se sì, quali?
Una volta poteva essere un rito di passaggio anche la
consegna delle chiavi di casa al figlio, ma oggi , lavorando entrambi i
genitori, i figli hanno le chiavi di casa fin dagli 8 o 10 anni e questo rito
si è svuotato di significato. In quale modo potremmo oggi appagare il
bisogno di struttura?
Provate a proporre alcuni riti familiari possibili, che
aiutino a formare il senso della famiglia e a fissare dei momenti significativi
della vita di casa. La serata della famiglia, in cui si guarda assieme un
programma televisivo deciso a rotazione, o di condividono i momenti della
giornata, o si decide dove andare in ferie, o si stacca semplicemente il
telefono per riunirsi con i più piccoli e giocare con loro potrebbe essere un
punto di partenza?
E nella vita di coppia ci sono dei riti? Quali? Che
significato hanno per lei?
Vi garantite dei momenti di ricarica per la coppia? Quanti e
quali? Anche la coppia è una struttura e anche in essa è importante appagare il
bisogno di struttura, per non perdere il senso dello stare insieme e del
progetto comune. La vita quotidiana spesso ci rende difficile comunicare e
alcuni momenti di uscita, di svago insieme, di impegni nel volontariato o altro
possono svolgere la funzione ritualistica positiva. Ci aveva mai pensato? Li
può agevolare? Come?
C – L’attivazione
- Riunirsi
successivamente in gruppi di 6/8 persone per confrontarsi su quanto ognuno ha
scritto.
- Provate ad evidenziare linee comuni e differenze.
Individuate un relatore che riporti quanto emerso al grande gruppo.
- Ascoltando quanto
emerso dai gruppi aprite un dibattito su questi concetti educativi.
V. anche Allegato DA
AGGIUNGERE Bruno Ferrero!!!
D – In ascolto della Parola:
Lc 4???
Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di
Galilea e c'era là la madre Gesù.
2 Fu
invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
3 Ed
essendo venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più
vino».
4 Le
dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora».
5 Sua
madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».
6
C'erano là sei giare di pietra per le abluzioni dei Giudei, capaci da due a tre
metrète ciascuna.
7 Dice loro
Gesù: «Riempite le giare di acqua». Le riempirono fino all'orlo.
8 Dice
loro: «Ora attingete e portatene al direttore di mensa». Essi ne portarono.
9 Come
il direttore di mensa ebbe gustata l'acqua divenuta vino (egli non sapeva donde
veniva, mentre lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiama lo
sposo
10 e
gli dice: «Tutti presentano dapprima il vino buono e poi, quando si è brilli,
quello scadente. Tu hai conservato il vino buono fino ad ora».
11
Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i
suoi discepoli credettero in lui.
(Gv 2,1-11)
Consegna educativa: “cubo”
(costruito dal bambino durante l’incontro di catechesi) per la preghiera del
pasto
Mese di NOVEMBRE
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Parola da concettualizzare: DONARE
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SECONDO INCONTRO – focus: Entrare nella logica del dono
come relazione d’amore
Sviluppo della tematica: donare e donarsi
Donerete ben poco se
donerete i vostri beni.
È quando fate dono di
voi stessi che donate veramente.
da Il Profeta di K. Gibran
Poi, preso un pane,
rese grazie,
lo spezzò e lo diede
loro dicendo:
«Questo è il mio corpo
che è dato per voi;
fate questo in memoria
di me».
iLc 22,19
Si è più beati nel
dare che nel ricevere
At 20,35
A – La
comprensione:
1 -donare è donarsi
«Donare è un’arte che è sempre stata difficile: l’essere
umano ne è capace perché è capace di rapporto con l’altro, ma resta vero che
questo «donare se stessi» – perché di questo si tratta, non solo di dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che
si è – richiede una convinzione profonda nei confronti dell’altro. Ma
il dono all’altro – parola, gesto, dedizione, cura, presenza – è possibile solo
quando si decide la prossimità, il farsi vicino all’altro, il coinvolgersi
nella sua vita, il voler assumere una relazione con l’altro. Allora, ciò che
era quasi impossibile e comunque difficile, faticoso, diviene quasi naturale
perché c’è in noi, nelle nostre profondità la capacità del bene: questa è
risvegliata, se non generata, proprio dalla prossimità, quando cessa
l’astrazione, la distanza, e nasce la relazione».
Enzo Bianchi,
priore della Comunità di Bose.
Martin Buber
affermava che ognuno di noi da sempre e per sempre si costituisce come “relazione”. “L’uomo si fa io nel tu” e
questo “essere per” si fonda
nell’atto originario di Dio che ci ha creati pronunciando un “tu”. “All’inizio
è la relazione”.
Se questa è la nostra vera essenza allora ogni
gesto che compiamo assume valore nella misura in cui entriamo in una relazione
con le persone. Anche il dono è un bene relazionale, cioè un atto dove il bene
principale non è l’oggetto donato, ma la relazione tra chi dona e chi riceve.
Il dono non è
previsto, è sempre eccedente, non legato al merito, sorprendente. È costoso, e
le sue principali “monete” sono l’attenzione, la cura, soprattutto il tempo. Il
dono è “mettersi in cammino” verso l’altro, è spendersi per l’altro, è
prendersi cura dell’altro.
Fra un dono e un
semplice regalo c’è una grande differenza. Fare un regalo è facile, se ne
possono fare decine in un paio di frenetici pomeriggi di shopping. Fare un dono
è difficile, per questo se ne fanno e ricevono pochi. Per il dono c’è bisogno
di un investimento di tempo, di entrare in profonda sintonia con l’altro, di
creatività, fatica, e rischiare anche l’ingratitudine.
2 -Il dono è più
di un regalo
A volte però anche
un regalo, un oggetto, può diventare un dono se accompagnato da alcuni
accorgimenti che esprimono l’intensità della relazione e il sentimento che lo
accompagna. Tutti noi infatti conserviamo fra le nostre cose più “preziose”
oggetti ricevuti come doni di amicizia, di amore, di stima, di affetto, di
riconoscenza, sempre uniti al ricordo di un volto caro e del sentimento di cui
era espressione.
Tali segnali possono
essere:
un biglietto personale
di accompagnamento con parole di stima e affetto;
l’attenzione al “come”, al “quando”, al “dove” il dono viene
dato-ricevuto;
la forma della consegna che non è mai anonima né frettolosa,
ma è reciprocità di parole, gesti, emozioni.
La caratteristica
che definisce il donare è sempre la GRATUITÀ:
senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza
reciprocità: non c’è dono autentico senza gratuità.
3 -Gesù è il modello
del vero dono
Gesù è Maestro nel
donare e tanti episodi del Vangelo lo dimostrano:
Nelle nozze di Cana si parla di “vino abbondante e buono”
(Gv 2,10);
Nell’incontro con la Samaritana si parla di un’acqua
speciale “un’acqua viva” (Gv 4,10);
Nella moltiplicazione dei pani si raccolgono dodici canestri
dei resti avanzati (Gv 6,13)
In tutti questi episodi si possono notare alcuni elementi
importanti:
la misura con cui Gesù dona va oltre ogni aspettativa sia
per quantità che per qualità
ogni dono del Signore è sempre accompagnato da una relazione
significativa con le persone, non è mai anonimo e frettoloso e lascia sempre un
segno nelle persone, proprio perché è sempre un dono fatto con amore e per
amore.
B – La vita chiama:(in
piccolo o grande gruppo)
Proposta B.1- La principessa
Una storia è come una
conchiglia: se l’appoggi all’orecchio, ti racconta l’oceano.
Una storia è piena di
echi: risuona a lungo.
Una storia è un
battito di cuore: un messaggio della vita.
Una storia, come
questa che ti regalo, è segno di tenerezza.
C’era una volta un re che aveva una figlia di grande
bellezza e straordinaria intelligenza. La principessa soffriva, però di una misteriosa
malattia. Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe,
mentre vista e udito si affievolivano. Molti medici avevano invano tentato di
curarla.
Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva
conoscesse il segreto della vita. Tutti i cortigiani si affrettarono a
chiedergli di aiutare la principessa malata.
Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un
coperchio chiuso, e disse: “Prendilo e abbine cura. Ti guarirà”.
Piena di gioia e attese, la principessa aprì il coperchio,
ma quello che vide la sbalordì dolorosamente. Nel cestino giaceva infatti un
bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferente di lei.
La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassione.
Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo.
Passarono i mesi: la principessa non aveva occhi che per il
bambino. Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva. Lo vegliava di notte, gli
parlava teneramente. Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa.
Quasi sette anni dopo, accadde qualcosa di incredibile. Un mattino il bambino
cominciò a sorridere e a camminare. La principessa lo prese in braccio e
cominciò a danzare, ridendo e cantando. Leggera e bellissima come non era più
da tempo. Senza accorgersene era guarita anche lei.
Signore, quando ho fame mandami qualcuno che ha bisogno di
cibo…
Proposta B.2 - Mandami qualcuno da amare
Signore, quando ho
fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno
da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Madre Teresa di
Calcutta
Sembrano paradossali queste richieste e, forse, lo sono, ma
possono anche apparire meno impossibili, se ci riflettiamo un po’ su. Donare è
un gesto d’amore e l’amore è un po’ altruista e un po’ egoista: altruista
perché il dono lo facciamo a… O per qualcuno; egoista perché il farlo mi dà
gioia: aver procurato gioia, mi dà gioia. In fondo l’amore paga.
Riflettere
personalmente (5-10 minuti)
Pensa ad una tua esperienza personale di dono fatto o ricevuto e ricorda volti,
relazioni ed emozioni
Come spiegheresti le richieste paradossali contenute in
questa preghiera di Madre Teresa?
Preparare un dono per i propri figli prestando attenzione ai
segni sopraindicati: cura della confezione, preparazione del biglietto, forma
della consegna.
C – La
riappropriazione
D – In ascolto della
Parola
18 Diceva dunque: «A che cosa è simile il regno
di Dio? A che cosa lo paragonerò?
19 È simile ad un granello di senapa, che un
uomo ha preso e seminato nel suo orto. Quel granello è cresciuto ed è poi
diventato un albero, e gli uccelli del cielo son venuti a posarsi tra i suoi
rami».
20 Disse ancora: «A che cosa
paragonerò il regno di Dio?
21 È simile al lievito che una
donna ha preso e impastato con tre grosse misure di farina. Allora il lievito
fa fermentare tutta la pasta».
(Lc 13,18-21)
E - Consegna
educativa : il “dono” del tempo da trascorrere insieme preparando il
presepe
Mese di GENNAIO
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Parola da concettualizzare: IMMERGERE
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TERZO INCONTRO –
Sviluppo della tematica: immergersi ed emergere
“ Non piangere quando tramonta il sole:
le lacrime impedirebbero di vedere le stelle”
Radindranath Tagore
Presentazione focus: immergersi nella vita ed emergere da essa
A – La
comprensione:
A . 1 - alla ricerca
del senso della vita –
Espressioni come “immergersi
nella natura”, o “immergersi nella lettura” comunicano una dimensione
totalizzante del soggetto: il corpo e la mente (lo spirito) sono un tutt’uno
con la realtà esperita. Quando poi si “esce” e si ritorna alla quotidianità,
dopo una tale esperienza, ci si sente rinfrancati, rigenerati, rilassati:
sono stati appagati sia i sensi, sia la mente.
Non sempre,
tuttavia, l’immergersi è così gratificante. “L’immergersi nel traffico” caotico
o “nel lavoro”, oppure “nella vita quotidiana” producono stress[14],
preoccupazione, ansia; proprio perché, assorbiti totalmente dal ritmo
incalzante , non si trova il tempo per se stessi e/o per gli altri. Bisogna
fermarsi. Sono necessari spazi per rinfrancarsi (come questi, ad esempio),
per prendersi cura di sé, porre attenzione alle piccole cose, ai gesti quotidiani
che aiutano ad allentare le tensioni, le insoddisfazioni, l’ansia.
Emergere, con una
nuova vitalità, un nuovo slancio.
2 - Ogni immergere
attiva un emergere
L’immersione , come
ci ricordano il Vangelo di Marco (1, 4-11 “vi fu Giovanni, che battezzava
nel deserto e proclamava il battesimo di conversione per il perdono dei
peccati..ed ecco, in quei giorni Gesù…fu battezzato nel Giordano da Giovanni… E
subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere
verso di lui come una colomba.”) e la vicenda umana di Bernardette
Soubirous : attraverso l’acqua purificante della grotta di Massabielle a
Lourdes, ci restituisce che c’è un soggetto che, nella sua totalità, compie il
gesto di immergersi nell’acqua (simbolo di rigenerazione e vita)
Le azioni
dell’immergersi e dell’emergere, come si evince, non sono opposte ma
complementari: non si può emergere, vedere la luce (della grazia, della
fede) se non si sono attraversati il buio e le tenebre (del peccato, della
morte spirituale)(v. a tale proposito, la metafora del viaggio dantesco; Dante,
“ e quindi uscimmo a rivedere le stelle, Inferno XXXIV; oppure Joseph
Cronin, in “E le stelle stanno a guardare”, gli occhi, asciugate le
lacrime, vedranno il cielo).
Perché l’azione
dell’emergere non sia un meccanico “uscire”è necessaria la disponibilità
al cambiamento (con la presenza dello Spirito). Avere la consapevolezza che
ogni decisione richiede uno sforzo che trova la sua origine nell’interiorità di
ciascuno di noi, nel profondo della coscienza.
“Nonostante il
battesimo, la conversione, la vita di sequela a Gesù, noi restiamo deboli,
fragili, e la nostra esperienza ce lo dice! Ma lo Spirito che ci accompagna
sempre dimorando in noi interviene pieno di cura, di tenerezza, di amore
fedele, per soccorrerci nelle insufficienze, sollevarci nell’infermità,
rianimarci nelle nostre depressioni, scuoterci nel nostro avvilimento” (Enzo
Bianchi, Pregate mediante lo Spirito Santo)
B – La vita chiama:
(in piccolo o grande gruppo)
Spesso siamo immersi
nella ripetitività di giorni sempre uguali: doveri, grattacapi, rassegnazione.
La chiamano routine, come a dire monotonia, uniformità, niente di nuovo.
La parola della
rassegnazione “ormai” chiude ad ogni possibilità di cambiamento. Il cambiamento
è vita, è novità, è anche fatica, decisione, andare contro corrente, fiducia,
sfida, voglia di freschezza.
Proponiamo alcuni detti
celebri che ci sembrano significativi. Sono inviti ad emergere dalla
stagnazione per decidere di prendere in mano il timone della nostra vita.
Provate a commentarli a piccoli gruppi.
“Prendete in mano la
vostra vita e fatene un capolavoro” (Giovanni Paolo II)
Nessuno può tornare indietro per creare un
nuovo inizio…ma chiunque può ripartire per creare un nuovo finale.
“Ora non è il
momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con
quello che hai” (E. Hemingway)
La vita è come un’eco:
se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii.
Vedi Appendice n°4 “Preghiera”don
Tonino Bello
C – Riappropriazione
D – In ascolto della
Parola
15 L'attesa del popolo intanto cresceva e tutti
si domandavano in cuor loro se Giovanni fosse il Messia. 16 Giovanni
rispose: «Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al
quale non sono degno neppure di sciogliere i lacci dei sandali. Egli vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
17 Egli tiene in mano il ventilabro per
separare il frumento dalla pula; raccoglierà il grano nel granaio, ma la paglia
la brucerà con un fuoco inestinguibile».
18 Con queste ed altre esortazioni annunziava
al popolo la salvezza.
19 Ma il tetrarca Erode, che Giovanni aveva
biasimato perché aveva preso Erodiade, moglie di suo fratello, e per altre
scelleratezze,
20 aggiunse un altro crimine a quelli già
commessi: fece imprigionare Giovanni.
21 Tutto il popolo si faceva battezzare, e fu
battezzato anche Gesù. E mentre stava in preghiera, il cielo si aprì 22
e lo Spirito Santo discese su di lui, in forma corporea, come colomba. E vi fu
una voce che venne dal cielo: «Tu sei il Figlio mio amatissimo, in te io mi
compiaccio».
(Lc 3,15-22)
E - Consegna
educativa : insegnare l’Angelo di Dio. Commentare insieme la preghiera di
don Tonino Bello
Mese di FEBBRAIO
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Parola da concettualizzare: ILLUMINARE
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QUARTO INCONTRO – focus: Riflettere sulla vera fonte della luce
Sviluppo della tematica: illuminare
(da Il Piccolo Principe di A.
Saint-Exupéry)
«Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue».
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue».
(E. Montale)
«Guardate a lui e sarete raggianti» (Sal
34, 6)
A – La
comprensione:
A.1 - Siamo luce propria o luce
riflessa?
«Ho sceso milioni di
scale dandoti il braccio/non già perché con quattr'occhi forse si vede di
più./Con te le ho scese perché sapevo che di noi due/le sole vere pupille,
sebbene tanto offuscate,/erano le tue».
(E. Montale)
Questa poesia di
Montale, dedicata alla moglie scomparsa, ci fa capire che gli occhi possono
anche essere offuscati, ma lo sguardo interiore è più penetrante e capace di
cogliere particolari invisibili all’occhio umano.
L’empatia è proprio
la capacità di incrociare lo sguardo interiore dell’altra persona per coglierne
gli stati d’animo e sintonizzarsi con essi. Quanta luce possiamo essere per gli
altri attraverso uno stile empatico!
Ma per educarci a
questa capacità di “vedere l’interiorità altrui” dobbiamo imparare ad entrare
in noi stessi, dobbiamo conoscere la nostra vera identità. Siamo corpo ed
anima, unità indissolubile. Un filosofo del ‘600 diceva che l’uomo è “un’anima
che trascina la sua macchina”. Per fortuna questa concezione dualistica
dell’uomo è stata superata, ma non sempre a favore di una posizione sana ed
equilibrata. Oggi si rischia di passare all’estremo opposto, ad una
valorizzazione eccessiva del corpo a scapito della nostra interiorità.
A.2 - La vera
luce è dentro di noi
Eppure sappiamo che la bellezza e la luce di una persona non
sempre dipendono dal suo aspetto esteriore. La vera luminosità di una persona è
il riflesso di una ricchezza interiore incomparabile con qualsiasi canone di
bellezza fisica.
La luce viene da
dentro come da dentro vengono purtroppo anche le tenebre. Lo dice anche Gesù in
risposta ai farisei che accusavano lui e i discepoli di non lavarsi le mani
prima di mangiare, secondo la Legge mosaica: «Dal di dentro infatti, cioè dal
cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri,
avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia,
stoltezza» (Mc 7, 21-22).
Ci sono due forze che lottano dentro di noi,
due desideri: il desiderio della luce, cioè di una vita messa in gioco,
aperta agli altri e all’imprevisto; e quello del buio, il desiderio che la vita
non ci faccia troppo male, non ci chieda troppo, il desiderio di rimanere al
sicuro, chiusi nelle nostre abitudini, a bordo campo, in un guscio tanto
protettivo quanto escludente gli altri!
Quello che ci viene chiesto è di essere “sole
dentro” per illuminare gli ambienti della nostra vita: la famiglia, il lavoro,
il tempo libero, le relazioni sociali.
Ognuno di noi può accendersi di luce nella
misura in cui prende coscienza di avere “un sole dentro” da scoprire, da far
risplendere non solo per noi, ma anche per chi ci sta attorno. Soprattutto per
i nostri figli che hanno bisogno di attingere da noi la luce della verità,
dell’amore, della gioia, della speranza, della fiducia nel presente e nel futuro.
Il Card. Martini in un libro intitolato
appunto “Il sole dentro” esorta alla fiducia e scrive: «Tornerà il sereno.
Dovremo solo attendere il riapparire del sole interiore, della luce dell’anima,
con disposizione paziente, risoluta e coraggiosa».
A.3 - Cristo “luce del mondo”
Per un cristiano la luce è Cristo e noi
riflettiamo la sua luce nella misura in cui viviamo in amicizia con Lui come
disse Papa Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giovani radunati a Toronto per la
giornata Mondiale della Gioventù del 2002: «Lasciatevi conquistare dalla luce di Cristo e fatevene propagatori
nell’ambiente in cui vivete […]. Nella
misura in cui la vostra amicizia con Cristo, la vostra conoscenza del suo
mistero, la vostra donazione a Lui saranno autentiche e profonde, voi sarete “figli
della luce”, e diventerete a vostra volta “luce
del mondo”. Perciò io vi ripeto la parola del Vangelo: “Risplenda la vostra
luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria
al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).
B – La vita chiama:
(in piccolo o grande gruppo)
L’uomo è un impasto di luci ed ombre, di bene e male, di
ordine e disordine e questa è una consapevolezza
Presente in molte culture.
Una favola indiana narra di un nonno che sta conversando col
nipotino e gli rivela i segreti della vita, con semplicità e saggezza.
Il nonno racconta: “Ognuno ha dentro di sé due lupi: il
primo vive di rabbia, odio, gelosia, invidia, bugie, egoismo; il secondo vive
di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà, fede.
Ogni giorno, questi due lupi, lottano dentro di noi”.
“Ma, alla fine, chi vince?” chiede impaziente il nipotino.
E il nonno: “Quello che nutri di più!”
Illuminare significa anche rendere consapevoli gli altri
delle loro luci. Infatti in ciascuno di noi c’è la scintilla, il soffio, il
timbro di Dio Creatore.
Spesso con i figli evidenziamo solo gli errori, i limiti e
lo facciamo a fin di bene: perché capiscano, si correggano, migliorino.
Ma se esaminiamo la nostra esperienza, sicuramente riscontriamo
che le cose non vanno proprio così. Con i rinforzi negativi (ossia:
lamentazioni, diventiamo noiosi) ricaviamo infatti rancori, frustrazioni,
ripicche,…quasi mai miglioramenti.
Amalo quando meno se lo merita, che è quando ne ha più
bisogno.
Attraverso i rinforzi positivi, invece, mettiamo in
evidenza, dei nostri figli, il bene, il buono, il bello, le loro luci….che ci
sono!
In questo modo il positivo <viene valorizzato,
amplificato; inoltre li facciamo stare bene, rafforziamo la loro autostima, li
valorizziamo, facciamo emergere la loro parte migliore.
Completate le seguenti frasi aperte:
Mi ha fatto piacere…
Sono contento quando…
Hai fatto bene…
Mi sono fidato di te…
Ho notato il tuo impegno…
“Due uomini guardano attraverso le sbarre di una prigione:
uno vede il fango, l’altro le stelle”.Riflettere
personalmente (5-10 minuti)
C’è più luce nel mondo se:
……………………………..
……………………………..
C’è meno luce nel mondo se:
……………………………..
…………………………….
C – La
riappropriazione
D – In ascolto della
Parola
ra, mentre passava, vide un uomo cieco dalla nascita.
2 I suoi
discepoli gli domandarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché
egli nascesse cieco?».
3 Rispose
Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma (è nato cieco) perché si manifestassero
in lui le opere di Dio.
4 Dobbiamo
operare le opere di Colui che mi ha mandato finché è giorno. Viene la notte,
quando nessuno può più operare.
5 Fintanto
che sono nel mondo, sono luce del mondo».
6 Detto
questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva e spalmò il fango sugli
occhi di lui.
7 Poi gli
disse: «Va'e làvati alla piscina di Siloe» (che significa «inviato»). Egli
andò, si lavò e ritornò che vedeva.
8 Ora, i
vicini e quelli che l'avevano visto prima da mendicante dicevano: «Non è lui
quello che stava seduto a mendicare?».
9 Altri
dicevano: «Ma no. È un altro che gli somiglia». Egli però diceva: «Sono proprio
io».
(Joh 9:1-9 IEP)
E – Consegna
educativa: accendere una candela
(portacandela) e recitare una preghiera insieme.
Mese di MARZO
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Parola da concettualizzare: APRIRE
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QUINTO INCONTRO – focus:Capire quale chiave possiamo usare per scoprire il mistero della vita
Sviluppo della tematica:
APRIRE
«Bussate e vi sarà
aperto» (Lc 11, 9)
«Non abbiate paura! Aprite, anzi,
spalancate le porte a Cristo!»
(Giovanni Paolo
II)
A – La
comprensione:
A.1 - Aprire o chiudere?
Aprire! È un termine che
generalmente connota aspetti positivi. Ci si apre alla vita, all’amore, alla gioia, alla speranza, alla fiducia,
all’accoglienza. Si parla di “cuore aperto”,
“mente aperta”, “mani e braccia aperte”. La primavera è la stagione
dell’apertura alla vita: un fiore
sboccia, si apre alla luce del sole,
alcuni animali dopo il sonno dell’inverno escono all’aperto.
Di contro chiudere denota aspetti negativi. Un
cuore chiuso, una mente chiusa, una mano chiusa, una porta chiusa, un relazione
chiusa. Ci si può chiudere nel proprio egoismo, nel rancore, nell’odio,
nell’invidia, nella diffidenza, nella disperazione…
Se guardiamo dentro
di noi troviamo, nascoste nel nostro essere più profondo, le chiavi per aprire
o per chiudere. Sono le nostre potenzialità nel bene e nel male che vivono
insieme dentro di noi: siamo il buio e la luce, il caldo e il freddo, il
dolce e l’amaro, la fata e la strega, l’uno e l’altro... In noi vivono
sempre gli opposti; non c’è
passione senza freddezza, o generosità senza una dose di egoismo: siamo un insieme
di miseria e grandezza!
A.2 - Troviamo la
chiave giusta per realizzare la nostra vita.
Tutto sta nel trovare
la chiave giusta per realizzare in pienezza e dare senso alla nostra vita, per
aprirci al bene che vive dentro di noi e attorno a noi. Si dice che fa più
rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Basta saperlo vedere, il
bene, e contribuire a farlo crescere.
A volte ci è più
facile chiudere occhi, cuore, mente per non vedere, per non accogliere, per non
pensare! Ci chiudiamo nel nostro egoismo, nel nostro comodo individualismo e
perdiamo la chiave per aprirci alla vita che, per quanto difficile, va sempre
vissuta.
La vita è
un’opportunità, coglila. La vita è bellezza, ammirala.… La vita è una sfida,
affrontala. La vita è un dovere, compilo…. La vita è dolore, superalo… La vita
è una lotta, accettala, scrive Madre Teresa di Calcutta.
C’è una chiave che
ci è stata donata e che forse non abbiamo ancora utilizzato, o solo in parte,
per aprirci alla relazione con gli altri e con l’Altro, con Dio: è la fede!
3 -La fede come opportunità
Inutilizzata, può
arrugginirsi e non servire più, ma se invece la mettiamo alla prova per
progettare la nostra vita, per fare le nostre scelte, per affrontare le
difficoltà, per vivere i nostri momenti più belli, diventa una chiave preziosa
che apre alla felicità già qui sulla terra e che spalancherà orizzonti di luce
eterna nel cielo.
Carlotta Nobile era un ragazza giovane,
vivace, era una violinista di fama nazionale, vincitrice di numerosi concorsi.
Era stata nominata Direttore Artistico dell'Orchestra da Camera dell'Accademia
di Santa Sofia di Benevento a soli 21 anni, curatrice artistica e storica
dell'arte, scrittrice, aveva pubblicato già due libri, operatrice culturale,
stagista presso Radiotre, autrice di articoli sull'arte contemporanea e
redattrice di rubriche di critica musicale: una giovinezza vissuta con una
intensità straordinaria. Ma a soli 22 anni le viene diagnosticato un melanoma.
La reazione iniziale è la chiusura nella rabbia di un destino irrazionale e
ingiusto. Poi, venendo a contatto negli ospedali con bambini colpiti dal suo stesso
male, passa dalla domanda “Perché a me?” a quella, ben più difficile da
pronunciare e soprattutto da vivere, del “Perché non a me?”.
Affronta le cure possibili e subisce vari
interventi pur proseguendo parallelamente la sua carriera musicale ed artistica,
spesso alternandosi tra ospedali e concerti. Scrive sul suo blog “Il Cancro e
poi” «Io non so più neanche quanti centimetri di cicatrici chirurgiche
ho. Ma li amo tutti, uno per uno, ogni centimetro di pelle incisa che non sarà
mai più risanata. Sono questi i punti di innesto
delle mie ali.»
Negli ultimi mesi
di vita, in seguito alle parole rivolte da papa Francesco ai giovani di portare
la croce con gioia (omelia del 24 marzo 2013), fa una profonda esperienza di
fede. Il percorso umano che caratterizza questo periodo è il coronamento di
tutta la vita di Carlotta: una vita bella, piena di luce e di amore, di arte e
di cultura che si completa e si arricchisce nell'incontro personale con Gesù.
L’apertura alla fede, vissuta nell’accettazione della malattia, la apre anche
ad un impegno di carità verso gli altri ammalati di cancro diventando motivo di
sostegno ed esempio di coraggio con il blog anonimo «Il Cancro e Poi» e i
concerti negli ospedali con i «Donatori di musica».
B – La vita chiama:
Visione del filmato in you tube “La croce fiorita” e
condividere risonanze in piccolo gruppo
“Ecco, sto alla porta e busso” (Ap. 3,20)
C’è un quadro che rappresenta Gesù in un giardino buio. Con
la mano sinistra solleva una lampada che illumina la scena, con la destra bussa
ad una porta pesante e robusta.
Quando il quadro fu presentato per la prima volta ad una
mostra, un visitatore fece notare al pittore William Hunt un particolare
curioso.
“ Nel suo quadro c’è un errore. La porta è senza maniglia!”
“ Non è un errore!” rispose il pittore.
Quella è la porta del cuore umano. Si apre solo
dall’interno!”.
Dio non entra nella nostra vita, senza il nostro
permesso.
C – L’attivazione
D – In ascolto della
Parola
Effatà, apriti!
E- Consegna educativa : Tempo di quaresima: tenere la Bibbia
aperta in casa
F – Bibliografia:
Bettelheim Bruno, Un
genitore quasi perfetto, Feltrinelli, Milano, 1997
Ferrero Bruno, Piccole
storie per l’anima, Elledici
Gordon Thomas, Genitori
efficaci. Educare figli responsabili. La Meridiana, Bari, 1994
Luft John, Introduzione
alla dinamica di gruppo, La Nuova Italia, Firenze, 1979
Watzlawick Paul, Beavin J. H., Jackson D.D., Pragmatica
della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e
dei paradossi, Astrolabio, Roma,
1971
Rossi Raffaello, Piccoli genitori grandi figli. Percorso
di formazione per genitori ed educatori, EDB, Bologna, 2001
Martin Buber, Il
problema dell’uomo, Marietti
Carlo Maria
Martini, Il sole dentro, Piemme
Carlotta Nobile, Il
silenzio delle parole nascoste, Aletti
F.Rizzo – P.
Scarafoni, In un attimo l’infinito, Elledici
Terzo anno
Mese di SETTEMBRE
|
presentazione del percorso educativo/formativo
|
INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: Come educhiamo i nostri
figli? Quali valori trasmettiamo? Quali idee rinforziamo?
Obiettivi generali:
Perdonare come luogo educativo necessario
Formare la coscienza del bambino
Errare: l’esperienza dell’errore come rimettersi in
viaggio
Offrire
conoscenze ed esperienze per attivare competenze funzionali al benessere della
famiglia e dei suoi componenti.
Offrire ai
genitori l’opportunità di confrontarsi, comunicare e condividere l’esperienza
dell’accompagnare il proprio figlio nella crescita.
Competenze:
Aprirsi
all’ascolto autentico.
Aprirsi all’incontro
e al dialogo con l’altro
Attivare
dinamiche di cambiamento
Proposta per riflettere: L’eredità
Non importa che la nostra famiglia sia scarsa di beni, non
importa che il conto in banca sia a secco come un ruscello a ferragosto… La
nostra famiglia è ricca se in essa circolano idee sane, idee alte, idee buone.
Il nostro tesoro sta nel patrimonio mentale!
Questa è l’eredità che vogliamo lasciare ai figli: una bella
manciata di punti luce per illuminare la loro mente e riscaldare il loro cuore.
Le cose passano, le idee restano! Vogliamo, giorno dopo giorno, seminare
sapienza: squarci di verità. Vitamine mentali come queste:
La vita dipende dal cuore, non dal calendario.
I piccoli passi fanno chilometri.
Non dedicarti ai lamenti.
L’anima vive di soste.
A pregare non si sbaglia mai.
L’errore fa parte del mestiere di vivere.
Ci si arricchisce donando.
Vince il gioco della vita chi ha più amici, non più soldi.
La preghiera è un canale aperto in cui scorre l’ossigeno di
Dio.
Non fatevi tentare da ciò che luccica, ma solo da ciò che
illumina.
Quando prendi riempi le mani; quando doni riempi il cuore.
Il successo arriva solo dopo il sudore (eccetto che nel vocabolario)
Dio non crea scarti.
Ecco il cestino della nostra saggezza, che vogliamo lasciare
in eredità ai figli. E’ il cestino del sale che fa saporita e riuscita la vita.
A piccoli gruppi si
potrebbe riflettere sul “cestino della saggezza” che vorremmo lasciare in
eredità ai nostri figli e magari trovare qualche altro “punto luce”.
Quadro del Padre Misericordioso
Percorso formativo
dei genitori: tempi e nodi tematici:
Settembre
|
Ottobre
|
Novembre
|
Gennaio
|
Febbraio
|
Marzo
|
Incontro
propedeutico
|
Ascoltare
|
Riconoscersi figli
|
Ringraziare
|
Confessare
|
Convertirsi
|
Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: IL
PERDONO
Bambini/e di 8 anni – classe terza - scuola primaria
|
Quadro di riferimento:
Nucleo generativo
|
atteggiamento
|
preghiera
|
Vangelo di riferimento
|
Icona biblica di riferimento
|
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
|
segno
|
Gesto di carità
|
Il Perdono
|
Incontrare l’altro e Dio (l’Altro)
|
Pietà di me, o Dio secondo la Tua misericordia
|
Le parabole della misericordia
(Lc, 15) e incontri con la Misericordia
|
Davide re messia perdonato
|
Quaresima
|
La Croce
|
Visita agli anziani, ristabilire le relazioni
|
Mese di OTTOBRE
|
Parola da concettualizzare: ASCOLTARE
|
PRIMO INCONTRO – focus: ascoltarsi per ascoltare
Sviluppo della tematica: educarci all’ascolto dell’altro
“L’ascoltare richiede tanto impegno quanto il parlare.
E l’arte di un ascolto totale richiede molto più impegno
del parlare.
E’ qualcosa di simile al cercare di entrare nelle scarpe
del nostro interlocutore mentre le sta calzando”
(T.G. Banville)
Ascoltare qualcuno è sentire la sua voce.
Ascoltare la voce
di un altro è ascoltare nel silenzio di sé, una parola che si situa altrove.
Il silenzio può essere molto metodico.
Per trovarlo è necessario eliminare l’uno dopo l’altro,
tutti gli elementi che lo parassitano…
Dopo di che possiamo fare silenzio in noi, per ascoltare.
Fare silenzio per ascoltare è rendersi presente all’altro
nella relazione.
(J. Salomè)
Siediti ai bordi dell’aurora,
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del ruscello,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà.
L. Vahira (poeta indiano)
Speciale è chi ascolta le tue parole e le trasforma in coraggio.
A – La
comprensione:
1- aprirsi
all’ascolto
Una statistica condotta su un gruppo di persone appartenenti
a varie professioni ha rivelato che, in media il 42% del loro tempo viene
dedicato ad ascoltare, il 39% a parlare, il 13% a leggere ed il 9% a scrivere.
Ma se è vero che nella vita di ognuno di noi qualcuno ci
ha insegnato a scrivere, a parlare e a leggere, chi ci ha mai insegnato ad
ascoltare?
Eppure ascoltare, come leggere, è innanzitutto un’attività
della mente, non dell’orecchio o dell’occhio. Se la mente non viene
attivamente coinvolta nel processo, l’ascoltare o il leggere si riducono ad una
semplice percezione fisica, sostiene M. Baldini. Generalmente si commette
l’errore di considerare l’ascoltare ed il leggere come un compito nel quale si
rimane passivi e che non impegna in una partecipazione attiva.
La qualità dell’ascolto è condizione indispensabile per
una comunicazione efficace: ascoltare presume una presa di distanza
dalla propria vita emotiva profonda, dai conflitti che turbano la serenità
interiore; in sintesi: fare silenzio.
Se il silenzio non è
che assenza di parola, non crea ascolto. Il silenzio è ascolto solo se è un
silenzio d’ascolto. Il silenzio d’ascolto corrisponde alla
riflessione, percezione, elaborazione, diagnosi. Certamente ci sono persone
che, nel colloquio d’ascolto hanno sviluppato tali competenze, come: gli psicoterapeuti,
i consulenti, gli avvocati… Tuttavia, possiamo sostenere, con Raffaello
Rossi, che l’auto osservazione è
indispensabile per ciascuno di noi per
entrare nell’universo dell’ascolto. E’ importante anche come genitori ed
educatori, come abbiamo sostenuto nell’esposizione, perché dobbiamo sempre
prevedere le nostre reazioni emotive, i nostri coinvolgimenti particolari,
l’attivazione di nostri meccanismi di difesa quando ci poniamo in ascolto e
vorremmo essere liberi e accoglienti. Pertanto, solo se ci saremo “allenati” ad
osservare e accogliere noi stessi, con le nostre debolezze e i nostri punti di
forza, se saremo stati capaci di ascoltarci, saremo capaci di un ascolto
autentico e costruttivo.
2 – Ascolto come
apertura e accoglienza.
Solo chi è disposto ad imparare dagli altri perché è
cosciente della limitatezza del proprio sapere, solo chi è essenzialmente non
dogmatico e quindi non vuol far trionfare, sempre e comunque, il proprio punto
di vista, sostiene il filosofo H.G. Gadamer, è aperto al “tu”. L’aprirsi
all’ascolto dunque equivale ad ammettere la propria finitezza,
presuppone un sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità
delle proprie conoscenze, è un mettersi comunque in discussione, un riconoscere
nell’altro un collaboratore, una persona che è portatrice di ragioni che non
debbono essere sottovalutate e, nel contempo, è un ammettere che l’altro è
chiamato a valutare e, quindi, ad accogliere o respingere le nostre ragioni.
Sottrarsi all’ascolto equivale a compiere un voto di povertà non necessario, ma
offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi,
comporta la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro
revisione o totale abbandono.
B – La vita chiama
“Mio figlio non parla”, si sente dire spesso.
Proviamo a vedere come ci poniamo noi, nei suoi confronti.
Abbiamo un atteggiamento inquisitorio? (“Dai rispondi!”)
Negativo? (“Vediamo che cosa hai combinato!”)
Punitivo? (“Quando c’è paura, non ci si apre”)
Quale potrebbe essere l’atteggiamento giusto?
Accoglienza, confronto, clima disteso,…
Pensiamo ad una tartaruga. Chiusa nel suo carapace è al
sicuro. Se vogliamo farla uscire non dobbiamo gridare, e nemmeno dare colpi sul
carapace, ma avvicinarci con calma, con voce invitante… e magari con una foglia
di lattuga…
v. anche
appendice n°5 e n° 6 e n° 11
C – L’attivazione
D – In ascolto della
Parola
In quel giorno Gesù, uscito di casa, se ne stava seduto
sulla riva del mare.
2
Poiché era accorsa a lui una gran folla, salì sopra una barca e là rimase seduto,
mentre tutta la folla stava sulla riva.
3
Allora parlò loro a lungo in parabole. Disse: «Uscì un seminatore per seminare;
4 nel
gettare il seme, parte di esso cadde lungo la via; vennero gli uccelli e se lo
mangiarono.
5 Parte
cadde in un suolo roccioso, dove non c'era molta terra; e così per mancanza di
terreno profondo nacque subito;
6 ma al
sorgere del sole rimase bruciato e, non avendo radici, seccò.
7 Parte
cadde fra le spine; ma queste, crescendo, lo soffocarono.
8
Infine, una parte cadde su terreno buono, tanto da dar frutto dove il cento,
dove il sessanta, dove il trenta.
9 Chi
ha orecchi, intenda!». (Mt 13,1-9)
E – Consegna educativa: leggere insieme la parabola del seminatore
Mese di NOVEMBRE
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Parola da concettualizzare: RI-CONOSCERSI FIGLI
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SECONDO INCONTRO
focus: Riconoscersi figli nello sguardo del Padre
Sviluppo della tematica: per riconoscersi figli bisogna riconoscere
la paternità
“Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato”
(Lc 15,1-32)
“Oggi non abbiamo più neppure il tempo per guardarci, per
parlarci, per darci reciprocamente gioia,
e ancor meno per essere ciò che i nostri figli si
aspettano da noi,
che un marito si aspetta dalla moglie e viceversa.
E così siamo sempre meno in contatto uno con gli altri.
Il mondo va in rovina per mancanza di dolcezza e di
gentilezza.
La gente è affamata di amore, perché siamo tutti troppo
indaffarati”
(madre Teresa di
Calcutta, “Cammino semplice”)
“Se quello che i mortali desiderano potesse avverarsi,
per prima cosa vorrei il ritorno del padre”
(Telemaco, figlio di Ulisse)
A – la comprensione:
A.1 – Introduzione
Ci riconosciamo creature perché c’è un creatore.
Ci riconosciamo figli perché ci sono un padre ed una
madre.
Sembrano due assunti logici, ma non è sempre così. Basta
mettere in discussione l’origine del nostro essere o disconoscere l’amore
creativo è già non ci sentiamo creature (per estensione: non riconosciamo in
tutte le creature la loro ragione di esistere; v. l’enciclica “Laudato si”) e
non riconosciamo nel padre (e la madre)la sua
(loro)tenerezza.
A.2 – l’incontro con
il Padre
In questa ricerca di chiarimento, di quanto sopra esposto,
ci facciamo sostenere dalla parabola
dell’evangelista Luca dell’”amore frustrato del Padre”, meglio
conosciuta “del figliol prodigo” commentata, in questa argomentazione, dal
priore di Bose Enzo Bianchi
Gesù narra la vicenda di una famiglia che, come tutte le
famiglie, non è ideale, non è esente dalle sofferenze e dall’irregolarità dei rapporti.
Essa è composta da un padre e da due figli, nati e cresciuti nello
stesso ambiente eppure capaci di due esiti formalmente diversi, agli antipodi:
in realtà, però, entrambi sono accomunati dalla non conoscenza del padre
e dalla volontà di negarlo. Il figlio minore
esige, reclama, rivendica, forza la mano al padre, che accorda i beni richiesti
consentendo al figlio di allontanarsi da quella casa che sentiva come una
prigione e dallo sguardo paterno “che percepiva giudicante”. Le vicissitudini
della vita lo fanno ritornare, non per amore verso il padre, ma solo per
interesse personale. Ma ecco: nell’accoglienza
incondizionata e nell’abbraccio riconosce il padre in modo diverso
da come l’aveva conosciuto quando viveva con lui; è come se questa scoperta lo
risuscitasse, lo rimettesse in piedi, gli desse la possibilità di una nuova
vita in comunione con lui.
Anche il figlio maggiore, pur essendo restato accanto al
padre, non lo aveva conosciuto, non aveva mai letto il suo cuore, non
aveva fiducia in lui e da lui non aveva imparato nulla: per questo giudica e
condanna! E’ ancora una volta il padre a doverglielo svelare: “Figlio, tu
sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo..”
Questa è davvero la parabola dell’amore frustrato di quel
padre che ha amato fino alla fine (cf. Gv. 13,1), totalmente,
gratuitamente, e che invece è apparso un padre-padrone in virtù delle
proiezioni che entrambi i figli hanno fatto su di lui.
A.3 – padre e figlio:
una relazione educativa
Capita così a volte anche nei rapporti tra i padri[15]
(genitori) e i figli di questo mondo.
Il fatto fondamentale
dell’esistenza è l’uomo con l’uomo. Così, secondo il filosofo dell’incontro
Martin Buber, la struttura dell’uomo è la relazionalità. L’uomo diventa
IO a contatto con un TU. Tale relazionalità IO/TU è comunque orientata verso il
NOI, passando attraverso una modalità di cerchi concentrici, dal rapporto interpersonale
a quello comunitario, fino all’orizzonte più ampio della comunità
globale. Ogni cerchio o passaggio è comunque autentico solo se riproduce il
paradigma originario del rapporto IO7TU. Per acquisire questa modalità
nella sua dimensione autentica ed esistenziale, c’è bisogno dell’adulto. Il
ruolo dell’adulto è fondamentale in un processo di crescita per individuare
e sostenere le fragilità, per aiutare a gestire il cambiamento, per avviare
a vivere la dimensione degli affetti e dei sentimenti con sempre più consapevolezza
e capacità di autocontrollo (v. le azioni - atteggiamenti del “padre” dalla
parabola sopra commentata).
Ecco che, all’interno di questa riflessione, la relazione
adulto/genitore – figlio si scopre una relazione d’amore, una relazione
d’aiuto, con una espressione: una relazione educativa che “nutre” e consente al
figlio di far emergere la propria interiorità sgombra da pre-giudizi e
pre-concetti.
I figli hanno bisogno di stabilità e di continuità. La
stabilità si persegue avendo conoscenza delle proprie origini, nel riconoscersi
figli, mantenendo un senso di continuità nel tempo; la continuità ha origine
nel padre e nella madre, ossia in una generatività non solo biologica, umana,
ma anche esistenziale e sociale.
Per riconoscersi
figli, quindi, è necessario accogliere la figura del padre che, per quanto
potente nella sua statura psicologica e morale, rimane l’unica possibilità per
attuare quel cammino di conversione interiore che ci fa diventare autenticamente
figli.
B – La vita chiama
attivazione:
Proposte:
film – “L’incompreso” origine: Italia - Francia. Genere:
psicologico - drammatico. Produzione: Rizzoli film SPA. Regia: Luigi Comencini.
Interpreti: Stefano Colagrande, Simone Gannorri, Anthony Quayle, ecc.
Classifica del Centro Cattolico Cinematografico: per tutti
Preghiera per i genitori di J. Hainout “la prière de la
route” (in appendice n° 7) Preghiera
O Signore, dacci il nostro buon senso quotidiano!
O Signore, fa che preferiamo la serenità del figlio alla sua
fama.
O Signore dacci le mani di Marta e il cuore di Maria!
O Signore liberaci dal possesso dei nostri figli.
O Signore, non darci ciò che desideriamo, ma dacci ciò di
cui abbiamo bisogno.
O Signore, fa che ci occupiamo di più dei figli e ci
preoccupiamo di meno!
I bambini sono libri aperti, ma tante volte non sappiamo
leggerli. Facci scuola Signore!
Fa che ci convinciamo che l’incoraggiamento è più necessario
del rimprovero.
O Signore, fa che i figli guardando noi, gustino Te!
Alle nostre parole d’oro fa’ che non seguano fatti di piombo!
Signore, fa che i nostri figli non siano costretti ad
imparare la buona educazione, senza vederla praticata.
Signore, insegnaci a guardare in alto, non in aria!
(Pino Pellegrino)
C –
riappropriazione Anche i
genitori sono figli: figli dei loro genitori, ma soprattutto figli di Dio. Se
ce ne ricordassimo più spesso, forse saremmo meno ansiosi e ansiogeni, meno
irritati e irritanti. (in appendice n°8 vedi la preghiera di Pino Pellegrino).
Leggere insieme e
adagio ogni frase preghiera.
Chiedere se c’è
qualcuno che si riconosce in una delle frasi proposte, oppure se ce n’è una che
ritiene importante, oppure una che vuole provare a mettere in pratica.
D – In ascolto
della Parola
IEP Lc 15,1 Gli
esattori delle tasse e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo.
2 I farisei e i dottori della legge
mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con essi».
3 Allora Gesù disse loro questa
parabola:
4 «Chi di voi, se possiede cento
pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto per andare a
cercare quella che si è smarrita, finché non la ritrova?
5 Quando la trova, se la mette sulle
spalle contento,
6 ritorna a casa, cònvoca gli amici
e i vicini e dice loro: “Fate festa con me, perché ho trovato la mia pecora che
era perduta”.
7 Così, vi dico, ci sarà gioia nel
cielo più per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che
non hanno bisogno di conversione».
8 «O quale donna, se possiede dieci
dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza bene la casa e si mette
a cercare attentamente, finché non la trova?
9 Quando l'ha trovata, chiama le
amiche e le vicine di casa e dice loro: “Fate festa con me, perché ho ritrovato
la dramma che avevo perduta”.
10 Così, vi dico, gli angeli di Dio
fanno grande festa per un solo peccatore che si converte».
11 E diceva: «Un uomo aveva due
figli.
12 Il più giovane disse al padre: “Padre,
dammi subito la parte di eredità che mi spetta”. Allora il padre divise le
sostanze tra i due figli.
13 Pochi giorni dopo, il figlio più
giovane, raccolti tutti i suoi beni, emigrò in una regione lontana e là spese
tutti i suoi averi, vivendo in modo dissoluto.
14 Quando ebbe dato fondo a tutte
le sue sostanze, in quel paese si diffuse una grande carestia ed egli cominciò
a trovarsi nel bisogno.
15 Andò allora da uno degli
abitanti di quel paese e si mise alle sue dipendenze. Quello lo mandò nei campi
a pascolare i porci.
16 Per la fame avrebbe voluto
saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
17 Allora, rientrando in se stesso,
disse: “Tutti i dipendenti in casa di mio padre hanno cibo in abbondanza, io invece
qui muoio di fame!
18 Ritornerò da mio padre e gli
dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te;
19 non sono più degno di essere
chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi mercenari”.
20 Si mise in cammino e ritornò da
suo padre. Mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione.
Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
21 Il figlio gli disse: “Padre, ho
peccato contro il cielo e dinanzi a te. Non sono più degno di essere
considerato tuo figlio”.
22 Ma il padre ordinò ai servi: “Presto,
portate qui la veste migliore e fategliela indossare; mettetegli l'anello al
dito e i sandali ai piedi.
23 Prendete il vitello grasso e
ammazzatelo. Facciamo festa con un banchetto,
24 perché questo mio figlio era morto
ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far
festa.
25 Ora, il figlio maggiore si
trovava nei campi. Al suo ritorno, quando fu vicino a casa, udì musica e danze.
26 Chiamò uno dei servi e gli
domandò che cosa fosse successo.
27 Il servo gli rispose: “È
ritornato tuo fratello e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché
ha riavuto suo figlio sano e salvo”.
28 Egli si adirò e non voleva
entrare in casa. Allora suo padre uscì per cercare di convincerlo.
29 Ma egli rispose a suo padre: “Da
tanti anni io ti servo e non ho mai disubbidito a un tuo comando. Eppure tu non
mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.
30 Ora invece che torna a casa
questo tuo figlio che ha dilapidato i tuoi beni con le meretrici, per lui tu
hai fatto ammazzare il vitello grasso”.
31 Gli rispose il padre: “Figlio
mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo;
32 ma si doveva far festa e
rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto
ed è stato ritrovato”». (Lc 15,1-32)
E – Consegna educativa: imparare insieme il
Salmo 50
Mese di GENNAIO
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Parola da concettualizzare: RINGRAZIARE
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TERZO INCONTRO – focus: tutto è dono
Sviluppo della tematica: La vita è una sorpresa di cui stupirsi ed
essere grati
Noi dobbiamo a Dio la
gratitudine di avere la gratitudine
Preghiera della liturgia ebraica
Che cosa possiedi che tu non l'abbia
ricevuto?
(Cor 4,7)
A – La comprensione
A.1 - «Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7). Se ci pensiamo bene S. Paolo
afferma una grande verità: tutto ci è stato donato a partire dal dono più
grande della vita.
In un viaggio a ritroso nella nostra
esistenza incontriamo tante persone che dobbiamo ringraziare per quello che abbiamo
ricevuto.
Il ricordo affettuoso e grato va a chi ci ha
voluti e ci ha amati dal primo momento del concepimento, ai nostri genitori che
hanno atteso con trepidazione la nostra nascita, attenti ad ogni battito del
nostro cuore, ad ogni piccolo movimento nel grembo materno fino al primo vagito
e alla scoperta di quel viso tante volte immaginato. Siamo cresciuti per le
attenzioni e l’amore di chi si è preso cura di ogni nostra necessità materiale
e spirituale.
«Che cosa possiedi che tu non l'abbia
ricevuto?»
Ma il viaggio a ritroso continua e la
nostra mente si riempie subito di ricordi, di volti, di gesti, di incontri.
Ricordi di persone care, volti di amici, di insegnanti, di familiari, gesti di
amore, incontri felici e da tutti abbiamo ricevuto qualcosa che ora fa parte
integrante del nostro essere. Sono tutti doni che ci hanno fatto diventare
quello che siamo: è il bagaglio della nostra vita! A tante persone dobbiamo una
parte di noi stessi!
«Che
cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?»
La gratitudine
passa attraverso la capacità di stupirsi delle
piccole cose e
il recupero della consapevolezza che in tutto ciò di cui disponiamo, non c’è
nulla di scontato. Dovremmo educare i nostri figli e noi stessi allo stupore
davanti alle sorprese di ogni giorno: il sorriso di un bimbo, lo sguardo di un
amico, un gesto di affetto, una parola gentile, un fiore, un’aurora, un
tramonto, un cielo stellato. Tutto dovrebbe diventare motivo di meraviglia.
Allora dal cuore partirà un sentimento di gratitudine spontaneo ed immediato
che ci farà dire con gioia: GRAZIE!
A.2 - La gratuità
fa la differenza rispetto alla cultura dominante
Ringraziare non deve mai diventare un dovere, un obbligo: ne
risulterebbe una vuota ostentazione. Deve essere invece un moto del cuore che
nasce anche da un profondo atto di umiltà. Pronunciando un grazie riconosco il
valore dell'altro nella mia vita, del suo esserne parte in causa, riconosco che
non sono autosufficiente e ho sempre bisogno degli altri, riconosco che nulla
mi è dovuto, che ricevere non è un diritto.
Vuol dire andare in
qualche modo contro corrente rispetto alla logica della nostra attuale società
dove domina il culto incondizionato del “mio io”, il pretendere prima del
donare, il possedere prima del condividere, i diritti prima dei doveri.
Abbiamo perso il
senso della gratuità e della gratitudine. Nelle scelte concrete della nostra
vita quotidiana, siamo sempre frenati da un dubbio: ne vale la pena? Vale la
pena spendersi per gli altri, essere generosi, rendersi disponibili senza
riserve? Meritano gli altri che io faccia tanto? Ne vale la pena?
Questo dubbio ricorrente è certo
giustificato: esso trova infatti conferma nelle tante piccole delusioni che
sperimentiamo ogni giorno. E tuttavia – alla lunga – un simile dubbio ci
inganna: perché ci induce sempre da capo a rimandare ogni scelta impegnativa,
in quanto appunto non ne vale la pena. Ci accade così di trascorrere
inutilmente la vita, senza trovare la libertà di donarla gratuitamente – e
dunque di realizzarla –senza calcoli preventivi,
senza pretendere nulla in cambio.
E’ nella gratuità
che la persona conquista tutto ciò che è più importante individualmente e per
la società intera. Tutto ciò che esiste di più sublime, di determinante, di più
bello e armonioso, avviene gratis e senza alcuna aspettativa di
tornaconto.
Ma la gratuità non si
riduce solo ad assenza di ricompensa (gratis, costo zero). Più che al “costo
zero”, la gratuità si associa a un valore infinito: qualunque traduzione monetaria
la svaluterebbe. Essa esige anche una motivazione interna positiva che sia
espressione di libertà e di apertura all’incontro interpersonale, di accoglienza
gioiosa e di rispetto dell’altro. Non a caso lo stesso vocabolo greco kharis (grazia,
fonte di gioia) è all’origine delle parole “carisma” e “carezza”. Se viene a
mancare questo elemento relazionale, si potrà parlare di altruismo,
beneficenza, filantropia, ma non di gratuità; sarà per gli altri, ma non con
gli altri; creerà dipendenza, umiliazione, ma non reciprocità né autentica
relazione.
A.3 - Cristo modello
di gratuità
Nel Dio fatto uomo abbiamo l’esempio più luminoso ed
autentico della gratuità «Da ricco che era, si
è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà»
(2 Cor 8,9). Gesù, da buon educatore, non fa prediche, ma ci propone esempi
concreti di amore gratuito. Il Padre della parabola che vede un figlio andarsene
lontano o il pastore che perde una delle 100 pecore non si chiedono se valga la
pena di riaccogliere quel figlio che era tornato oppure andare in cerca
dell’unica pecora che si era perduta. Non hanno fatto calcoli: hanno amato e
basta!
B – La vita
chiama:
Proposte:
A- Canzone: “E da qui” – Nek
Gli amici di sempre,
e ti fanno sentire il calore
gli abbracci più lunghi
ed è quella la sola ragione
la musica, i libri, aprire i regali,
per guardare in avanti e capire
i viaggi lontani che fanno sognare,
che in fondo ti dicono quel che sei.
i film che ti restano impressi nel cuore,
È bello sognare di vivere meglio,
gli sguardi e quell'attimo prima di un bacio,
è giusto tentare di farlo sul serio
le stelle cadenti, il profumo del vento,
per non consumare nemmeno un secondo
la vita rimane la cosa più bella che ho...
e sentire che anche io sono parte del mondo
Una stretta di mano,
e con questa canzone dico
tuo figlio che ride,
quello che da sempre so
la pioggia d'agosto
che la vita rimane la cosa più bella che ho...
e il rumore del mare,
E da qui
un bicchiere di vino insieme a tuo padre,
non c'è niente di più naturale che fermarsi
aiutare qualcuno a sentirsi migliore
un momento a pensare che le piccole cose
e poi fare l'amore sotto la luna
son quelle più vere le vivi le senti e tu
guardarsi e rifarlo più forte di prima,
ogni giorno ti renderai conto che sei vivo
la vita rimane la cosa più bella che ho...
a dispetto del tempo
E da qui
quelle cose che hai dentro le avrai al tuo fianco
non c'è niente di più naturale che
e non le abbandoni più
fermarsi un momento a pensare
e non le abbandoni più
che le piccole cose son quelle più vere
dicono chi sei tu...
e restano dentro di te
B- Fiaba indonesiana
Si avvicinava la stagione delle piogge ed un uomo molto
anziano scavava buchi nel terreno.
“Che cosa stai facendo”? gli chiese il vicino.
“Pianto alberi di mango”, rispose il vecchio.
“Pensi di riuscire a mangiarne i frutti?”
“No, io non vivrò abbastanza a lungo per poterne mangiare,
ma gli altri sì. L’altro giorno ho pensato che per tutta la vita, ho gustato
manghi piantati da altri. Questo è il mio modo di dimostrare la mia riconoscenza”.
L’uomo moderno s’indigna, protesta, si vendica, raramente
ringrazia. Eppure tutto quello che abbiamo, lo dobbiamo a qualcuno… Dire GRAZIE
significa non pensare che tutto ci è dovuto.
Il grazie detto ai figli è un rinforzo positivo.
Avete mai pensato, come genitori, di scrivere una lettera
ai vostri figli, magari per una occasione speciale, per dire loro una valanga
di grazie?
Se li meritano? Forse no, forse sì. Ma non importa è un
dono: nuovo, diverso, una sorpresa vera.
Grazie, perché…(brainstorming)
Già, perché? Provate a pensare alla loro storia, alla
vostra gioia, alle loro battute, alle loro ingenuità, alle cose belle fatte e
vissute insieme… Basta iniziare…il resto verrà da sé.
D – In ascolto
della Parola
12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro
dieci lebbrosi. Questi si fermarono ad una certa distanza
13 e ad
alta voce dissero a Gesù: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
14 Appena
li vide Gesù disse: «Andate dai sacerdoti e presentatevi loro». E mentre quelli
andavano, furono guariti.
15 Uno di
loro, appena vide di essere guarito, tornò indietro glorificando Dio a gran
voce
16 e si
gettò bocconi per terra ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un samaritano.
17 Gesù
allora disse: «Non sono stati guariti tutti e dieci? Dove sono gli altri nove?
18 Non è
ritornato nessun altro a ringraziare Dio all'infuori di questo straniero?».
19 E gli
disse: «Àlzati e va': la tua fede ti ha salvato». (Luk 17:12-19 IEP)
E – Consegna
educativa: preghiera serale del ringraziamento. “Grazie perché….”
Mese di FEBBRAIO
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Parola da concettualizzare: CONFESSARE
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QUARTO INCONTRO – focus: “dalla miseria alla misericordia”
Sviluppo della tematica: dal peccato/castigo al perdono
incondizionato
La bontà di Dio smaschera l’ipocrisia
Nel cuore dell’empio parla il peccato,
davanti ai suoi occhi non c’è timor di Dio.
Poiché egli si illude con se stesso
Nel ricercare la sua colpa e detestarla.
…Concedi la tua grazia a chi ti conosce
la tua giustizia ai retti di cuore
Salmo 36 (35)
A – la comprensione:
A.1 - introduzione
Confessare: verbo dalla valenza giuridica e
penitenziale. “Si confessa un reato”, “si confessa una colpa”.
Nell’affermazione è sottesa una dimensione giudicante: alla confessione
del reato e della colpa, segue la condanna e la pena che, secondo una logica
retributiva[16], equipara la pena alla
colpa. Molti di noi hanno talmente sedimentato, nel tempo, tale convinzione
che, per traslazione, l’azione sacramentale del confessare viene,
spesso, paragonata ad un’udienza in tribunale, dove la “requisitoria” non
concede attenuanti, eludendo il perdono.
2 – il perdono
vivificante
Anche al tempo di Gesù, (ma anche fine I secolo e inizio II
secolo) le dimensioni del peccato/castigo rispetto al perdono si erano
allargate a dismisura con una conseguente grave distorsione della stessa
immagine di Dio: visto più come giudice supremo e vendicatore che come “Dio
che ha sentimenti di misericordia” (cfr. Lc. 1,78; Colossesi 3, 12).
“Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra
contro di lei” (Gv. 8, 1-11)
Gesù sovverte tutto il vecchio ordinamento legale, invita a
mettersi ai piedi non di un codice penale ma del mistero della persona. Non si
erige a giudice, ma libera il futuro di quella donna, cambiandole non il
passato ma l’avvenire: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Non le chiede
di confessare il peccato, non le chiede di espiarlo, non le
domanda neppure se è pentita. Sant’Agostino nel commento al Vangelo di
Giovanni afferma quando tutti si sono allontanati”restano solo due, la
miseria e la misericordia”. Gesù non è venuto “per condannare il mondo,
ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv. 3,17) non rimprovera
la donna e neppure la invita a pentirsi e a chiedere perdono almeno a Dio,
questo le è già stato donato incondizionatamente. Con il perdono vivificante
la donna viene rafforzata per la vita e per il trionfo della “giustizia” (non
quella “esercitata” ma “donata” da Dio).
3 – riflessioni
conclusive
Riprendendo le riflessioni fatte in apertura, parlando di “peccato”si
deve considerare la realtà sociale culturale contemporanea, nella quale il
senso del peccato ha cambiato connotazioni rispetto all’epoca moderna,
medioevale, antica. Il senso del peccato oggi non può essere dato per scontato.
E’ stato detto che il peccato più grave e pericoloso della nostra epoca,
nell’Occidente, è la perdita del senso del peccato. Quasi
fosse banale compiere il male, delegando le responsabilità del nostro agire
ad altri o al contesto ambientale e socio – culturale. Il peccato è una
possibilità tragica della libertà umana, sostiene il moralista R. Tamanti, che
comporta una diminuzione dello spazio di libertà soggettivo che l’uomo
sperimenta; nel peccare, l’uomo non amplia il suo spazio di libertà, come erroneamente pensa, ma lo restringe. Nel riconoscere
la propria “mancanza”, nel prenderne consapevolezza, non viene diminuita
l’immagine che si ha di se stessi, ma esaltata. La persona, nell’errore, nello
sbaglio, nel limite, riconosce è afferma la propria fragilità, ossia la propria
umanità.
Non possiamo salvarci da soli
Anche noi, afferma Ermes Ronchi, nel commento al Vangelo di
Giovanni, possiamo trovare l’equilibrio tra la regola e la compassione, immergendoci
nella concretezza di un volto e di una storia, non in un’idea o una norma.
Imparando dall’intimità e dalla fragilità, maestre di umanità. Il perdono di
Dio è un atto creativo: apre sentieri, ti rimette sulla strada giusta, fa
compiere un passo avanti, spalanca futuro. Non è un colpo di spugna sugli
errori del passato, ma è di più, un colpo d’ala verso il domani.
Ognuno di noi ha bisogno di sentire questa paterna premura;
per questo è necessario rinunciare a qualsiasi giudizio temerario, dice don Tiberio
Cantaboni, nei confronti dell’altro, perché quel giudizio un giorno o l’altro
si ritorcerà contro chi lo ha emesso. Il compito di ognuno è invece quello di “aprire
una strada”, di offrire speranza laddove il peccato ha abbruttito la vita, e
così renderla nuova e capace di un cammino spedito nel vero bene, dimenticando
il passato e protendendosi verso il futuro.
Il verbo confessare, in ultima analisi, ci rimanda anche al
concetto di confidare ad altra persona qualcosa di intimo o di segreto.
Tale atteggiamento si realizza se ci fidiamo dell’altro, se crediamo nel nostro
interlocutore; non ci si affida a qualcuno a cui non si riconoscono
qualità morali quali: il rispetto, l’ascolto autentico, la riservatezza e la
segretezza.
Tante persone vivono in un “ergastolo interiore”,
schiacciate da sensi di colpa per errori passati. E’ necessario trovare il coraggio
di aprirsi, di affidarsi a qualcuno che lenisca il dolore, che ci aiuti a
ritrovare il senso della nostra vita. Abbiamo visto come, il rimorso e il senso
di colpa, possano limitare la nostra capacità di crescere, di donare. Fatto
pace con il passato, guardiamo al futuro con nuovi occhi, con un nuovo spirito,
verso una riconquistata libertà.
B – La vita chiama:
7 volte ho disprezzato la mia anima
La prima quando l’ho vista temere di raggiungere l’altezza.
La seconda volta quando, incontrando uno zoppo, si è messa
pure lei a zoppicare per non sembrare diversa.
La terza volta quando, potendo scegliere tra la via
difficile e quella facile, ha scelto la facile, credendo che fosse quella
giusta.
La quarta volta quando mentì e si scusò dicendo: “Così fan tutti”.
La quinta volta quando rifiutò di giocare per paura di
perdere.
La sesta volta, invece di avere coraggio della propria
opinione, ebbe il coraggio dell’opinione altrui.
La settima volta quando scelse la muffa invece
dell’avventura.
(Pino Pellegrino)
C – L’attivazione
-In piccoli gruppi si potrebbe riflettere per capire il
significato di ogni frase proposta.
D – In ascolto
della Parola
tino si presentò di
nuovo al tempio e tutto il popolo accorreva a lui e, sedutosi, li istruiva.
3 Ora gli scribi e i farisei conducono
una donna sorpresa in adulterio e, postala in mezzo,
4 gli dicono: «Maestro, questa
donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
5 Ora, nella legge Mosè ci ha
comandato di lapidare tali donne. Tu, che ne dici?».
6 Questo lo dicevano per tendergli
un tranello, per avere di che accusarlo. Gesù, però, chinatosi, tracciava dei
segni per terra con il dito.
7 Siccome insistevano nell'interrogarlo,
si drizzò e disse loro: «Quello di voi che è senza peccato scagli per primo una
pietra contro di lei».
8 E chinatosi di nuovo scriveva per
terra.
9 Quelli, udito ciò, presero a
ritirarsi uno dopo l'altro, a cominciare dai più anziani, e fu lasciato solo
con la donna che stava nel mezzo.
10 Rizzatosi allora, Gesù le disse:
«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
11 Rispose: «Nessuno, Signore».
«Neppure io ti condanno -- disse Gesù. -- Va', e d'ora in poi non peccare più».
(Gv 8,2-11)
E – Consegna
educativa: esame di coscienza
Mese di MARZO
|
Parola da concettualizzare: CONVERTIRSI
|
QUINTO INCONTRO – focus: prendere coscienza della nostra
vera identità
Sviluppo della tematica: CONVERTIRSI
“La nostra conversione è la risposta riconoscente
al mistero stupendo dell’amore di Dio”.
Papa Francesco
Esistere è cambiare,
cambiare è maturare,
maturare è continuare a
creare se stessi senza fine. Henri Bergson
“E se diventi farfalla
nessuno pensa più
a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali.”
Alda Merini
A – La
comprensione:
A.1 – Siamo
incamminati per una strada…
Imboccare una strada e proseguire finché non
ci si accorge di aver sbagliato direzione è un’esperienza che tutti possiamo
aver fatto in occasione di un viaggio, di un cammino, di una passeggiata in
montagna. Si può perdere la via o il sentiero e allora non resta che cambiare
direzione se vogliamo raggiungere la meta. Guardiamo una carta stradale o
programmiamo il navigatore, ci informiamo da qualcuno e poi ci avviamo verso un
nuovo senso di marcia.
Anche la nostra vita segue una direzione più
o meno consapevole. Essa è il frutto dell’educazione che riceviamo,
dell’ambiente in cui cresciamo, della cultura che respiriamo, dell’epoca in cui
viviamo, delle scelte che compiamo. Tutto concorre a far prendere al nostro
percorso esistenziale una determinata direzione e in questa proseguiamo, forti
delle abitudini contratte e delle sicurezze acquisite.
Per alcuni può essere una strada abbastanza
diritta, lineare e senza ostacoli, per altri invece può essere costellata di
difficoltà, di imprevisti, di problemi. In ogni caso si tratta della nostra
vita che portiamo avanti più o meno felicemente. Può splendere il sole o
scatenarsi un temporale, ma sappiamo che fa parte della condizione umana, di
questo nostro destino terreno.
A.2-…fino a quando qualcosa cambia.
Eppure ad un certo punto, presto o tardi non
importa, la nostra vita può subire una svolta: un incontro, un incidente di
percorso, un inquietudine interiore, una decisone da prendere, una delusione,
un fallimento, una malattia diventano motivi per una revisione di vita. Dove
sto andando? Qual è lo scopo della mia vita? Chi sono veramente?
È come se, rientrando in me stesso, iniziassi
a vedere le cose in maniera diversa e a capire che devo cambiare, riprendere in
mano la mia vita e magari cambiare direzione, convertirmi.
La conversione non è necessariamente legata
alla dimensione religiosa, ma coinvolge tanti aspetti della vita da quella
etica, comportamentale e quindi più legata alla vita concreta a quella che
riguarda la sfera delle idee, la dimensione intellettuale, ideologica, politica.
Esaminare se stessi e vedere se c’è qualcosa
da cambiare è un segno di umiltà e di intelligenza, è capire che abbiamo sempre
tanto da imparare dagli altri, dagli eventi di tutti i giorni, anche dagli
sbagli che facciamo.
A.3- Cambiare per crescere
Ciò che conta è cambiare per
crescere, per maturare, per essere migliori, per realizzarsi in maniera sempre
più autentica, per ritrovare la nostra vera identità, per volare alto. La
conversione non è solo cambiare direzione, ma è anche puntare verso l’alto.
Convertirsi è ritrovarsi e riconoscersi per
quello che si è, riappropriarsi di se stessi. Tutti abbiamo bisogno prima o poi
di conversione, di prendere quella direzione che ha per meta la felicità per se
stessi e per gli altri. Dentro
ciascuno di noi vive un'aquila. La nostra cultura e i vari sistemi di
addomesticamento spesso ci trasformano in galline che razzolano nella terra. Ma
noi siamo chiamati verso l'alto, verso l'infinito. Dobbiamo liberare l'aquila
nascosta in noi e non accontentarci della mediocrità o del “si è sempre fatto
così”. Le nostre abitudini a volte ci imprigionano in schemi rigidi che non ci
permettono di cambiare e vivere meglio con noi stessi e con gli altri.
B – La vita chiama
(in piccolo o grande gruppo)
Un uomo una mattina, esce di casa, c’è una buca nel
marciapiede, non la vede, ci casca dentro.
Il giorno dopo esce di casa, si dimentica che c’è una buca
nel marciapiede e ci casca dentro.
Il terzo giorno esce di casa cercando di ricordarsi che c’è
una buca nel marciapiede e invece non se lo ricorda e ci casca dentro.
Il quarto giorno vede la buca, cerca di saltarla, ma ci finisce
dentro…
Il decimo giorno si rende conto che è più comodo e sicuro
camminare sul marciapiede di fronte.
Riflettere personalmente (5 – 10 minuti) su questo racconto:
La strada della vita è disseminata di buche: abitudini, vizi piccoli e grandi, mancanze
fastidiose eppure sempre uguali. In famiglia si litiga sempre per le stesse
cose, si confessano sempre gli stessi peccati, si commettono sempre gli stessi
errori. Convertirsi è prendere l’altro marciapiede. Ognuno di noi può
prendere una piccola decisione per cambiare e migliorare se stesso e le
relazioni con gli altri, in famiglia, nel lavoro, in parrocchia….
Sembra strano ma ogni cambiamento produce altri cambiamenti
in me e negli altri.
C – L’attivazione
D – In ascolto
della Parola
Entrato nella città di Gerico, la stava attraversando.
2 Or un
uomo di nome Zaccheo, che era capo dei pubblicani e ricco,
3 cercava
di vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva; c'era infatti molta gente ed egli
era troppo piccolo di statura.
4 Allora
corse avanti e, per poterlo vedere, si arrampicò sopra un sicomoro, perché Gesù
doveva passare di là.
5 Gesù,
quando arrivò in quel punto, alzò gli occhi e gli disse: «Zaccheo, scendi in
fretta, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
6 Scese
subito e lo accolse con gioia.
7 Vedendo
ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!».
8 Ma
Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Signore, io do ai poveri la metà dei miei
beni e se ho rubato a qualcuno gli restituisco il quadruplo».
9 Gesù gli
rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio
di Abramo.
10 Infatti
il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (Lc 19,1-10)
E – Consegna
educativa: eseguire il segno della croce comprendendone il significato simbolico.
F -Bibliografia di
riferimento
Bruno Ferrero, Piccole
storie dell’anima, Elledici
Pino Pellegrino, 365
punti luce per l’educazione, Elledici
Pino Pellegrino, La
pedagogia controcorrente, dei genitori salmone, Astegiano ed.
Daniel Pennac, Grazie,
Feltrinelli
Martin Buber, Il
cammino dell’uomo, Qiqajon
Quarto anno
Mese di SETTEMBRE
|
presentazione del percorso educativo/formativo
|
INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: il dono che rigenera
Obiettivi generali:
Mangiare insieme: aspetto conviviale, aspetto
sacrificale, aspetto di condivisione
Partecipare alla mensa eucaristica
Sensibilizzare all’amicizia con Gesù Eucarestia
Aumentare la
sensibilità dei genitori verso i comportamenti dei figli e dei loro bisogni
formativi.
Scoprire il senso
di un cammino che ci coinvolge e ci porta a “raccontare” (memoriale
eucaristico) ai figli la ricchezza della nostra vita in ricerca del Signore
Gesù.
Competenze:
saper sviluppare empatia per cogliere le emozioni del
proprio figlio: attese, richieste inespresse, ansie.
Saper condividere i suoi vissuti con atteggiamenti di
contenimento: accogliere.
L’educazione
è cosa del cuore
(don Giovanni Bosco)
“Vedere
con gli occhi di un altro,
ascoltare
con le orecchie di un altro,
e
sentire con il cuore di un altro”
(Alfred Adler)
“I
bambini vengono educati da quello che gli adulti sono e non dai loro discorsi”
(Carl Gustav Jung)
“Esiste un solo problema, uno
solo sulla terra. Come ridare all’umanità un significato spirituale, suscitare
un’inquietudine dello spirito. E’necessario che l’umanità venga irrorata
dall’alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli ad un canto gregoriano.
Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi,
politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così” (Antoine
de Saint – Exupéry)
Il poeta tedesco Rainer Maria
Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva
ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto
frequentata.
Un angolo di questa strada era
perennemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti.
La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano
tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla,
mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese,
meravigliata domandò al poeta: “Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?”
“Dovremmo regalare qualcosa al
suo cuore, non alle sue mani”, rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con
una splendida rosa appena sbocciata, la depose nelle mani della mendicante e
fece l’atto di riandarsene.
Allora accadde qualcosa di
inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento
da terra, prese la mano dell’uomo e la
baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno
la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel suo
solito angolo. Silenziosa, immobile come sempre.
“Di che cosa avrà vissuto in
tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulle?”, chiese la giovane francese.
“Della rosa”, rispose il poeta.
Quali tra le seguenti proposte potrebbero avere il profumo
della rosa per i nostri figli?
Ascoltare senza guardare l’orologio.
Un abbraccio in un momento di difficoltà.
Una parola buona: di incoraggiamento, di lode, di sprone, di
perdono.
Visitare insieme una mostra interessante.
Accettarlo sempre (anche quando sbaglia: accetto lui, non il
suo errore)
Una visita ad una chiesa particolare.
Non usare il confronto.
Una piccola preghiera fatta insieme.
Giocare un po’ insieme.
Chiudere un occhio, qualche volta.
Coinvolgere i figli in un lavoro.
Fare insieme una bella sorpresa all’altro genitore.
Aiutare qualcuno in difficoltà.
Farlo sentire utile il più possibile.
Nascondergli una sorpresa nello zainetto della scuola.
“Non è vero che i
figli si amano perché sono i nostri; si amano perché si impara ad amarli”
(Marcello Bernardi, pediatra svizzero)
Opera d’arte: “l’ultima cena” di Leonardo da Vinci
Gesù, al centro, sembra stia finendo di dire: “Uno di voi mi
tradirà”. E l’unica figura non in
movimento. Non è arrabbiato, ma profondamente consapevole di quello che
succederà.
Leonardo entra in ogni personaggio per caratterizzarlo,
esplorandone ogni angolo esistenziale.
Sono tutti scossi, stupiti, increduli.
Sono radunati in quattro gruppi di tre persone.
Prima terna a
sinistra, vicino a Gesù
Pietro è
arrabbiato e va da Giovanni, tirandolo un po’ per la spalla, come per dirgli: “Fatti
dire chi lo tradirà”. Tradire? Inaudito! Mette la mano sul coltello come a
dimostrare che se la vedrà lui, con il traditore (Lui invece … lo rinnegherà!).
Il problema di Pietro, per Leonardo, è sostituirsi a Gesù. “Tu lavarmi i piedi?”
E nell’orto, Gesù gli dirà: “Metti via quella spada”.
Davanti a Pietro c’è Giuda
(v. borsa dei denari). Giuda è il secondo, dopo Gesù, per dire che è uno di
noi.
Il Ghirlandaio, il Perugino, Champaigne e altri mettono Giuda
dall’altra parte del tavolo: è il traditore, l’altro, quello sbagliato.
Rischiamo di dare del Giuda agli altri. Per Leonardo è vedere il male negli
altri e metterli fuori dal giro, mentre tutti siamo peccatori, tutti siamo
suoi, anche con tutte le nostre debolezze.
Rubens sceglie una tavola quadrata e rappresenta Giuda
disperato.
Per Dante i traditori sono collocati nel punto più basso
dell’inferno: nel ghiaccio, dove non c’è vita. Ha ucciso il dialogo.
Giuda sa già la risposta alle domande degli apostoli. Il suo
dramma è pensare che con il denaro risolverà ogni problema. Fragilità umana.
Per quel sacchetto, trancerà tutti i legami con Gesù e gli altri. Col braccio
rovescia il sale: voi sarete il sale …
Giovanni dai
lineamenti femminei, perché è un uomo giovane ed ha un atteggiamento mariano
(mite). Si è sentito dire: “Ecco tua madre” . Ha accolto la Chiesa.
In questa terna è racchiusa la realtà della Chiesa: Mistero Petrino – Mistero Mariano –
Mistero della Chiesa (con Giuda), quando non siamo discepoli, quando come
chiesa tradiamo per potere, per un po’ di pace, per poco coraggio….
Terna a destra vicino
a Gesù
Giacomo fratello
di Giovanni (i figli del tuono). Atteggiamento aggressivo, sembra un leone.
Mentre andavano a Gerusalemme attraversano una città della Samaria, che non li
accoglie e Giacomo: “Vuoi che facciamo scendere del fuoco che li consumi?”. Allarga
le braccia come a croce, sarà il primo martire, ma non morirà in croce.
Tommaso è il più
vicino al volto di Gesù. E’ quello che fa domande. E’ quello che dice: “Andiamo
a morire con Gesù”. Gesù dice a lui: Io sono via, verità, vita. Il dito sembra
indicare la richiesta di fare una domanda, e anche “Se non metto il dito ….”
Vuol vedere che sia veramente quel Gesù che ha visto morire:
nel Risorto vuol vedere i segni della passione e Gesù lo rende testimone del
Risorto.
Filippo (amante
dei cavalli) è l’apostolo dell’amore. E’ in piedi. E’ stato chiamato
personalmente: “Seguimi”. Si apre il mantello come per dire: “Guardami dentro!
Signore non posso essere io”. E’ quello che dice a Gesù: “Signore mostraci il
Padre e crederemo” E Gesù gli risponde:
Da tanto tempo sei con me e tu non mi hai conosciuto? Chi ha visto me,
ha visto il Padre”.
Altra terna a
sinistra
Bartolomeo (Natanaele)
è in piedi, per significare che è stato missionario fino alle Indie. Era stato
chiamato da Filippo (entrambi in piedi) che gli disse: “Abbiamo trovato Colui
di cui si parla in Mosè, nella legge e nei profeti. Sono due ebrei, perciò
sanno bene cosa significa. Quando Gesù lo vede dice: “Ecco un israelita in cui
non c’è falsità”. Lui si protende in avanti per ascoltare, non sentenzia.
Andrea: mani
pulite! E’ quello che chiede a Gesù: “Dove abiti?” E Gesù risponde: “Vieni e
vedi”. Andare significa fare esperienza. A lui dice: “Vi farò pescatori di
uomini”, cioè coloro che tirano fuori il meglio da ogni persona.
Giacomo il minore Che
è simile a Gesù, perché, secondo Marco ev., è cugino di Gesù. Giuda dirà: “Nell’orto
degli ulivi, arrestate quello che bacerò”. Per non sbagliare.
Ultima terna a destra
Giuda Taddeo
(grande cuore) è come se dicesse: lo sapevo, prima o poi doveva succedere. Gesù
parla e lui è rivolto verso l’altro discepolo. E’ colui che chiede a Gesù: “Perché
ti manifesti a noi e non al mondo?” Risposta: “Se uno mi ama osserverà la mia
parola” …. Osserva la mia parola e il mondo mi conoscerà. Il seme, se cade in
un terreno buono dà il 30%, il 50%, il
100%.
Simone il Cananeo che
significa Zelota. Rimanda con le mani a Gesù perché vuole capire di più.
Mentre le parole di Gesù: “Uno di voi mi tradirà” provocano
come un’onda che spinge gli apostoli verso l’esterno, Simone e Bartolomeo che sono ai lati della tavola, rimandano con i
gesti o con lo sguardo a Gesù, sono come due argini che continuano a
convogliare l’onda verso Gesù.
Matteo - Levi –
esattore delle tasse. Un padre spirituale dell’VIII secolo lo descrive così: “Miserando
atque eligendo” (motto di Papa Francesco) cioè: avendolo guardato con
misericordia, lo scelse. E’ disperato: la testa a destra verso gli apostoli
(paura), le mani invece indicano Gesù. Con le mani scriverà il vangelo per indicare Gesù.
Gesù, con una mano prende il pane, e con l’altra lo dona.
Percorso formativo
dei genitori: tempi e nodi tematici:
Settembre
|
Ottobre
|
Novembre
|
Gennaio
|
Febbraio
|
Marzo
|
Incontro
propedeutico
|
Benedire
|
Spezzare
|
Dare
|
Fare memoria
|
Lodare
|
Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: L’EUCARESTIA
Bambini/e di 9 anni – classe quarta - scuola primaria
|
Quadro di riferimento:
Nucleo generativo
|
atteggiamento
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Preghiera
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Vangelo di riferimento
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Icona biblica di riferimento
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Tempo liturgico da vivere e valorizzare
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segno
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Gesto di carità
|
L’Eucarestia
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Incontrare Gesù Cristo
|
Padre Nostro
|
La Passione di Marco
|
Mosè guida nel deserto
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Settimana Santa e Pasqua
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Il Pane
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Raccolta alimentare
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Mese di OTTOBRE
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Parola da concettualizzare: BENEDIRE
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PRIMO INCONTRO – focus: Imparare a pensare positivo
Sviluppo della tematica: Pensare e dire bene migliora se stessi e
gli altri
”Benedire gli altri, dire bene degli
altri e dire bene a Dio degli altri”
Papa Francesco
“Spesso si contraddice un’opinione mentre ciò
che in realtà non ci piace
è il tono con cui è
stata espressa”
F. Nietzsche
A - Comprensione
A.1-Pensare positivo
fa bene a noi e agli altri
Se pensiamo alla
composizione della parola “bene-dire”, cioè “dire bene” ci rendiamo subito conto
che il suo significato va al di là dell’atto liturgico con cui si benedice
qualcuno o qualcosa. Si tratta piuttosto di uno stile di pensare e parlare che
si orienta verso i colori belli della vita, che apre il cuore alla speranza,
che sa scoprire il sole sopra le nubi.
Ormai è accertato anche dalle neuroscienze
che il nostro pensiero può modificare la realtà, che la qualità dei nostri pensieri determina la qualità della nostra vita. Se ci
abituiamo a trovare nelle situazioni della nostra vita il bene, il bello, il
buono che sempre è presente anche nelle situazioni più negative, se sapremo
vedere la foresta che cresce anziché l’albero che cade tutto attorno a noi
assumerà un colore diverso, saremo più sereni e diffonderemo serenità anche
negli altri.
Spesso con il nostro modo di
parlare diventiamo “profeti di morte” anziché “sentinelle del mattino”: “In che
mondo viviamo!”, “Abbiamo toccato l’abisso”, “È la fine del mondo!”.
Espressioni simili contribuiscono a colorare tutto con tinte fosche e a non
cogliere spiragli di speranza. Non possiamo certo negare che ci sono tanti
aspetti negativi nel mondo attuale e i mass media non ci risparmiano notizie di
cronaca nera. Ma cerchiamo di andare controcorrente!
La via Crucis del venerdì santo 2019 con Papa Francesco scandisce per
ogni stazione immagini di dolore e di sofferenza non però per delinearci una
visione disperata, ma per mettere tutto questo male nel cuore di Dio. Ed
infatti la preghiera finale raccoglie tutte le croci del nostro mondo e le vede
alla luce della Croce di Cristo: “Signore Gesù, aiutaci a
vedere nella Tua Croce tutte le croci del mondo” e conclude con queste parole: “Signore
Gesù, ravviva in noi la speranza della risurrezione e della Tua definitiva
vittoria contro ogni male e ogni morte. Amen!”. È solo la Pasqua di
Resurrezione che può dare senso al dolore umano.
Il benedire è il “dire bene” è saper avere occhi di speranza anche nei
momenti e nelle situazioni più disperate, è avere occhi di fede anche quando
non si vede nulla di buono e di bello, è avere sguardi di carità per portare la
vita e l’amore dove regna la morte e l’odio.
Dire bene fa bene a noi e agli altri: ci sono gesti o parole che hanno molto più potere di quello
che pensiamo, ci aiutano ad essere più inclini ad empatizzare con
gli altri e ad assumere comportamenti sociali.
A.2 - Il linguaggio
dell’empatia
Anche il
nostro modo di relazionarci con gli altri è
influenzato dalle parole che usiamo e da come le usiamo. Lo stile di
comunicazione è molto importante e può essere più o meno efficace, tanto da
condizionare la comprensione di quanto si dice (vedi citazione di Nietzsche) ed
influenzare in senso positivo o negativo il nostro interlocutore.
Quante
incomprensioni e quante reazioni negative può causare una inadeguata
comunicazione fra genitori e figli o fra insegnanti e alunni. Come educatori
dobbiamo sempre usare il linguaggio dell’empatia come promozione del benessere
altrui. Per essere empatici non è sufficiente cogliere i sentimenti altrui,
bensì occorre valorizzare l’altro e metterne in risalto le capacità. Come
genitori non dimentichiamo mai di aiutare i nostri figli a puntare gli occhi
verso il BELLO, il BENE, il BUONO prima di tutto dentro di sé e poi negli altri
e nella realtà che ci circonda.
A.3 - Il benedire nella
Bibbia
Ma il
termine benedire ha anche il significato di invocare da Dio grazia e protezione
per qualcuno come fa per esempio il sacerdote nel momento conclusivo della S.
Messa. La liturgia del primo giorno dell’anno riporta questa bella benedizione:
“Ti benedica il
Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti
faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Num 6,
23-25). La benedizione di Dio si è manifestata nella storia della salvezza con
eventi mirabili e salvifici: la nascita di Isacco, l’uscita dall’Egitto, il
dono della Terra Promessa, l’elezione di Davide. Ogni benedizione divina è di
per sé realizzazione certa perché la Sua Parola è viva ed efficace e produce
quello che annuncia, “è insieme parola e dono” (CCC 1078).
Ma anche noi fedeli
possiamo benedire come fece Giacobbe quando benedì suo figlio Giuseppe. E così
un papà e una mamma possono benedire i loro figli per invocare su di loro
l’aiuto e la protezione del Signore.
Questa potrebbe
essere una preghiera di benedizione preceduta dal segno della croce tracciato
sulla fronte dei figli:
Padre Santo, sorgente inesauribile di vita,
da te proviene tutto ciò che è buono;
noi ti benediciamo e ti rendiamo grazie,
perché hai voluto allietare con il dono dei figli
la nostra comunione di amore.
Fa che questi nuovi germogli della nostra famiglia
trovino nell’ambito domestico il clima adatto
per aprirsi liberamente ai grandi ideali
da te proviene tutto ciò che è buono;
noi ti benediciamo e ti rendiamo grazie,
perché hai voluto allietare con il dono dei figli
la nostra comunione di amore.
Fa che questi nuovi germogli della nostra famiglia
trovino nell’ambito domestico il clima adatto
per aprirsi liberamente ai grandi ideali
che tieni in serbo per loro
e che realizzeranno con il tuo aiuto.
Per Cristo nostro Signore. Amen
e che realizzeranno con il tuo aiuto.
Per Cristo nostro Signore. Amen
B – La vita chiama
La peggior cosa che possa capitare ad un uomo
è pensar male di se stesso (Goethe)
Presentare ai genitori un foglio
bianco con disegnato un punto nero, una macchiolina nera. Chiedere ai genitori
cosa vedono.
La maggior parte dirà: “Una punto
nero”.
(Risposta esatta: un foglio bianco
con un punto nero)
Come mai si vede il punto nero e
si tralascia tutta la parte bianca ? Perché quella si dà per scontata. E’ la
macchia che risalta.
Con i nostri figli, spesso succede
così! Vediamo il negativo e ignoriamo, diamo per scontato il positivo.
E’ più facile vedere ciò che
manca.
Occorre impegnarsi, volerle vedere
le cose buone, che ci sono.
Non vogliamo ignorare il punto
nero, anzi, a patto però che ci si concentri anche sul bianco, sulle luci,
sulle positività.
Il maestro poteva essere rigido
quando riteneva che fosse opportuno richiamare qualcuno al dovere. Ma, con
sorpresa di tutti, nessuno si era mai risentito per i suoi rimproveri.
Quando gliene domandarono il
motivo, rispose: “Dipende da come lo si fa. Gli esseri umani sono come i fiori:
aperti e ricettivi alla rugiada che scende dolcemente, serrati alla pioggia
battente.
Lamentazioni o benedizioni?
Quando ci si concentra sul negativo
si attivano le lamentazioni e si diventa noiosi, fastidiosi, inefficaci.
Proviamo invece ad impegnarci a
vedere nei figli il positivo, le luci, le potenzialità.
Cerchiamo di bene-dire, magari con
un complimento, un’approvazione, un incoraggiamento amorevole, una lode, un grazie.
La tenerezza è l’antigelo dell’anima
“Che gran paternità quella degli alberi, che sanno dare a
ciascuno dei loro rami un cammino verso la luce”. (L.
Olivàn)
Come genitori, non dimentichiamo
mai di aiutare i nostri figli a puntare sempre gli occhi verso il bello, il
bene, il buono. Dentro di sé, negli altri, nella natura.
C- L’attivazione
Far scrivere ai genitori delle frasi
relative al bene-dire: un complimento, un’approvazione, un incoraggiamento
amorevole, una lode, un grazie.
Raccoglierle in un cestino.
Mescolarle e ridistribuirle. (se si pesca il proprio cartoncino, lo si rimette
dentro e se ne pesca un altro).
Riflettere sulla frase ricevuta.
D – In ascolto
della Parola Inno di giubilo di Gesù
E) i genitori
benedicono i figli
Mese di NOVEMBRE
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Parola da concettualizzare: SPEZZARE
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SECONDO INCONTRO – focus: “spezzare” le catene
dell’indifferenza, dell’omertà e della rassegnazione.
Sviluppo della tematica: Comprensione, Consapevolezza,
Coraggio, Condivisione, Coesistenza
il colpo di lancia
“Vennero dunque i
soldati e spezzarono loro le gambe
All’uno e all’altro
che erano stati crocifissi con lui”
(Gv.19,32)
I due discepoli di Emmaus
“Quando fu a tavola
con loro, prese il pane,
recitò la benedizione,
lo spezzò e lo diede loro”
(Lc.24, 30)
Istituzione dell’eucaristia
“Poi prese il pane,
rese grazie,lo spezzò e lo diede
loro dicendo:
-Questo è il mio
corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me –
(Lc.22, 19)
“E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”
(Albert Einstein)
“La solitudine è una
tempesta silenziosa che spezza tutti
i nostri rami morti; e tuttavia spinge le nostre radici viventi più a fondo nel
cuore vivente della terra vivente (Kahlil Gibran)
A – La comprensione
Spezzare: un
verbo dal valore polisemico, con una forte connotazione metaforica e
letteraria.
“Spezzare la spirale del silenzio”
Con questo aforisma
indichiamo il coraggio di denunciare le mancanze, le ingiustizie sociali,
istituzionali, agite e perpetrate verso donne, bambini, immigrati, senza fissa
dimora (tutti quegli esseri umani che Papa Francesco chiama “gli scarti” della
società).”La situazione sociale, economica e politica dei migranti e delle
vittime di tratta di esseri umani” afferma suor Eugenia Bonetti, nella meditazione
all’ VIII stazione della via crucis al Colosseo 2019, “ ci interroga e ci
scuote. Dobbiamo avere il coraggio(…)di denunciare(…)quali crimini contro l’umanità.
Tutti noi,(…) dobbiamo crescere nella consapevolezza che tutti siamo
responsabili del problema e tutti possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione(…)Il
povero, lo straniero, il diverso non deve essere visto come un nemico da
respingere o da combattere ma, piuttosto, come un fratello o una sorella da
accogliere e da aiutare”.
“Spezzare le catene dell’indifferenza”
Quando da cittadini
responsabili diciamo “basta” alle storture, alle incongruenze, ai soprusi, alla
violenza,..all’inquinamento del pianeta quale “casa comune” tutelando, con le
nostre scelte, frutto di una nuova consapevolezza, i progetti, i sogni e la
vita delle generazioni future.
Spezziamo le catene della rassegnazione,
dell’indifferenza e consentiamo, anche agli
ultimi di riconquistare quella libertà che è sinonimo di dignità, crescita,
realizzazione.
Forse è arrivato il
momento di fare una “piccola rivoluzione” partendo dal basso, dai piccoli gesti
quotidiani. Eshkol Nevo, scrittore israeliano (insegna scrittura creativa nella
scuola da lui fondata), sostiene che tutto inizia da piccoli gesti, da come,
per esempio, spieghiamo ai nostri figli il rispetto e l’apertura verso chi è
diverso da noi. Perché una cosa è certa: non bisogna vergognarsi del
pregiudizio, un’ombra che ci accompagnerà (purtroppo) sempre. Il vero problema
è non riuscire a passare dal pregiudizio al giudizio, ovvero alla comprensione,
alla coesistenza, all’inclusione.
“Spezzare una lancia a favore di
qualcuno”
Così facendo
riconosciamo le ragioni di chi chiede rispetto e giustizia. Non c’è una
ragione, la mia o quella del più forte, ma più ragioni, frutto di percorsi
diversi, di storie diverse, di esperienze diverse. Quando tali ragioni sono
sostenute con onestà e cognizione di causa, meritano tutta la nostra attenzione
e disponibilità all’ascolto e al dialogo.
Talvolta rimaniamo
insensibili alle richieste di ascolto o di aiuto, convinti che non ci riguardino,
perché non ci toccano da vicino.
Allora, accorgiamoci
delle persone che ci stanno accanto, incontriamo i loro sguardi, dimostrando
che insieme, con il contributo di ciascuno, si possono affrontare situazioni difficili,
e anche un cuore spezzato da un forte dolore, dalla sofferenza, può
essere risanato.
Quante situazioni
familiari sono spezzate dal tradimento, dall’incomprensione. Difficoltà
comunicative, fretta, disattenzione innescano meccanismi di solitudine, se non
di abbandono.
Non è facile
cambiare modo di essere, atteggiamenti. Certe abitudini sono sedimentate nel
tempo da diventare, talvolta, un tutt’uno con noi.
“Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in
due da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri
si aprirono e molti corpi santi, che erano morti , risuscitarono” (Mt. 27,51)
“Venuti da Gesù, vedendo che era già morto,
non gli spezzarono le gambe” (Gv. 19, 33)
Gesù è venuto a
rompere le catene dell’indifferenza, della rassegnazione, dell’omertà, a interrompere
la spirale del silenzio. Alla violenza del Golgota si oppone la natura che si
ribella al crimine compiuto. Anche noi, ci dobbiamo “ribellare” e condividendo il
pane spezzato, diventiamo testimoni,come i discepoli di Emmaus, del Risorto
e del suo messaggio di pace e giustizia.
B – la vita chiama:
“il capro espiatorio”
L’alto dirigente piombò all’improvviso nell’ufficio e
rimproverò aspramente il povero responsabile della sezione.
Il responsabile diede una solenne lavata di capo all’impiegato.
L’impiegato chinò la testa, ma tornato a casa si sfogò
urlando con la moglie.
La moglie si rivalse con la figlia, che non aveva messo in
ordine la stanza.
La ragazza sferrò una pedata al cane, che si mise ad
inseguire rabbiosamente il gatto.
La storia si concluse con la morte dei topi.
Questo è ciò che accade nella nostra società, nelle nostre
comunità. Questo è ciò che passa di generazione in generazione.
Aggressione e violenza si spostano dal più forte al più
debole e la pagano sempre i più deboli.
Gesù è venuto per
spezzare questa catena
Anche nelle nostre famiglie a volte ci sono delle catene: e
qualcuno deve pagare.
Perché non trasformiamo aggressione, giudizio, violenza,
pregiudizio, abitudine, routine, schemi rigidi, impulsività, derisione, in
altre modalità che danno pace e fanno crescere tutti?
C – attivazione:
Preparare dei cartoncini con parole di pace: ascolto,
pazienza, stima, bontà, perdono, rispetto, calma, razionalità, confronto,
gradualità, dialogo, vicinanza, comprensione, fiducia, novità,..
Tagliarle a puzzle, mescolarle e distribuire a caso i pezzi.
Invitare a cercare, con calma e gentilezza, l’altro pezzo del puzzle.
Chiedere alla coppia di persone che si è formata, in quale
modo quella parola può spezzare le catene che persistono nelle famiglie.
D – In ascolto
della Parola
Ultima cena
E – preparare
insieme il pane o un dolce.
Mese di GENNAIO
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Parola da concettualizzare: DARE
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TERZO INCONTRO – focus: Capire che “vi è più gioia nel
dare che nel ricevere” Atti 20,35
Sviluppo della tematica: Entrare nella logica del Vangelo
Madre Teresa di Calcutta
«Non possiedo né
argento né oro, ma quello che ho te lo do»
Atti 3,6
“ Come si reggono i
centri? Con le promesse dei ricchi e dei politici e con i soldi dei poveri”
Don Gelmini
A – Comprensione
A.1- Andare controcorrente
Secondo una logica
umana, forse imperante nella società consumistica in cui viviamo, il possedere,
il trattenere per sé, l’accumulare sembra la panacea per raggiungere la felicità.
È la logica del ricco stolto che pensava fra sé: «Anima mia, hai a disposizione molti
beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia» Conosciamo
bene la conclusione della parabola «Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta
la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi
accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».(Lc 12,19-21). È
la logica dei tanti Paperon de’Paperoni che popolano il nostro mondo e che si
chiamano multinazionali, magnati dell’economia, capitalisti. Il rapporto
OXFAM[17] del 22
gennaio 2018 afferma che: «L’1% più ricco della popolazione mondiale detiene
più ricchezza del restante 99%».
Non sempre però il
pensare umano è sinonimo di verità. Gesù si definisce Via, Verità e Vita e
forse se provassimo a mettere in pratica il suo Vangelo, secondo il magistero
di Papa Francesco, il mondo sarebbe più bello e più buono. Le folle al tempo di
Gesù lo rincorrevano ansiose di ricevere tutto quello che sapeva dare: il dono
della Parola, il dono della guarigione fisica e spirituale, il dono
dell’attenzione e dell’ascolto, il dono dell’insegnamento. In Lui trovavano
qualcuno che «insegnava loro come uno che ha autorità, e non
come gli scribi» (Mc 1,22).
A.2 – “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,25)
Come
cristiani non possiamo seguire soltanto la legge del «dare per ricevere»,
perché la nostra identità di uomini e di cristiani, se tali vogliamo essere, si
caratterizza per un sovrappiù di amore, in forza del quale non si fa il bene
per ricevere il contraccambio, ma lo si fa gratuitamente, comunque e sempre,
senza paura di «perdere», poiché il bene che si fa ritorna sempre anche a chi
lo compie: non è mai contro di noi. Così a poco a poco, nelle nostre scelte
impariamo a non essere più schiavi di un criterio puramente umano e utilitaristico
o, peggio, schiavi dei propri interessi, ma ci eleviamo ad un concetto della
vita più nobile e spirituale e ad acquistare la capacità di avere rapporti
autentici e sereni con tutti. Sempre il bene donato suscita altro bene.
In un mondo
dominato dalla violenza, si tesse così silenziosamente una rete di amicizia,
che dice con i fatti che tutti gli uomini sono davvero fratelli, figli di un
unico Dio, tutti incamminati verso un'unica meta. Tutti siamo poveri e deboli,
ma se ci aiutiamo con un “dare
reciproco” le fatiche del cammino si possono affrontare con maggiore fiducia:
là dove uno cade, un altro è pronto a rialzarlo; quando ad uno viene meno il
coraggio, chi gli è accanto diventa per lui un raggio di speranza. Anche questo
è un servizio che siamo chiamati a renderci reciprocamente.
“Cristiani si
diventa, non si nasce”. Questa espressione di Tertulliano sottolinea la
necessità della dimensione propriamente auto-educativa nella vita cristiana.
Dobbiamo cioè educarci, imparare a vivere una vita capace di incarnare i
principi del Vangelo con la convinzione che solo una vita “buona” ci può
permettere di costruire un’esistenza “felice” per noi e per chi è vicino a noi.
A.3-Testimoni della
gioia del dare
E se passiamo dal
piano dell’enunciazione teorica all’esperienza concreta di vita l’elenco di
persone che hanno realizzato la loro vita nel dare più che nel possedere, nel servire gli altri più che nel “servir-si”,
l’elenco si fa lungo e ricco di testimonianze esemplari.
Apostoli
dell’amore, del dono, del servizio
generoso e gratuito vissuti in ogni tempo e che diventano simboli di una fede
che non conosce divisioni religiose, ma che accomuna tutti: credenti e non
credenti, cristiani e non cristiani. Forse è proprio sulla generosità del dare, sull’amore ai fratelli che si
giocherà, nel prossimo futuro, la credibilità del nostro cristianesimo e che ci
permetterà di pregare insieme l’unico Dio, Padre di tutti.
Perché il dare è segno di comunione, di condivisione
fraterna, è segno di autenticità cristiana che attrae più di tante parole.
Leggendo gli Atti degli Apostoli ci rendiamo conto dello stile di vita delle
prime comunità cristiane:«Erano assidui
nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella
frazione del pane e nelle preghiere. […] Tutti coloro che erano diventati
credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva
proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno
di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il
pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e
godendo la simpatia di tutto il popolo».
È vero: chi sa amare, chi sa donare gode la simpatia e l’apprezzamento
di tutti. Un esempio è certamente Madre Teresa di Calcutta, questa piccola
grande donna, che ha saputo fare della sua vita un quotidiano sacrificio
di sé per dare sollievo materiale e
spirituale ai più poveri dei poveri di questa terra.
Un altro testimone
della gioia del dare, vissuto nel secolo scorso, è Marcello Candia (1916-1983),
un ricchissimo imprenditore milanese. Dopo tre lauree (in chimica, farmacia e biologia)
e una venticinquennale attività di industriale, vendette la sua prospera azienda e
si recò all’età di 50 anni in Brasile come
missionario laico, dove mise a disposizione il suo ricco patrimonio per la costruzione
di ospedali, lebbrosari, centri sociali e di accoglienza, oltre che conventi e
scuole. Un famoso settimanale brasiliano lo definì “L’uomo più buono del
Brasile”. È considerato venerabile dalla Chiesa cattolica.
Anche il fenomeno
del volontariato, nato dalla necessità di supplire al vuoto delle istituzioni
pubbliche, è un modo per vivere la solidarietà mettendo gratuitamente a
disposizione di chi ha bisogno il proprio tempo, le proprie risorse e
competenze. Nel panorama variegato del volontariato è in crescita anche il
numero dei giovani che si impegnano nelle forme più diverse: dall’assistenza ai
senza tetto, all’aiuto nelle situazioni di emergenza come terremoti, alluvioni:
sono i cosiddetti angeli della strada o anche angeli del fango.
“Vi è più gioia nel
dare che nel ricevere” perché è la gioia di chi sente di aver realizzato quella
parte più intima e profonda di se stesso che risponde al disegno di amore che
Dio ha pensato dall’eternità per ciascuno di noi.
Scrive Papa
Francesco nell’Evangelii gaudium al n. 2: «Il grande rischio del mondo attuale,
con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza
individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di
piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si
chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più
i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia
del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti
corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in
persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita
degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita
nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto».
B – La vita chiama
Sparirà con me
ciò che trattengo, ma ciò che avrò donato resterà nelle mani di tutti. (Tagore)
“Non si è felici nell’opprimere il prossimo, nel voler
ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo
nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla Sua grandezza! Ma chi prende
su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare
l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio
per i beneficati, egli è imitatore di Dio” (Lettera a Diogneto)
Un imprenditore agrario, di scarsa scienza, partecipava ogni
anno alla fiera più importante della città. Lo straordinario sta nel fatto che
vinceva sempre, anno dopo anno, un trofeo: quello per il “miglior mais
dell’anno”.
Portava il mais alla
fiera e usciva con la fascia azzurra che gli attraversava il petto.
In una di quelle occasioni, un reporter della tivù gli
chiese come facesse a vincere tutti gli anni la competizione per il miglior
granoturco.
La risposta lo lasciò perplesso: il brav’uomo gli confidò
sorridendo che distribuiva i suoi semi migliori a tutti i coltivatori vicini.
“Come mai condividete con i vicini i semi migliori, se essi
sono vostri concorrenti?”
L’agricoltore rispose: “Ma è semplice! Il vento raccoglie il
polline del mais maturo e lo porta da campo a campo. Se i miei vicini
coltivassero un mais inferiore al mio, l’impollinazione farebbe degenerare la
qualità del mio mais. Così se voglio coltivare un mais buono, devo aiutarli a
coltivare il mais migliore, consegnando ad essi i miei semi più buoni”.
Egoista? Opportunista? Astuto?
Siamo sicuri che anche noi daremmo i semi migliori agli
altri?
Eppure “É dando, che si riceve”. Sembra un paradosso … ma è
così!
Fare del bene, …mi fa bene!
La parrocchia è come
un grande campo, dove ognuno può portare il suo contributo per migliorare la
vita di tutti. E il bello è che c’è lavoro per tutti. E ancora più bello è che,
aiutando gli altri, migliora anche la vita della nostra famiglia.
Come possiamo allargare i nostri orizzonti? Come possiamo
aprirci agli altri?
Ci sono delle belle consuetudini:
la cena della via:
gli abitanti di una via decidono di cenare insieme. Si organizzano per trovare
un luogo adatto, per apparecchiare in modo simpatico, per invitare anche quella
famiglia appena arrivata, o quella che è un po’ riservata. Per la cena, la
modalità è: porta e offri, oppure le grigliate. Si sta insieme in allegria, ci
si conosce e piano piano si diventa più solidali, più vicini, più amici: una
famiglia di famiglie.
La gara degli aquiloni,
dove papà e figli lavorano alacremente per preparare aquiloni per tutti.
La castagnata: è
più bello insieme.
Il rosario nelle
case, durante il mese di maggio. Apro la mia casa e invito altre famiglie a
pregare.
Partecipare insieme
alle attività della Parrocchia.
Chi non fa, non
sbaglia, ma anche non produce e non cambia nulla. E poi i talenti si
moltiplicano se li facciamo girare, non se li teniamo nascosti.
C – Attivazione
In piccolo o grande gruppo: riflettere su quali altre
possibilità possiamo proporre per aprirci agli altri, perchè la parrocchia
diventi sempre più una famiglia di
famiglie.
D – In ascolto
della Parola
Mese di FEBBRAIO
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Parola da concettualizzare: FARE MEMORIA
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QUARTO INCONTRO – focus: memoria, ricordo, “fare memoria”
Sviluppo della tematica: far rivivere, rendere presente
il fatto.
“La memoria del passato si è fatta debole,
in realtà non mancano i ricordi
che ci potrebbero sostenere a dare fiato”
(cardinale Martini)
“La memoria è determinante.
Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualcosa che va al di là,
perché con la memoria si possono fare bilanci, delle considerazioni,
delle scelte”
(Mario Rigoni Stern)
La comprensione
A.1: memoria
autobiografica…memoria storica
Nel processo del raccontare la propria storia – nel “raccontar
– si”- l’essere umano compie un esercizio di memoria, perché riprende i fili
della propria esistenza passata e li riannoda, cercando di dare un senso al
proprio percorso di vita. La memoria si fa autobiografia poiché procede
unendo i ricordi, cercando di seguire un ordine temporale nel rispetto di una
certa continuità. Parliamo, invece, di memoria storica quando
ricostruiamo fedelmente, supportati da fonti e documenti, fatti ed eventi
accaduti nel tempo. A tale proposito due date, fra tutte, meritano la nostra
attenzione in questa riflessione relativa alla “memoria e al ricordo” del
nostro passato recente. La prima: il 27 gennaio -”giornata della memoria”:
istituita ufficialmente dalla Repubblica italiana nel 2000 per ricordare
l’orrore a cui furono sottoposti non solo gli Ebrei con la Shoah, ma anche
dissidenti politici, Rom e Sinti, omosessuali, diversamente abili, all’epoca
nazista. L’intento è quello di tenere vivo il ricordo perché non si possa più
perpetrare un simile crimine contro uomini, donne e bambini, rei solo di
appartenere ad una confessione religiosa, ad una razza, ad una idea politica,
ad una identità “diversa”. Scrive Liliana Segre “da testimone – della pagina
più buia della storia del ‘900 - ho voluto rompere il silenzio perché solo onorando
e rispettando la memoria si mantiene in salute la democrazia (…) facendo
crescere uno spazio comune dove le persone siano riconosciute uguali in dignità
e diritti”.La seconda data: il 10 febbraio - “giornata del ricordo”:istituita
nel 2004 la ricorrenza vuole “conservare e rinnovare la memoria della
tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle
terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più
complessa vicenda del confine orientale”.
“Quelli che non
ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”
(La frase si trova incisa in trenta lingue su un monumento
nel campo di concentramento a Dachau)
“Quando non si riesce
a dimenticare, si prova a perdonare”
(Primo Levi)
A.2: dalla memoria al
fare memoria
Fare memoria non
vuol dire ricordare, Vuol dire rileggere un fatto, una persona, uno scritto,
trasportarlo nel presente, renderlo
attuale, vicino.
Scrive Cristina Mazza: “E’ nella memoria dei figli,
riconoscere quanto è stato fatto per loro e prima o poi restituire. Restituire
tutto quello che hanno imparato, sofferto, mangiato, come fosse un grande
regalo a chi si è dedicato a loro, a chi li ha amati, a chi ha investito perché
diventassero “brave persone” capaci di camminare nel mondo. Dobbiamo fare memoria di quello che è stato
perché la memoria non fa dimenticare il passato, ma lo rende vivo dentro di
noi, sempre (…)La memoria non è “zavorra” né tanto meno legame a doppio nodo a
ciò che è stato e che non c’è più (…) deve essere uno scivolo verso l’autonomia,
la presa di responsabilità, lo sguardo al futuro e alle nuove strategie di
azione, ma tenendo sempre il riferimento, avendo sempre uno sguardo dentro la
memoria perché è lì e solo lì che abbiamo le risposte, che troviamo il senso,
che rimettiamo sulla giusta via i nostri piedi. La memoria non è il ricordo
infarcito di emozione. La memoria è la nostra storia, è quello da cui siamo
partiti. La memoria è il sogno che non si spegne mai e che dura in eterno se è
vero sogno. La memoria non arriva dopo la morte di qualcuno. La memoria è ieri,
la memoria è già domani, la memoria è il minuto trascorso e quello che
arriverà. La memoria sono già IO. Noi siamo la nostra memoria. E solo nel fare memoria ci ritroviamo, spalla
spalla nel cammino. Abbiamo il dovere della storia, che non è di qualcun altro,
è quella che altri prima hanno fatto di noi e con noi. Attimi, gesti, pensieri,
soli e lune, figli e figlie, cammini e soste, guerre e riappacificazioni,
distruzione e costruzione (…) i binomi eterni della storia (…) Ma dentro questa
storia.”
A.3: fare
memoria dell’Eucarestia
“Questo è il mio
corpo, che è dato per voi; fate questo
in memoria di me”
(Lc. 22, 19)
E’ chiaro, preciso, sicuro, il comando che Gesù ha dato agli
Apostoli, sostiene don Rodolfo Reviglio, – un vero e proprio mandato, il giorno
prima della sua morte – di “fare memoria”
dell’istituzione dell’Eucarestia, del dono del suo corpo e del suo sangue “per
la remissione dei peccati”. Solo Matteo (26,28) accenna alla remissione dei peccati
(frutto del sangue versato), mentre Luca (22, 19), come pure Paolo (1 Corinzi
11,24 – 25), a lasciarci il comando di Gesù di ripetere il suo dono facendo memoria di lui. Fin dall’inizio
– da subito dopo il dono dello Spirito Santo a Pentecoste – gli Apostoli hanno
ubbidito al comando di Gesù ed “erano perseveranti(…) nella frazione del Pane”
(Atti 2,42).
Ma in che cosa consiste questo “fare memoria”?Non si tratta certo di un semplice ricordare,
tramandare, non dimenticare, come si accennava in apertura. La “memoria” a cui
allude Gesù è una “specialissima Presenza” (come ha scritto Paolo VI
nell’enciclica Mysterium fidei), cioè un modo reale, vero, di “far rivivere”
ciò che fu compiuto allora (anche se si tratta di un esistere in modo
sacramentale, non fisico, ma nemmeno solo simbolico).
Abbiamo tanti modi, noi, per fare memoria: conserviamo lettere, immagini, oggetti di persone
care; i libri di storia tramandano notizie a distanza di secoli e millenni. Nel
cuore, poi, conserviamo ricordi straordinari di persone amate e forse decedute
da parecchi anni.
Nell’Eucarestia, invece, la “memoria” rende presente il
fatto, perché sotto l’apparenza del pane e del vino sappiamo che esiste
realmente tutto Gesù (corpo, sangue, anima e divinità), nel suo gesto sublime
di donarsi e consegnarsi a noi. Possiamo dire che la Chiesa – lungo i secoli
- continua a vivere la memoria
eucaristica e, attraverso questa, a vivere la memoria di tutta la vita di Gesù.
E questa memoria eucaristica, a chi la trasmettiamo? I primi catechisti dei
bambini sono i loro genitori, nella misura e nel modo con cui vivono essi per
primi la memoria eucaristica.
La vita chiama
Le persone hanno una storia, gli animali hanno una storia,
le cose hanno una storia. Oltre ad una storia legata al chi o al che cosa,
perché tutto ha una sua storia, ci sono anche storie di relazione.
Un animale mi ricorda (…)
Un oggetto mi ricorda (…)
Qual è il ricordo più bello legato a te marito – padre, a te
moglie – madre, a voi figli – fratelli?
Che patrimonio ricco di emozioni è la famiglia!
Basta aprire lo scrigno e ne usciranno narrazioni
divertenti, scherzose, curiose, di reciproca conoscenza, di storie finite bene,
di storie finite male, ma che hanno insegnato tanto.
Altro che televisione durante i pasti!
Durante i pasti potremmo accendere l’emittente di famiglia e
ne sentiremmo delle belle!
Certamente occorre che qualcuno cominci, e noi crediamo che
a cominciare debbano essere i genitori. Sono loro che creano il clima nella
famiglia e che sono in grado di coinvolgere, essendo i capifila nel cammino di
vita dei loro figli.
Oltre a raccontare esperienze di oggi, di ieri o magari di
una settimana fa, sicuramente ai vostri figli interessa il racconto della
vostra vita.
C – L’attivazione
Iniziate a raccontare come vi siete conosciuti, che cosa ha
fatto sì che il papà, tra tante donne, scegliesse proprio la mamma, e
viceversa, proprio il papà.
Quanti messaggi sono chiusi in questa narrazione e
sicuramente interessa ai figli perché,in fondo, è il big bang anche della loro
storia.
Poi ci sono le foto, i filmini (…)
E la famiglia vive coesione, intimità, sicurezza, fiducia
(…)
D – In ascolto
della Parola
Mese di MARZO
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Parola da concettualizzare: LODARE
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QUINTO INCONTRO – focus: onorare, osannare, elogiare (…)
biasimare, criticare, denigrare.
Sviluppo della tematica: lodare Dio ed il creato
“La lode è una lusinga abile, nascosta e
raffinata,
che soddisfa in
maniera diversa chi la dà e chi la riceve.
L’uno la prende come
una ricompensa dei suoi meriti;
l’altro la dà per far
notare la sua equità e il suo discernimento”
(Francois de La Rochefoucauld)
“O Dio, mio re, voglio
esaltarti
E benedire il tuo nome
in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire
ogni giorno,
lodare il tuo nome in
eterno e per sempre.
Grande è il Signore e
degno di ogni lode,
senza fine è la tua
grandezza”
(Salmo 145- Lode al Signore re)
A – La
comprensione
Con il lodare e la lode impariamo ad essere familiari fin
dall’infanzia: sono strumenti cardinali di riconoscimento e di approvazione
sociale. Ora, il lodare è un atto verbale: non si loda a gesti. Consiste nel
pronunciare (o scrivere) un elogio verso qualcuno o qualcosa,
apprezzandone qualità e azioni. Lodo la tua risposta equilibrata davanti alla
provocazione, lodo la determinazione che ti ha portato ad un risultato eccezionale,
lodo la tua squisita cucina. Tuttavia, la lode non sempre è autentica e
sincera; talvolta è adulazione,”lusinga abile e raffinata” afferma Francois de
La Rochefoucauld. Quando non si esprime nel suo contrario: biasimo, critica,
denigrazione. Nella vita di ciascuno si alternano le diverse accezioni positive
e meno positive “ due volte nella polvere (…)due volte sull’altar” ci ricorda
Alessandro Manzoni nell’ode “5 Maggio” a proposito della vicenda storica e umana
di Napoleone Bonaparte caratterizzata da grandezza e sconfitta.
Recuperando la riflessione di apertura, la lode quale apprezzamento
può acquisire, anche, il profilo di una celebrazione, di una vera
esaltazione: la preghiera è ricca di lodi elevate a Dio-
“Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del
suo nome,
dategli gloria con la lode(…)
Popoli, benedite il
nostro Dio,
fate risuonare la voce
della sua lode”
recita il Salmo 66, 2.8. Lodare è un verbo dal suono
evocativo, come ci aspettiamo faccia un vero approvare: onorare, osannare,
(…) esaltare:
“ Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni
nel paese che il
Signore, tuo Dio, tu dà.
Leggiamo nell’AT, (Esodo 20,12) quando JHWH stipula la
sua Alleanza sul Sinai con il popolo di Israele
“Osanna!
Benedetto colui che
viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che
viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei
cieli!”
Nel NT, l’evangelista Marco (11, 9-10) ci fa memoria della
lode trionfale con cui la folla di Gerusalemme accoglie e accompagna l’ingresso di Gesù di
Nazareth nella città.
Altissimo,
onnipotente, bon Signore,
tue so le laude, la
gloria e l’honore et omne benedictione.
Ad te solo, Altissimo,
se konfano,
et nullo homo ène
dignu te mentovare.
Laudato sie, mì Signore,
cum tucte le tue creature,
specialmente messor lo
frate sole,
lo qual è iorno, et
allumini noi per lui.
Et ellu è bellu
radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo,
porta significatione.
Laudato sì, mi’ Signore,
per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato sì, mi’ Signore,
per frate vento
Et per aeree t nubili et sereno et omne tempo
per lo quale a le tue
creature dài sostentamento.
Laudato sì, mì Signore,
per sor’acqua,
la quale è multo utile
et humile et pretiosa et casta.
Laudato sì, mì Signore,
per frate focu
Per lo quale ennallumini
la nocte:
et ello è bello, et iocundo et robustoso et forte.
Laudato sì, mì Signore,
per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta
et governa,
et produce diversi
fructi con coloriti flori et herba.
Laudato sì, mì Signore,
per quelli ke perdonano per lo tuo amore
Et sostegno infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano
in pace,
ka da te, Altissimo,
sirano incoronati.
Laudato sì, mì Signore,
per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo homo
vivente po’ skappare:
guai a’cquelli ke
morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke
trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no
‘l farrà male.
Laudate et
benedicete mì Signore et rengratiate
E serviateli cum
grande humilitate.
(S. Francesco d’Assisi, Cantico di
frate sole)
Con questo ultimo celebre canto di lode nasce, nel
1225, la nostra letteratura. E in realtà la lode è l’arteria principale che
irrora tutta la letteratura delle origini: nelle confraternite si diffondono le
laudi (preghiere cantate) mentre, in ambito profano, i poeti cantano le lodi
della donna amata. Certo questo testo, scrive Lucia Masetti (dottoranda in
studi umanistici all’Università Cattolica di Milano), non è un inno alla
natura, ma a Dio: infatti nella sensibilità medioevale ogni aspetto della vita
è segno del divino. Tuttavia questo non svilisce la bellezza dei singoli elementi; al contrario, forse
Francesco d’Assisi scrive proprio in polemica con l’eresia Catara che svalutava
la terra in favore del cielo. La chiave del testo sta forse nella particella “per”,
che introduce quasi tutti gli elementi elencati. La spiegazione può sembrare
immediata: “sii lodato a causa di (…)”
Tuttavia “per”può significare anche “attraverso”:
la lode arriverebbe a Dio per mezzo del creato, che è espressione della sua
potenza e del suo amore. Del resto, secondo la Bibbia, è proprio Dio a
pronunciare la prima lode: “ E vide che
era cosa buona”; una lode performativa che, affermando la bellezza,
la fa essere. Ed anche la lode di San Francesco ha una componente performativa:
non solo valorizza ciò che incontra, ma trasforma anche il significato delle
esperienze negative.
Dopo gli elementi naturali, infatti, l’autore cita “infermità
e tribolazione”, e perfino “sorella morte”: un rovesciamento che ha
dell’assurdo. Eppure, in qualche modo San Francesco riesce a ricondurre tutta
l’esperienza umana sotto il segno della gratitudine. Così la vita diventa in
pratica un circuito di lode, che da Dio va all’uomo e viceversa: un circolo in
cui la bellezza viene riaffermata e la sofferenza, misteriosamente riscattata.
Papa Francesco, per la prima Enciclica interamente
ascrivibile alla sua paternità “Laudato sì”, sceglie come tematica l’ecologia
o, meglio, come recita il sottotitolo, la “cura della casa comune”e su questo
aspetto così complesso oggi intende “entrare in dialogo con tutti” come fece
Francesco d’Assisi molti secoli fa. La lode, per papa Francesco, scrive Enzo
Bianchi, priore di Bose, nell’introduzione- commento al testo dell’enciclica, non
è solo celebrazione della natura e delle sue bellezze (compreso l’uomo) ma
anche consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della
situazione – limite in cui i nostri comportamenti- individuali, collettivi,
politici, economici - hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza
dell’irreversibilità di certi processi ormai innescati; consapevolezza della
necessità di far fronte comune per fermare il degrado ed invertire la rotta.
Responsabilità verso il bene comune, verso la creazione che è stata affidata
all’essere umano “perché la coltivasse e la custodisse” quale “amministratore
responsabile”.
Queste riflessioni ci hanno consentito di comprendere come,
talvolta, alla lode si sostituisca il biasimo o la critica. Non è scontato,
infatti, riconoscere il grande dono della vita, della natura incontaminata, (…)
della presenza discreta e silenziosa delle persone che ci stanno accanto e che
si prodigano, al meglio, per il nostro ben – essere. Non chiedere nulla non è
segno di superficialità o sottovalutazione. Spetta a ciascuno di noi cogliere
l’impegno, la dedizione e riconoscerlo anche con un semplice GRAZIE!
B – La vita chiama
“Se pensate qualcosa
di carino su una persona, ditegliela sempre: non potete immaginare il potere di
una gentilezza inaspettata”
Dalla cucina, come al solito accadeva da lungo tempo, la donna
disse: “E’ pronto! A tavola!” Il marito, che leggeva il giornale, e i due
figli, che guardavano la televisione e ascoltavano musica, si misero
rumorosamente a tavola e, in men che non si dica, avevano già le posate tra le
mani, pronti ad annientare ogni cosa sarebbe passata sotto i loro occhi.
La donna arrivò ma, invece delle solite e profumate pietanze,
quel giorno mise a tavola un bel mucchietto di profumato fieno(…) “Ma…ma!”, fu
la reazione stupita dei tre, “Ma sei diventata matta?!” La donna li guardò e
rispose tranquilla: “Beh, come avrei potuto immaginare che ve ne sareste
accorti? Cucino per voi da vent’anni e in tutto questo tempo non ho mai sentito
da parte vostra una parola che mi facesse capire quanto apprezzate quello che
cucino per voi!”…
Il racconto è un po’ grottesco, ma efficace.
In vent’anni, mai una lode, un riconoscimento, un grazie.
Perché ci accorgiamo, sempre e subito, se la minestra è
salata e non ci accorgiamo invece di tutte quelle volte in cui è buona, se non
ottima?
Dire “grazie” non è
una questione di galateo. Significa dire ad una persona: “Toh,mi sono accorto
che tu esisti”. Per questo il mondo è pieno di persone invisibili.
Una lode, un battimani, magari coinvolgendo i figli, fa la
differenza, trasforma l’ora dei pasti in un momento piacevole di condivisione
ed intimità.
Io credo che dovremmo chiedere scusa anche per tutti i “grazie”
non detti o dimenticati.
Teniamo conto che, se non si vive la gratitudine in casa, è
difficile viverla con gli altri e con Dio.
I figli imparano, non da quello che diciamo ma da quello che
facciamo, imparano con gli occhi, non con le orecchie.
Insegnare a
riconoscere il bello, il buono, il bene, per lodare le persone e Dio.
C - L’attivazione
Per quali cose potrei
lodare mia moglie – mio marito, i nostri figli?
Diamo alcuni suggerimenti:
Chi si accerta che l’auto sia efficiente?
Chi porta fuori la spazzatura?
Chi stira?
Chi aiuta chi, a fare cosa?
Chi cura l’amministrazione della casa?
Chi consola?
Per che cosa possiamo lodare Dio?
In piccoli gruppi cercare in quante occasioni, grandi o
feriali, potremmo lodare – ringraziare.
D – In ascolto della
parola
E - Bibliografia di
riferimento:
Ti affido all’amore di
Dio, Preghiere di benedizioni per i nostri figli, Porziuncola edizioni
F. Morandi, Marcello
Candia, «Un uomo dal cuore d’oro», Paoline
Madre Teresa, Sii la
mia Luce, BUR
Quinto anno
Mese di SETTEMBRE
|
presentazione del percorso educativo/formativo
|
INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: Educarsi per educare
“Il bambino non è un
vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”
Francois Rabelais
Obiettivi generali:
Diventare promotori
di autostima per favorire nei propri figli capacità di autonomia e senso di
responsabilità.
Offrire contenuti
di valore capaci di orientare la persona nelle scelte di vita.
Competenze:
Proporsi come testimoni credibili e coerenti.
Saper promuovere processi di crescita umana e cristiana.
Proposta per
riflettere: Il fuoco
Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata,
su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano. Non
c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord.
Al centro un piccolo fuoco
moriva lentamente per mancanza di combustibile. Il freddo si faceva sempre più
insopportabile.
La prima persona era una donna, ma il guizzo della fiamma
illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura. La donna se ne accorse.
Strinse il pugno attorno al suo pezzo di legno. Perché consumare il suo legno
per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?
L’uomo che stava al suo fianco, vide che uno non era del suo
partito. Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario
politico.
La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora
di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno. Il suo vicino
era certamente ricco. Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone?
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle
quattro automobili e al sostanzioso conto in banca. Le batterie del suo
telefonino erano scariche,doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i
costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta
nella fievole luce del fuoco ormai quasi spento. Stringeva forte il pugno
attorno al suo pezzo di legno. Sapeva bene che tutti quei bianchi lo
disprezzavano. Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco.
Era arrivato il momento della vendetta.
L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e
diffidente. Non faceva nulla se non per profitto. Dare soltanto a chi dà, era
il suo motto preferito. Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensa.
Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni,
immobili nella morte per assideramento.
Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il
freddo “di dentro”.
Forse anche nella tua
famiglia, nella tua comunità, davanti a te c’è un fuoco che sta morendo. Di
certo stringi un pezzo di legno tra le mani. Che ne farai?
Percorso formativo
dei genitori: tempi e nodi tematici:
Settembre
|
Ottobre
|
Novembre
|
Gennaio
|
Febbraio
|
Marzo
|
Incontro
propedeutico
|
Essere chiamati
|
Rispondere
|
Amare
|
Annunciare
|
Essere sale e luce
|
Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: LA
CHIESA
Bambini/e di 10 anni – classe quinta - scuola primaria
|
Quadro di riferimento:
Nucleo generativo
|
atteggiamento
|
preghiera
|
Vangelo di riferimento
|
Icona biblica di riferimento
|
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
|
segno
|
Gesto di carità
|
La Chiesa
|
Incontrare la Chiesa nel mondo
|
Credo
|
La chiamata dei discepoli;i discepoli di Emmaus
|
Abramo, padre della fede
(Gen 12, 22)
|
Da Pasqua a Pentecoste
|
Il Vangelo
|
Gesto missionario
|
Mese di OTTOBRE
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Parola da concettualizzare: ESSERE CHIAMATI
|
PRIMO INCONTRO
focus: Prendere coscienza del valore dell’essere
chiamati
Sviluppo della tematica: Non sono ammesse mezze misure: siamo chiamati a puntare alto!
“C’è sempre, nella nostra vita, una
misteriosa coerenza, un filo conduttore,
una trama che qualcuno chiama vocazione,
o chiamata, o addirittura destino.
Che dobbiamo saper riconoscere e che
dobbiamo avere il coraggio di non tradire
se vogliamo restare noi stessi, e fare
qualcosa che vale”.
Francesco Alberoni
Francesco Alberoni
«Andando via di là,
Gesù vide un uomo,
seduto al banco delle
imposte, chiamato Matteo,
e gli disse: “Seguimi”.
Ed egli si alzò e lo seguì».
Mt 9,9
A – Comprensione
A. 1: Prendere in
mano la propria vita
La forma passiva di
questo verbo, essere chiamati,
rimanda all’origine della chiamata e sollecita alcuni interrogativi importanti
per dare un senso alla nostra vita:
Da chi siamo
chiamati?
A che cosa siamo chiamati?
Dalla risposta che
ognuno di noi darà a queste domande dipende la consistenza e il valore della
sua vita. Si può vivere alla giornata secondo la logica del “carpe diem” e,
catturati nel vortice del ritmo frenetico che ci viene imposto, trascorrere i
nostri giorni senza “prendere in mano” seriamente la propria vita: quasi
fossimo stati “gettati nel mondo” senza motivo e senza scopo.
Si porta avanti
allora un’esistenza inautentica che non può appagarci perché non risponde a
quello che noi realmente e radicalmente siamo, non risponde alla nostra
essenza, alla nostra vera identità di esseri pensanti, capaci di interrogarsi e
cogliere il senso profondo della propria vita.
Scrive Pascal: “L’uomo
non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa”. È
la nostra capacità di pensare che ci distingue da ogni altro essere vivente e
ci fa essere creature “speciali”, non “gettate nel mondo”, ma create da un Dio
che ci ha voluti “a sua immagine e somiglianza” e ci ha chiamati ad essere unici e irrepetibili, ad occupare un posto nel
mondo che nessun altro può occupare e ad essere quello che nessun altro può
essere.
Scrive S. Giovanni
Paolo II: “L’uomo è chiamato a una
pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena,
poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio. L’altezza di
questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita
umana anche nella sua fase temporale”.
A.2: Siamo fatti per
le altezze
Questa pienezza di
vita si può declinare concretamente e diventa chiamata all’amore, perché siamo stati creati dall’Amore per amare
ed essere amati. L’amore è la vocazione fondamentale innata della persona umana
come immagine di Dio e il matrimonio è uno dei modi specifici di realizzare integralmente
questa vocazione della persona umana all’amore. Proprio per questo è il canale
che permette la realizzazione personale degli sposi e la creazione di una nuova
vita.
La generazione infatti
non può essere ridotta ad un fatto puramente biologico: essa investe il tutto
della persona. Questa esperienza nasce dall’amore, cresce e si manifesta
nell’amore. Il figlio può essere generato solo nell’amore e per amore,
attraverso l’atto coniugale.
Il generare è
collaborazione con l’azione di Dio, creatore e padre, che chiama gli sposi a “dare la vita”e a partecipare così alla sua
stessa opera creativa.
Gli sposi divengono
così servitori gioiosi del disegno di Dio. L’atto del generare è accogliere un
dono e il primo atto educativo è la capacità di riconoscere nel figlio
questo dono divino.
Quale miracolo più
grande di una vita che cresce nel grembo materno! A quali grandi cose ci chiama il Signore! Quali altezze ci fa
raggiungere!
Egli vuole che la
nostra vita sia realizzata in pienezza, sempre, ma vuole anche che noi
diventiamo per i nostri figli o per chiunque fa parte della nostra vita “educatori
di aquile e non di galline”. Dobbiamo vivere e invitare a vivere secondo la
nostra più autentica identità, quella di figli di Dio, creati a “sua immagine e
somiglianza”.
Papa Francesco
nell’Esortazione Apostolica “Gaudete et exsultate” scrive che il Signore “ci
vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre,
annacquata, inconsistente”. Santità è una parola che non entra solitamente nel
nostro vocabolario, la riserviamo a coloro che, lontani dalle occupazioni
ordinarie, si dedicano alla preghiera. «Non è così. Tutti siamo chiamati ad
essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza
nelle occupazioni di ogni giorno, lì
dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia
la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo
marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore?
Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei
fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai
bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene
comune e rinunciando ai tuoi interessi personali». (Gaudete et exsultate
14).
B – La vita chiama
Un uomo trovò un uovo di aquila sulla cima di un monte e lo
mise insieme alle uova che dovevano essere covate da una gallina. Al tempo
opportuno l’aquilotto nacque con gli altri pulcini. Crebbe con loro, imparò a
chiocciare, razzolare, a cercare vermiciattoli, limitandosi solo a salire sui
rami bassi delle piante, proprio come le galline. La sua vita trascorreva nella
consapevolezza di essere una gallina. Un giorno, ormai vecchia, l’aquila alzando
gli occhi al cielo, vide un uccello stupendo volteggiare liberamente e senza
sforzo nell’azzurro del cielo.
La vecchia aquila ne restò impressionata e chiese alla sua
vicina : “Che uccello è quello?”.
Quella rispose : “Oh, è l’aquila, la regina dei cieli. Ma
non pensarci. Noi viviamo sulla terra perché siamo solo galline.
La vecchia aquila non guardò più in cielo e morì convinta di
essere gallina.
C – Attivazione (confronto
in piccolo o grande gruppo)
Anche noi, spesso, nella nostra vita di relazione e
soprattutto per quel che riguarda la sfera spirituale, viviamo al di sotto
delle nostre possibilità. Ci accontentiamo del minimo sindacale. Eppure con il
battesimo siamo diventati sacerdoti, re e profeti. Siamo delle aquile, chiamate
a vivere per grandi ideali, non per razzolare.
La storia è deludente, non ha un bel finale. Allora insieme
potremmo crearne uno più dignitoso, più esaltante.
Prepariamo un finale migliore per l’aquila e poi proviamo
ad …. applicarlo a noi.
Anche i nostri figli potrebbero adagiarsi e vivacchiare o
essere aiutati a credere in grandi valori e ideali e a spendersi per essi.
Invece di comprare a tuo figlio tutto ciò che non hai avuto,
insegnagli tutto ciò che non ti hanno insegnato.
E cioè cosa potresti insegnare?
D – In ascolto della
parola
Mese di NOVEMBRE
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Parola da concettualizzare: RISPONDERE
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PRIMO INCONTRO – focus: risposte quotidiane, risposte
alle domande esistenziali, risposte come “chiamata”
Sviluppo della tematica: ogni risposta implica un impegno ed una promessa
A – la comprensione
“ Prima avevamo un
sacco di domande senza risposte.
Ora, con l’avvento dei
computer, abbiamo un sacco di risposte
senza domande”
(Peter Alexander Ustinov, attore, regista, scrittore
britannico)
“Solo il tempo ti darà
le risposte che stai cercando,
e te le darà quando
avrai dimenticato le domande”
(Osho Rajneesh, mistico e maestro di spiritualità indiano)
“Domandare è lecito, rispondere è cortesia”
(proverbio)
1 – Introduzione
Nella comunicazione interpersonale, di norma, ad una domanda
segue una risposta, più o meno chiara od argomentata.. Rispondere, infatti,
richiede abilità come: l’ascolto, l’empatia, la cordialità; per cui non risulta
così scontato che la risposta sia pertinente, ossia restituisca un’autenticità
dell’ascolto e l’interlocutore si senta compreso nei suoi bisogni. Talvolta, ad
una domanda può seguire un silenzio se non si desidera rispondere o se non si è
prestato ascolto o compreso quando richiesto.
Risponde, con sicurezza, lo studente preparato durante un’interrogazione;
tarda a rispondere il bambino coinvolto nel gioco al richiamo dei genitori; si
risponde in modo scortese quando si è irritati e ci si giustifica quando si è
richiamati a torto o a ragione perché troppo concentrati davanti al video della
TV o allo schermo di uno smartphone. Risposte complesse, espanse, lunghe
riflessioni sulla sofferenza esistenziale, la compassione, (…) la morte,
giungono da chi è stato provato dalla vita e ne restituisce il valore profondo.
Quante risposte affrettate, non soppesate! Bisognerebbe fare
sospensione di giudizio prima di rispondere per evitare letture distorte della
realtà, pensieri modellati su pregiudizi o luoghi comuni.
Comunque sia, l’azione del rispondere implica impegno,
promessa, assunzione di responsabilità, ricordando l’etimologia latina “re –spondeo”, che a sua volta rimanda a “sponsio”, da cui sponsale.
“ Da dove viene questo
bisogno quest’ansia di risolvere i grandi misteri della vita?
Quando anche la più
semplice delle domande non ha risposta.
Perché esistiamo? Che cos’è l’anima? Perché
sogniamo?
Forse sarebbe più
comodo fare finta di niente, voltarsi dall’altra parte.
Ma non è nella natura
umana.
Non è per questo che
siamo qui”
(dal film: Heroes)
2 – Per
rispondere alle domande profonde che ognuno di noi si porta dentro
All’inizio del secolo da poco concluso un filosofo aveva
affermato: “Dio è morto” e abbiamo vissuto lunghi periodi con la presenza di
ideologie contrarie alla fede (marxismo, nazismo, anticlericalismo), sostiene il
filosofo della storia Vittorio Possenti, a cui è seguita la lunga onda della
secolarizzazione, che tende a leggere la realtà proprio “ come se Dio non ci
fosse”. Siamo un po’ tutti, in modo diverso, alla ricerca o vogliamo capire
meglio il tempo in cui viviamo, oppure desideriamo confermare la nostra fede o
ritrovarne le motivazioni e le ragioni.
Per rispondere
alle domande profonde che ci portiamo dentro, a cominciare da quella
fondamentale: la nostra vita sulla terra
ha un senso oppure no? Potremmo elencarne alcune: Da dove vengo e dove vado?
Perché vivo? Perché la sofferenza e l’ingiustizia della malattia? Perché la
morte? Cosa ci sarà dopo la morte?
Se guardiamo dentro noi stessi, sostiene Diego Bona
esponente dell’Oasi della Parola, queste domande affiorano insistentemente e
non è neppure facile rispondere, ma sono esigenti e chiedono una risposta.
Molti sfuggono a questi interrogativi, ma è necessario trovare una risposta per
dare un senso unitario alla vita. Senza le domande di senso e la ricerca sincera
di una soluzione si finisce per sprecare la vita, dominati solo dalle cose
immediate,di essere vissuti invano. E’ vero che tra gli uomini e le donne del
nostro tempo è subentrata una certa fatica del pensare e si è impostata
l’illusione dell’effimero (tanto rumore, tanta musica, tanta TV, tanto
stordimento,…). Questa strada è già stata percorsa da tanti prima di noi, come
scrive Pascal: gli uomini non avendo
potuto sconfiggere la morte, la miseria, l’ignoranza hanno deciso, per poter
essere felici, di non pensarci.
Alcuni poi pensano che lo sviluppo delle scienze ci porterà a risolvere queste
domande, ma nessuna scienza sperimentale, nessun computer, anche il più
sofisticato, può rispondere a queste domande profonde. “ Viene il momento –
dice Giovanni Paolo II- per tutti in cui, lo si ammetta o no, ognuno ha bisogno
di ancorare la propria esistenza ad una verità conosciuta come definitiva, ad
una certezza morale, no più sottoposta al dubbio”. Abbiamo bisogno di capire e
di vedere: la verità è un’esigenza fondamentale dell’uomo. Basta vedere quello
che avviene già nel bambino che continuamente domanda: perché? E non si
acquieta finché non trova la risposta.
Occorre mantenere vive le domande ed i problemi del senso
perché toccano la sfera esistenziale e nessuno ne è escluso. Le domande di
senso non sono una fuga, tanto meno una imposizione estranea ed esterna:
nascono dalla libertà dell’uomo che viene a trovarsi davanti interrogativi
della sua vita a cui deve una risposta in grado di guidare la sua esistenza.
Scienza e fede non sono in contrapposizione; la scienza si
chiede “come” è accaduto un evento; la fede si chiede “perché”: ogni
formulazione esige una risposta pertinente e coerente con la domanda posta.
“ Le stelle hanno
brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito;
egli le ha chiamate ed
hanno risposto: “Eccoci!”
e hanno brillato di
gioia per colui che le ha create”
(Baruc 3, 34-35)
A.3 – La risposta
di: Abramo, Maria,…dei primi discepoli, di Paolo.
Abramo, Maria, i primi quattro discepoli: Simone e Andrea,
Giacomo e Giovanni, Paolo sono figure emblematiche di risposte - ad una
chiamata- che, pur nella differenziazione dello scopo, sono accumunate da una fiducia totale in Dio e nel suo
progetto di salvezza dell’uomo e dell’umanità intera.
Abramo, denominato il “padre di tutti i credenti”, riceve da
Dio l’ordine di lasciare la città di Ur in Caldea alla ricerca di una terra che
Lui gli avrebbe indicato. “Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot”
(Gn 12, 4). Leggiamo, ancora, nella lettera
agli Ebrei dell’apostolo Paolo (11, 8) “
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva
ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava”. L’accettazione
incondizionata gli ha consentito di diventare il capostipite di una discendenza,
all’interno del piano della salvezza “farò
di te una grande nazione e ti benedirò”(Gn 12, 2)
“Beata colei che ha creduto”affidandosi totalmente alla
volontà del Padre. Alla richiesta dell’angelo di diventare la madre di Gesù
l’Emmanuele:”… Maria disse: - Ecco la serva del Signore: avvenga per
me secondo la tua parola” (Lc 1, 38) Il suo “Sì” permise di continuare quel
progetto di salvezza che avrebbe liberato l’umanità dal peccato compiuto
all’origine dei tempi.
Gesù chiama i primi quattro discepoli: i due fratelli Simone
e Andrea, Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo. Ancora una volta, come per Abramo
e Maria, la chiamata avviene in un momento di vita quotidiana: una giornata di
pesca lungo il mare di Galilea e la risposta dei quattro è immediata “(...) Ed essi lasciarono
il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui” (Mc
1, 20). Lasciare qualcosa per
riscoprire un nuovo senso della propria vita: diventare “pescatori di uomini”,
contribuendo al progetto di salvezza.
Concludiamo la nostra riflessione sulle risposte dettate
dalla fede con la figura di Saulo - Paolo. In un primo momento persecutore
accanito della giovane Chiesa cristiana, fu improvvisamente “trasformato” sulla
via di Damasco, dall’apparizione di Gesù il Risorto che, manifestandogli la
verità della fede cristiana, gli espresse la sua speciale missione di apostolo
dei pagani. “Ma quando Dio, che mi scelse
fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare
in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a
nessuno,…” (Lettera ai Galati, 1, 15-16)
Nella libertà, come le figure bibliche richiamate, siamo
chiamati a dare una risposta, al progetto che Dio, ha delineato per ciascuno di
noi. Solo così la nostra vita avrà un senso e sarà appagata la nostra sete di
domande.
B – La vita chiama:
Il piano
Nella storia c’è una
pagina bianca, che siamo chiamati a scrivere. E’ nostra. Ci è affidata. E’ Dio
che ci dice:- Scrivila tu!” (Don Luigi Ciotti)
“Rispondi con la tua
creatività alla missione che Dio ti affida” (Papa Francesco, Evangelii
Gaudium)
Durante l’Ascensione, Gesù getta un’occhiata verso la terra
che stava piombando nell’oscurità. Soltanto alcune piccole luci brillavano
timidamente sulla città di Gerusalemme.
L’arcangelo Gabriele che era venuto ad accogliere Gesù, gli
domandò: “Signore che cosa sono quelle piccole luci?”
“Sono i miei discepoli in preghiera intorno a mia madre. Il
mio piano, appena rientrato in cielo, è di inviare loro il mio Spirito, perché
quelle fiaccole tremolanti diventino un incendio sempre vivo, che infiammi
d’amore, poco a poco, tutti i popoli della terra!”
L’arcangelo Gabriele osò replicare: “ E che farai, Signore
se questo piano non riesce?”
Dopo un istante di silenzio, il Signore gli rispose
dolcemente: “ Ma io non ho un altro piano(…)”
Ognuno di noi è una piccola fiaccola tremolante
nell’immensità della notte. Ma facciamo parte del piano di Dio: siamo
indispensabili, perché non ci sono altri piani.
C – l’attivazione
D – In ascolto della
parola
Mese di Gennaio
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Parola da concettualizzare: Amare
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TERZO INCONTRO – focus: Amare è un’arte da imparare
Sviluppo della tematica: Educarci all’amore vero, infinito ed eterno
“Amare non è guardarsi l’un l’altro,
ma guardare insieme nella stessa
direzione.
Antoine de
Saint-Exupery
“Come io vi ho amato, così amatevi anche
voi gli uni gli altri”
Giovanni 13,34
A – Comprensione
A.1: Che cosa vuol
dire amare?
Scrive il grande S. Agostino: «Ama e fa' ciò
che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore;
sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore;
sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può procedere se
non il bene».
Ama e fa' ciò che vuoi: la seconda parte di
questa affermazione trova il suo giusto senso nella prima parola “Ama”, perché
dall’amore «non può procedere se non il bene». La scelta di ciò che devo fare
non viene dettata dal mio gusto personale, ma trova il suo criterio di
discernimento nella misura della mia capacità di amare.
È necessario però capire il vero e autentico
valore della parola “amare”. Infatti non c’è termine più usato ma anche
abusato, spesso distorto e travisato nel suo vero significato; se ne
parla tanto, ma spesso a sproposito. Questo però non fa che dimostrare quanto
l’amore sia importante e che senza amore non si può vivere. Erich Fromm scrisse
che “senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno”.
L’amore è importante
fin dal momento del nostro concepimento: è stato un atto di amore che ha
permesso il nostro primo battito del cuore e così la realizzazione e la felicità
di tutta la nostra vita sono stati determinati dalla presenza e dalla qualità
dell’amore che abbiamo donato e ricevuto.
Lo scopo di ogni
nostra giornata, la motivazione di tutte le nostre azioni, che ne siamo
coscienti o meno, è l’amore. Si potrebbe dire che siamo fatti di amore, ne
siamo intessuti nel profondo del nostro essere, perché siamo stati creati
dall’Amore che ci ha pensato e voluto a “Sua immagine e somiglianza” Siamo nati
per amare e per essere amati: «Questo è il sogno di Dio per l’uomo» ha detto
Papa Francesco[18].
Ma se tutto questo
è vero perché esiste il male nelle sue forme più varie? Se è l’amore il motore
della vita e del mondo non dovrebbe esserci solo bene? Già S. Agostino si era
posto questo problema: Unde malum? Da dove viene il male?
Il Catechismo della
Chiesa Cattolica ci insegna che l’immagine perfetta creata da Dio è stata
deturpata dal peccato che ha infranto l’armonia originale e ha indebolito la
natura umana rendendola incline al male[19].
Facciamo i conti ogni giorno con le nostre tensioni interiori: il nostro
egoismo che prevale sul dono di sé, la rivendicazione dei nostri interessi che
dimentica i diritti dell’altro, l’odio che non sempre ha la meglio sull’amore,
la vendetta che non lascia spazio al perdono. “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non
voglio” scrive S. Paolo[20].
A.2: Educarci ad
amare
Dobbiamo imparare ad amare perché amare è difficile e
richiede maturazione e purificazione che passano anche attraverso la strada
della rinuncia e del sacrificio, per aprirsi all’altro e prendersene cura.
Amare non è solo “volere bene all’altro”
ma molto di più è “volere il bene dell’altro”. Lo dice anche il Piccolo
Principe di A. de Saint-Exupéry: «Voler bene significa prendere possesso di
qualcosa, di qualcuno. Significa cercare negli altri ciò che riempie le
aspettative personali di affetto, di compagnia. Voler
bene significa rendere nostro ciò che non ci appartiene, desiderare qualcosa
per completarci, perché sentiamo che ci manca qualcosa».
Amare invece è
desiderare che l’altro realizzi in pienezza il suo essere, è volere con tutte
le forze la sua felicità, è farsi vicini nei momenti di difficoltà, è vivere
per l’altro. L’amore non ha confini né di tempo né di spazio, è universale e
abbraccia tutti: vicini e lontani, credenti e non credenti, cristiani e non
cristiani, connazionali e stranieri, amici e nemici.
Il Signore stesso
afferma: «Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?» (Mt
5,46). Il problema del “diverso” è oggi particolarmente attuale in una società
destinata a diventare sempre più multietnica e spesso siamo tentati di
chiuderci nelle nostre sicurezze, assumendo la logica della diffidenza o peggio
ancora dell’indifferenza, dell’ “anestesia del cuore” come la chiama Papa
Francesco.
A.3: La conoscenza
dell’altro apre alla relazione
C’è una parabola
tibetana che racconta di una persona che, camminando nel deserto, scorge in
lontananza qualcosa di confuso. Per questo comincia ad avere paura, dato che
nella solitudine assoluta della steppa una realtà oscura e misteriosa – forse
un animale, una belva pericolosa – non può non inquietare. Avanzando, il
viandante scopre, però, che non si tratta di una bestia, bensì di un uomo. Ma
la paura non passa, anzi aumenta al pensiero che quella persona possa essere un
predone. Tuttavia, si è costretti a procedere fino a quando si è in presenza
dell’altro. Allora il viandante alza gli occhi e, a sorpresa, esclama: «È mio
fratello che non vedevo da tanti anni!».
La lontananza
genera timori e incubi; l’uomo deve avvicinarsi all’altro per vincere quella
paura per quanto comprensibile essa sia. Rifiutarsi di conoscere l’altro e di
incontrarlo equivale a rinunciare a quell’amore solidale che dissolve il
terrore e genera la vera società. Qui si prova la capacità di amare che è
l’appello più alto del cristianesimo per l’edificazione di un mondo migliore e
per realizzare “il sogno di Dio”.
L’amore supera i
limiti del nostro esistere quotidiano per aprirci all’infinito e all’eterno e
per questo è un dono da chiedere più che una capacità da sviluppare con le
nostre sole forze. Chi mai riuscirebbe, senza la grazia di Dio, a mettere in
pratica l’insegnamento di S. Paolo, espresso nel bellissimo inno alla carità
della Lettera ai Corinzi (13, 4-7)? «La carità è paziente, è benigna la carità;
non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di
rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male
ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della
verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».
«Ciò che è
impossibile agli uomini, è possibile a Dio». (Lc 18,27)
B – La vita chiama
“L’unica cosa importante, quando ce ne andremo, saranno le
tracce d’amore che avremo lasciato”.
Albert Schweitzer
“Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”
S. Giovanni della Croce
La bambina stava preparando il suo pacco di natale: avvolgeva
una scatola con costosissima carta dorata e impiegava una quantità
sproporzionata di fiocchi, nastri e quant’altro.
“Che cosa fai?!” la rimproverò il padre, “Stai sprecando
roba costosa!”.
La bambina , con gli occhi pieni di lacrime, si rifugiò in
un angolo stringendo al cuore la sua scatola.
La sera della vigilia di Natale, con i suoi passettini da uccellino,
si avvicinò al papà e gli porse la scatola avvolta con la preziosa carta da
regalo e i coloratissimi nastri.
“E’ per te, papà mio”, mormorò la piccola.
E l’uomo s’intenerì: forse era stato troppo duro con la
figlia; dopo tutto quel dono era per lui.
Sciolse il nastro ; sgrovigliò con pazienza la preziosa
carta e aprì la scatola… ma era vuota!
La sorpresa sgradita fece emergere tutta la sua irritazione:
“E tu hai sprecato tutta questa roba per una scatola vuota?!”.
La bambina mormorò appena tra le lacrime: “Ma non è vuota,
papi! Ci ho messo dentro un milione di bacini e tutto il mio amore per te!”.
Per questo, oggi c’è un uomo che, in ufficio, tiene sulla
scrivania una scatola da scarpe; e tutti a dirgli: “Ma è vuota!”.
E lui con fierezza: “No, è piena dell’amore della mia
bambina!”.
Cerchiamo di fare attenzione alle piccole cose, perché sono
il seme di quelle grandi.
I doni sono segno del nostro amore: dicono che sono centrata
benevolmente su di te. Non importa se semplici o costosi. Ci sono doni che non
costano nulla, eppure hanno un immenso valore.
In ognuno di essi c’è un messaggio da scartare e interpretare.
Quanti doni riceviamo ogni giorno, anche se non hanno la
carta dorata! Proviamo a riconoscerli, e a ringraziare. Potrebbe essere un bell’esercizio.
Piccoli doni possono essere messi di nascosto dentro lo
zainetto, sotto il cuscino, sotto il piatto ….
Amare è uscire da sé per andare verso l’altro.
Sii più gentile del necessario, perché, ciascuna delle
persone che incontri, sta combattendo qualche sorta di battaglia.
Questa preghiera di S. Francesco d’Assisi potrebbe diventare
la preghiera da recitare con i propri figli in famiglia
Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dove è discordia, ch’io porti la fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dove è discordia, ch’io porti la fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poiché è dando che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.
C – Attivazione
(confronto in piccolo o grande gruppo)
C’è un episodio simpatico o curioso, che puoi raccontare,
legato al tema di questo incontro?
Amare non è facile nemmeno nella vita di coppia: la fedeltà
nell’amare va conquistata giorno dopo giorno in un continuo dono di sé perché
l’amore non conosca mai la morte, secondo un’interpretazione etimologica poco
attendibile, ma curiosa, della parola amore che individua nel
latino a-mors, cioè senza morte, l'origine del termine. Condividiamo
(…)
Mese di FEBBRAIO
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Parola da concettualizzare: ANNUNCIARE
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QUARTO INCONTRO – focus: Annunciamo quello che sperimentiamo
Sviluppo della tematica: La gioia del Vangelo va annunciata con la vita
Papa Francesco
«Non temete, ecco vi
annunzio una grande gioia,
che sarà di tutto il
popolo:
oggi vi è nato nella
città di Davide un salvatore,
che è il Cristo
Signore»
Lc 2,10-11
A – Comprensione
1 - Significato e
valore dell’annuncio.
Annunciare è un termine usato per comunicare notizie di una
certa importanza, anche inaspettate, che possono essere liete oppure tristi: si
annuncia una nascita, un matrimonio, una laurea, una visita, una vittoria, ma
anche si annuncia una morte, l’inizio della guerra, una tragedia.
L’annuncio di
alcune notizie, dato o ricevuto, ci riempie il cuore di gioia, ci fa esultare,
ci dà la forza di sostenere le inevitabili difficoltà del nostro cammino
esistenziale; a volte invece si tratta di notizie dolorose che segnano di
sofferenza le nostre giornate e qui ognuno può, ripercorrendo la propria vita,
ricordare bene questi momenti perché sono incisi indelebilmente nella nostra
memoria.
Come non ricordare
il giorno in cui abbiamo annunciato la nostra prima Comunione, la Cresima, la
data del matrimonio o la nascita di un figlio, il raggiungimento di un diploma
o di una laurea, un posto sicuro di lavoro o purtroppo anche la morte di una
persona cara. In ogni caso annunciare provoca emozioni forti che, nella gioia o
nel dolore, ci hanno maturato e ad ognuno di quegli annunci dobbiamo una parte
di noi stessi.
A.2 -Una società che ha perso l’impatto
forte dell’annuncio
Nell’attuale società della comunicazione in cui siamo
bombardati da tante notizie, il più delle volte, negative e allarmanti,
rischiamo di non cogliere più lo spessore di un annuncio e la sua carica
emotiva: tutto viene livellato. Passiamo dall’annuncio di bambini che muoiono
per la fame e la guerra, dalla morte in mare di centinaia di migranti alla
pubblicità di sempre nuovi prodotti commerciali, creati dall’inarrestabile
macchina della produzione e così le notizie scivolano senza incidere più di
tanto sulla nostra sensibilità. Ci abituiamo agli annunci come se tutti
avessero la stessa importanza e rischiamo la “globalizzazione dell’indifferenza”,
secondo un’espressione di Papa Francesco.
3 -Annunciare nella
Bibbia
Forse dovremmo tornare alla Parola di Dio per cogliere il
valore originale dell’annuncio. Nell’Antico Testamento l’annuncio, il kerygma, è
inteso come “proclama”, o “editto”, sia orale che scritto, che va proclamato
con voce alta, udibile da tutti; ha un contenuto ufficiale e religioso; è
emanato da una autorità costituita, per esprimere la volontà
di Dio attraverso un portavoce; deve raggiungere una intera città o tutta
la popolazione di Israele. Sono numerosi gli annunci dei Profeti finalizzati a
comunicare la volontà del Signore su Israele, a invitare alla conversione o
alla lode e al ringraziamento per le opere compiute da Dio in favore del suo
popolo oppure finalizzate a prefigurare l’avvento del Messia.
Non mancano però
anche annunci fatti a persone singole: l’annuncio della Terra Promessa e di una
numerosa discendenza ad Abramo (Gen 17, 5-8), l’annuncio della nascita di
Isacco a Sara (Gen 18,10) solo per citare i più conosciuti.
Nel Nuovo
Testamento è Gesù stesso che annuncia l’avvento del Regno di Dio e
invita alla conversione «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi
e credete al vangelo» (Mc 1,15).
Nei Vangeli di Luca e Matteo, i cosiddetti
Vangeli dell’infanzia, il primo annuncio è quello della nascita di Giovanni
Battista in Luca seguito da quello della nascita di Gesù a Maria da parte
dell’Arcangelo Gabriele e nel Vangelo di Matteo l’annuncio in sogno a Giuseppe.
Ai pastori l’angelo proclama: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia,
che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un
Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2, 10-11).
L’annuncio nella
Sacra Scrittura segna alcune tappe della storia della salvezza, è sempre
rivelatore della volontà di Dio per il suo popolo o per singoli personaggi e
trasforma la vita e la persona di chi lo riceve. Così dovrebbe essere per
ciascuno di noi raggiunto dall’annuncio del Vangelo che è incontro personale
con Gesù: «La gioia del Vangelo riempie
il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»[21].
A.4 -Annunciatori della gioia del
Vangelo
Il segno concreto che abbiamo davvero incontrato Gesù è la
gioia che proviamo nel comunicarlo anche agli altri. È stata questa l’esperienza
dei primi discepoli: dopo il primo incontro con Gesù, Andrea andò a dirlo
subito a suo fratello Pietro (cfr Gv 1,40-42), e la stessa cosa fece Filippo
con Natanaele (cfr Gv 1,45-46). S. Paolo ebbe a dire: «Guai a me se non
annuncio il Vangelo» (Cor 9,16). Incontrare Gesù equivale a incontrarsi con il
suo amore. Questo amore ci trasforma e ci rende capaci di trasmettere ad altri
la forza che ci dona. «In qualche modo potremmo dire che dal giorno del Battesimo
viene dato a ciascuno di noi un nuovo nome in aggiunta a quello che già danno
mamma e papà, e questo nome è “Cristoforo”: tutti siamo “Cristofori”. Cosa
significa? “Portatori di Cristo”. E’ il nome del nostro atteggiamento, un
atteggiamento di portatori della gioia di Cristo, della misericordia di Cristo.
Ogni cristiano è un “Cristoforo”, cioè un portatore di Cristo!»[22].
È la testimonianza
della nostra vita che deve annunciare la gioia nel servizio generoso ai
fratelli, nell’accoglienza di chi si trova nel bisogno, nella dedizione alla
propria famiglia, nell’impegno serio nel proprio lavoro. S Francesco soleva
dire ai suoi frati: «Annunciate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche
con le parole».
B – La vita chiama
“Alla fine, ciò che rimpiangeremo, sarà l’amore che non
abbiamo dato”
La lezione
dell’anatra
Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi
alla scuola di grandi maestri.
Prima di lasciasi fecero una promessa: avrebbero percorso il
mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che
fossero riusciti a trovare.
Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma
splendida e inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì montagne e visitò
città sinchè non l’ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai
rifulso sotto il sole.
Tornò allora in patria in attesa degli amici.
Il secondo tornò poco dopo tenendo per mano una ragazza dal
volto dolce ed attraente. “Ti assicuro che non c’è nulla di più prezioso di due
persone che si amano” disse.
Si misero ad aspettare il terzo amico.
Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti
partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più celebri maestri di tutte le
contrade, ma non aveva trovato Dio. Aveva studiato e letto, ma senza trovare
Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma non aveva trovato Dio.
Un giorno, spossato per il tanto girovagare, si abbandonò
nell’erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di
un’anatra che, in mezzo ai canneti cercava i piccoli che si erano allontanati
da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l’anatra
cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la
sua ala l’ultimo dei suoi nati. Allora l’uomo sorrise e fece ritorno al paese.
Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e
l’altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli
chiesero:” E tu, che cos’hai trovato di prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai
impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso … “
“Ho cercato Dio” rispose il terzo giovane. “E lo hai
trovato?” chiesero i due, sbalorditi. “Ho scoperto che era Lui che cercava me”.
Dio ti sta cercando,
ma ti lascia libero di lasciarti trovare.
“Non preoccuparti, non ti chiede nulla di straordinario.
Neppure il tuo denaro. Si chiede da te soltanto che, ovunque tu vada, in
qualsiasi angolo tu consumi l’esistenza, possa diffondere attorno a te il buon
profumo di Cristo. … Che ti impegni a vivere la vita come un dono, non come un
peso”[23]
C – Attivazione
Confronto in piccolo o grande gruppo
Quando il Signore ti ha trovato e tu hai trovato Lui?
Chi è per te Dio?
Conosci un cristiano che, anche senza parlare, annuncia Dio?
Quali sono i valori cristiani più importanti che vorresti
trasmettere ai tuoi figli?
Papa Francesco nella Esortazione Apostolica postsinodale ai
giovani “Christus vivit” riporta l’esempio di alcuni giovani che hanno vissuto
la gioia del Vangelo anche nella sofferenza (per es. la beata Chiara Badano
(62) o il venerabile Marco Acutis (104-106).
Conoscete la loro storia?
Mese di MARZO
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Parola da concettualizzare: ESSERE SALE E LUCE
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QUINTO INCONTRO – focus: “essere sale e luce”
nella propria vita, nella famiglia, nella comunità
Sviluppo della tematica: essere risorsa discreta e accendere
la speranza
A – La comprensione
Avant – propos
Suggeriamo, di avvicinare “il verbo” da concettualizzare in due
momenti. Ci sembra che il “sale” e la “luce” richiamino tante riflessioni e
rimandino a tanti contesti della vita recente e passata che lo sviluppo della
tematica in un’unica soluzione ne diminuirebbe il significato. Solo in un
momento successivo le due “immagini” troveranno la loro sintesi, aiutandoci
così a comprendere il senso profondo dell’ “essere sale e luce” nella complessa
realtà del terzo millennio.
“ Il sale deve avere
qualcosa di sacro,
infatti si trova nel
mare e nelle lacrime”
(Khalil Gibran)
A.1.1 – il valore del
sale
Il sale ha
costituito per millenni una risorsa
preziosissima per qualunque popolo del pianeta. Oltre agli ovvi usi alimentari,
come insaporire il cibo o conservarlo, il sale ha rappresentato nell’antichità
una vera e propria moneta di scambio (da
cui il termine salario) e una fonte di ricchezza capace di far
crescere o distruggere imperi. Il sale diventò un cristallo dall’alto valore
economico per moltissime culture dalla Cina preistorica fino a Roma[24]. Il sale è un elemento essenziale per la
vita, ma il suo eccess può uccidere qualunque essere vivente e trasformare il
terreno in una landa desolata e disabitata[25]
Pertanto, il suo
utilizzo deve essere dosato,”misurato” per non rendere i cibi troppo salati o
troppo insipidi. Pur riconoscendone l’importanza, non ha una sua “visibilità”;
infatti “si scioglie” e “si mescola” con gli alimenti, contribuendo in tal
modo, alla loro appetibilità.
A.1.2 – il valore
della luce
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is
60, 1)
“Di nuovo Gesù parlò loro e disse:
“
Io sono la luce del mondo;
chi
segue me,non camminerà nelle tenebre,
ma
avrà la luce della vita” (Gv 8,12)
Cercare la luce,
riprodurla, ravvivarla, mantenerla, perché la sua estinzione implicava
ritornare nell’oscurità, nelle tenebre, nella paura, fu attività costante
dell’uomo fin dalla notte dei tempi. L’invenzione della luce elettrica ha alleggerito l’uomo dalla fatica di alimentare
lampade, attizzare torce e il fuoco nei camini.
Anche nelle fiabe antiche e moderne si “combatte” contro le
tenebre e le figure più o meno simboliche che le rappresentano, per
ripristinare il “regno della luce”, dell’armonia, della pace. Il bambino per
addormentarsi, dopo la narrazione di una fiaba, per esorcizzare il distacco
dalle figure parentali, chiede che rimanga acceso “un punto luce”, scongiurando, in tal modo, le
ombre della notte.
“C’è una strana luce
nei tuoi occhi”, si afferma, quando si vuole manifestare la luminosità e la
trasparenza dei pensieri e delle azioni e sottolineare la serenità interiore
della persona, riformulando il testo evangelico che identifica nell’occhio”la
lampada del corpo” (Mt 6,22)
“Dio disse: - Sia la luce!-
E la luce fu. Dio vide che la luce
era cosa buona e Dio separò la luce
dalle tenebre. Dio chiamò la luce
giorno, mentre chiamò le tenebre notte. “ (Gn 1,3-5)
Nella riflessione filosofica presocratica (Eraclito, VI –V
sec. a.C) la vita viene concepita come lotta e opposizione inestinguibile, ma
anche ordine e armonia ottenuti attraverso il gioco infinito dei contrari: il
giorno e la notte, la luce e le
tenebre, la vita e la morte, che si alternano seguendo il principio di
proporzione immanente al fluire delle cose. Solo “gli svegli”, i saggi, cioè
coloro che sanno andare al di là delle impressioni immediate, colgono l’ordine
razionale delle cose. Infatti, nel passato, la luce della lampada sempre accesa
era segno di saggezza e vigilanza, a dispetto della stoltezza di chi la lascia
spegnersi (Mt 25, 1-13) e non è pronto a rispondere alla chiamata “(…). Leggiamo
in Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi (5,5) “siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non
apparteniamo alla notte, né alle tenebre”, ancora in (Lc 11,35) “bada dunque
che la luce che è in te non sia
tenebra”.
A.2 – “Essere sale e luce”
nella complessa realtà del terzo millennio
“Io, il Signore, ti ho
chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza
del popolo e luce delle nazioni” (Is
42, 6)
“Oggi essere rivoluzionari significa
togliere più che
aggiungere,
rallentare più che
accelerare,
significa dare valore
al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.
(Franco Arminio, “Cedi la strada agli alberi”)
Come abbiamo argomentato i due elementi: sale e luce,
rivestono, per l’uomo un’importanza fondamentale per la sua stessa sussistenza.
Forse è per questo che quando ne troviamo i riferimenti nel Testo sacro, al di
là del valore metaforico, ne riconosciamo la valenza ed il significato.
“ Voi siete il sale
della terra; ma se il sale perde sapore, con che cosa lo si renderà salato?
A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi
siete la luce del mondo(…) Così
risplenda la vostra luce davanti agli
uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro
che è nei cieli”. (Mt 5,13- 14; 16).
Come il sale insaporisce gli alimenti, così ciascuno di noi
dovrebbe dare “sapore” e senso alla propria vita prima di dare “nuovo sapore” a
quella degli altri.
Benedetto XVI, nel commentare il testo dell’evangelista
Matteo sopra citato, evoca diversi
valori che dovrebbero appartenere “all’uomo nuovo”quali l’alleanza, la solidarietà, la vita e la sapienza. Come un tempo, i
discepoli furono chiamati a donare “nuovo sapore” al mondo, così anche a noi, oggi,
viene chiesto di partecipare alla vita della comunità ecclesiale mettendo a
disposizione i propri carismi, condividendo scelte e progetti, cooperando per
il bene comune.
Nel contempo “essere luce” ci impegna ad accendere le
speranza in chi è scoraggiato, far diradare le nubi della tristezza in chi è
deluso e amareggiato, incontrare chi vive nella solitudine, sostenere chi è
sfiduciato.
“Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore.
Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in
ogni bontà, giustizia e verità” ( Ef 5,8-9)
Siamo ben consapevoli che lo scontro tra la luce e le
tenebre è parte integrante del divenire della vita e, come sosteneva Bachelard,
“c’è ombra solo dove c’è la luce”. Tuttavia, rimaniamo saldi nell’ “amore che è
una scuola di volo, innesca una energia, una luce, un calore, una gioia che mette le ali a tutto ciò che fai”
(Ermes Ronchi)
B – La vita chiama:
Conversione
“ Il saggio mette un
pizzico di zucchero in tutto quello che dice agli altri, e ascolta con un grano
di sale tutto ciò che gli altri dicono” (proverbio tibetano)
Un giorno, un signore non credente incontrò un amico convertito
di recente.
“ Così ti sei convertito a Cristo?”
“Sì”
“Allora devi sapere un sacco di cose su di Lui. Dimmi, in
che paese è nato?”
“Non lo so”
“Quanti anni aveva quando è morto?”
“Non lo so”
“Quanti libri ha scritto?”
“Non lo so”
“Sai decisamente ben poco per essere un uomo che afferma di
essersi convertito a Cristo!”
“ Hai ragione. Mi vergogno di quanto poco so di Lui. Ma
quello che so è questo tre anni fa ero un ubriacone. Ero pieno di debiti. La
mia famiglia cadeva a pezzi. Mia moglie e i miei figli temevano il mio ritorno
a casa ogni sera. Ma ora ho smesso di bere; non abbiamo più debiti; la nostra è
ora una casa felice; i miei figli attendono con ansia il mio ritorno a casa.
Tutto questo ha fatto Cristo per me. E questo è quello che
so di Cristo!”
Quando Gesù entra nella nostra vita, la cambia.
Seguire Gesù significa cambiare il modo di vedere Dio, gli
altri, il mondo, se stessi.
Gesù dà sapore e luce alla nostra vita. Ci cambia dentro e
la vita acquista senso.
C – L’attivazione: in
piccolo o grande gruppo
Quali pensieri, emozioni, domande ti suscita il racconto?
Che cosa significa per te “essere sale e luce”?
D – L’ascolto della
Parola
E - Bibliografia di
riferimento
Francesco Alberoni, L’arte
di avere coraggio, Piemme
Erich Fromm, L’arte di
amare, Mondadori
APPENDICE
Allegato n°1
Se fosse tuo figlio
Se fosse tuo figlio
Riempiresti il mare di navi
Di qualsiasi bandiera.
Vorresti che tutte insieme
a milioni
facessero da ponte
per farlo passare.
Premuroso,
non lo lasceresti mai da solo
faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi,
lo copriresti
per non farlo bagnare
dagli schizzi d’acqua salata.
Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare,
uccideresti il pescatore che non presta la barca, urleresti
per chiedere aiuto,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.
Se fosse tuo figlio oggi saresti in lutto,
odieresti il mondo, odieresti i porti
pieni di navi attraccate,
odieresti chi le tiene ferme e lontane
da chi, nel frattempo
sostituisce le urla
con acqua di mare.
Se fosse tuo figlio li chiameresti
vigliacchi disumani, gli sputeresti addosso
dovrebbero fermarti, tenerti, bloccarti
vorresti spaccargli la faccia,
annegarli tutti nello stesso mare.
Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio,
puoi dormire tranquillo
e soprattutto sicuro.
Non è tuo figlio.
E’ solo un figlio dell’umanità perduta,
dell’umanità sporca, che non fa rumore.
Non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente
Non è il tuo. (Sergio Guttilla, studente presso il
Liceo artistico di Cefalù)
29 giugno 2018 – dedicato ai 100 morti in mare.
Morti affogati in attesa di una nave che li salvasse.
Allegato n° 2
Abbi cura di me
Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare
Sono solo quattro accordi ed un pugno di parole
Più che perle di saggezza sono sassi di miniera
Che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera
Non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso
Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo
Perché la natura è un libro di parole misteriose
Dove niente è più grande delle piccole cose
E’ il fiore tra l’asfalto lo spettacolo del firmamento
E’ l’orchestra delle foglie che vibrano al vento
E’ la legna che brucia che scalda e torna cenere
La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere
Perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi
E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri
Tu allora vivilo adesso come se fosse l’ultimo
E dai valore ad ogni singolo attimo
Ti immagini se cominciassimo a volare
Tra le montagne ed il mare
Dimmi dove vorresti andare
Abbracciami se avrò paura di cadere
Che siamo in equilibrio
Sulla parola insieme
Abbi cura di me
Abbi cura di me
Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro
Basta mettersi al fianco invece di stare al centro
L’amore è l’unica strada, è l’unico motore
E’ la scintilla divina che custodisci nel cuore
Tu non cercare la felicità semmai proteggila
E’ solo luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima
E’ una manciata di semi che lasci alle spalle
Come crisalidi che diventeranno farfalle
Ognuno combatte la propria battaglia
Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia
Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso
Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso
Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo
Anche se sarà pesante come sollevare il mondo
E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte
E ti basta solo un passo per andare oltre
Ti immagini se cominciassimo a volare
Tra le montagne ed il mare
Dimmi dove vorresti andare
Abbracciami se avrò paura di cadere
Che nonostante
tutto
Noi siamo ancora insieme
Abbi cura di me qualunque strada sceglierai, amore
Abbi cura di me
Abbi cura di me
Che tutto è così fragile
Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino
Perché mi trema la voce come se fossi un bambino
Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare
Tu stringimi forte e
non lasciarmi andare
Abbi cura di me
(Simone
Cristicchi, febbraio 2019)
Allegato n°3
Mandami qualcuno da amare
Signore, quando ho
fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno
da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Madre Teresa di
Calcutta
Allegato n°4
Preghiera
Voglio ringraziarti, Signore,
per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte
Che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza,
oso pensare, Signore,
che anche Tu abbia un’ala soltanto.
L’altra, la tieni nascosta:
forse per farmi capire
che anche Tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita:
perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con Te.
Perché vivere non è “trascinare la vita”,
non è “strappare la vita”,
non è “rosicchiare la vita”.
Vivere è abbandonarsi come un gabbiano,
all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala,
con la fiducia di chi sa di avere nel volo
un partner grande come Te. (don Tonino Bello, vescovo)
Allegato n°5
Quando ti chiedo di ascoltarmi
Quando ti chiedo
di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli, non mi sento capito.
Quando ti chiedo
di ascoltarmi e tu mi fai domande, discuti, tenti di spiegarmi quello che
sento o non dovrei sentire, mi sento aggredito.
Quando ti domando
ascolto, io ti domando di essere vicino, adesso, in questo istante così
fragile nel quale mi cerco attraverso una parola maldestra, inquietante, non giusta
o caotica. Ho bisogno del tuo orecchio, della tua tolleranza, della tua
pazienza, per esprimermi in ciò che è più difficile come in ciò che è più
leggero.
Sì, semplicemente
ascoltami…senza scuse e senza accuse, senza espropriarmi della parola.
Ascolta,
ascoltami. Tutto quello che ti domando è di ascoltarmi, il più vicino
possibile a me. Semplicemente accogliere quello che tento di dire,
quello che cerco di dire. Non interrompermi nel mio brontolio, non aver paura
del mio brancolare o del mio imprecare.
Le mie
contraddizioni come le mie accuse, per quanto ingiuste siano, sono importanti
per me.
Attraverso il
tuo ascolto, io tento di dire la mia differenza, cerco di farmi capire,
soprattutto da me stesso.
Giungo così ad una
parola mia, quella di cui sono stato a lungo espropriato.
Oh no, non ho
bisogno di consigli. Posso agire da me, e anche sbagliarmi. Non sono incapace:
a volte indifeso, scoraggiato, esitante, non sempre impotente.
Se tu vuoi darti da
fare per me, contribuisci alla mia paura, accentui la mia inadeguatezza e,
forse, rafforzi la mia dipendenza.
Quando mi sento
ascoltato, posso finalmente capirmi. Quando mi sento ascoltato, posso
entrare in collegamento. Stabilire ponti, passerelle incerte tra la mia storia
e le mie storie. Collegare avvenimenti, situazioni, incontri o emozioni per
farne la trama delle mie interrogazioni. Per tessere così l’ascolto della mia vita.
Sì il tuo ascolto è
appassionante. Per favore, ascolta e capiscimi.
E se vuoi parlare a
tua volta, aspetta solo un momento che possa terminare e io ti ascolterò a mia
volta, e meglio, soprattutto se mi sono sentito capito… (Jacques Salomè)
Allegato n° 6
Ascoltami con gli occhi
Una giovane mamma, in cucina, preparava la cena con la mente
totalmente concentrata su ciò che stava facendo: preparava le patatine fritte.
Era sicura che i bambini avrebbero apprezzato molto: le patatine fritte erano
il loro piatto preferito.
Il bambino più piccolo di quattro anni, aveva avuto un’intensa
giornata alla scuola materna e raccontava alla mamma quello che aveva visto e
fatto. La mamma rispondeva distrattamente con monosillabi e borbottii. Qualche
istante dopo si sentì tirare per la gonna e udì: “Mamma…” La donna accennò di
sì col capo e borbottò qualche parola. Sentì altri strattoni alla gonna e di
nuovo: “Mamma…”. Gli rispose ancora una volta brevemente e continuò imperterrita
a sbucciare le patate.
Passarono cinque minuti. Il bambino si attaccò alle gonne
della mamma e tirò con tutte le sue forze. La donna fu costretta a chinarsi
verso il figlio. Il bambino le prese il volto fra le manine paffute, lo portò
davanti al proprio viso e disse: “Mamma, ascoltami con gli occhi!”
Allegato n° 7
Preghiera per i genitori
Mio Dio, concedimi di meglio comprendere i miei genitori e
rendere loro amore per amore. Se non posso amarli come una volta, ciò vuol dire
che devo amarli più fortemente;
non più come un bimbo che balbetta appena, ma come l’uomo
che sa ciò che deve dire ed esprime i sentimenti del suo cuore con una parola
dolce e forte.
Andrò da mio padre e da mia madre, che penano per me, e il
cui lavoro finora mi è rimasto sconosciuto,
sicuro che una parola del loro figlio darà gioia ad essi, a
mio padre e a mia madre che vivono solo per me…
Questa sera riprenderò con maggiore comprensione delle altre
volte, la vecchia preghiera della mia infanzia:
Padre nostro, che sei nei cieli, ascolta i tuoi figlioli. Ti
preghiamo per i nostri genitori.
Per mezzo loro ci hai dato tutto, rendi loro tutto il bene
che ci hanno fatto.
Ci hanno dato la vita: conserva loro la salute.
Ci hanno nutrito: concedi loro il pane quotidiano.
Ci hanno vestito: che la loro anima sia sempre rivestita
della tua grazia.
Dona loro sulla terra la felicità che si trova solamente nel
servirti e amarti;
e fa’ che un giorno possiamo essere tutti riuniti in cielo. Così sia.
(J. Hainout,
« La prière de la route »
Allegato n°8 L’arte
di accompagnare: I DISCEPOLI DI EMMAUS
L’autrice, Janet Brooks-Gerloff, di origine americana, è
morta in Germania nel 2008 dopo una grave malattia.
Vorremmo restare ancora un po’ nel clima del brano del
vangelo che abbiamo appena ascoltato e lo facciamo attraverso un quadro poco
noto, ma molto interessante perché è
denso di significati, di messaggi validi per gli uomini di ogni tempo, quindi
anche per noi.
Diamo alcune chiavi di lettura per poterlo apprezzare e gustare pienamente.
I tre personaggi sono di spalle, (noi siamo dietro di loro)
ed è come se ci invitassero a seguirli, ad andare con loro per entrare in
dialogo e condividerne le domande.
Le ampie vesti dei due discepoli sono nere, come il colore
cupo dei loro pensieri.
Non è difficile identificarsi in questi due discepoli,
perché anche noi, a volte, camminiamo sulle strade della vita con pensieri cupi
e tante domande nel cuore. Magari desiderosi che qualcuno si accosti a noi per condividere le nostre ansie, le nostre
preoccupazioni.
Geniale è l’idea della pittrice di tratteggiare solo il
profilo di Gesù rendendolo trasparente, senza peso.
Ciò ci ricorda che il
nostro sguardo non riesce ad afferrare la sua nuova identità pasquale, di risorto.
Infatti i discepoli sono in conversazione con lui, sicuramente lo avevano
conosciuto, lo avevano sentito parlare, ma non si rendono conto che è proprio
Lui, in quanto i loro occhi sono ancora “in attesa” incapaci di
riconoscerlo, anche se il loro cuore si sta riscaldando.
Si noti poi, che i due occupano solo la metà sinistra della
composizione, mentre il Signore che li accompagna sta al centro, costituendo
così il fulcro dell’immagine: è lui infatti la Via, la Verità, la Vita!
In lontananza, sulla destra dell’orizzonte, sembra
avvicinarsi un temporale… o forse una pioggia ristoratrice che farà rifiorire i
deserti, …. anche quelli interiori, come se il paesaggio fosse un vero e
proprio stato d’animo, in attesa di ristoro.
In questo dipinto non è rappresentato il culmine della
narrazione di Luca, cioè il momento del riconoscimento del Signore, si
evidenzia invece, si pone l’accento, sull’importanza del cammino, del camminare
insieme.
E allora vediamo come Lui accompagna. Lo ricaviamo anche dal
racconto.
Gesù si accosta, piano piano, con naturalezza, senza
forzature, camminando alla pari, senza bisogno di mostrare l’etichetta o il
fulgore della sua gloria, anzi chiede, si lascia istruire, ascolta, forse anche
si ferma. Resta loro accanto, adattandosi al loro ritmo, al loro passo e li
incontra là dove essi sono, nei loro dubbi, nelle loro delusioni e paure.
E’ bello vedere che il discepolo di sinistra, si gira verso
di Lui, per ascoltare meglio, quasi avesse intuito qualcosa.
Alla successiva richiesta dei discepoli: “Resta con noi”
avviene un’inversione: da ospitanti (resta con noi) essi diventano ospitati da
Gesù.
E proprio in questa sua ospitalità, il Signore si rivela nel
segno dello spezzare il pane, come un vero compagno, colui che è “cum panis”
cioè che mangia lo stesso pane, condividendo gesti semplici, abituali, ma densi
di significato.
Poi scompare: così come ogni autentico accompagnatore deve
saper fare. per permettere all’altro di camminare con le sue gambe e di tornare
alla sua vita, alle sue relazioni ma ….con una buona notizia da annunciare.
Questo è il frutto dell’incontro: un’esperienza pasquale, di
passaggio dalla depressione del “volto triste” alla capacità di diventare
annunciatori coraggiosi.
Potrebbe diventare l’ ICONA di ogni accompagnatore.
Allegato n° 9 (v.
classe 2° - primo incontro – consacrare; oppure classe 4° – primo incontro:
benedire)
I riti sono esercizi
del cuore
Uno dei ricordi più vivi della mia infanzia, si riferisce a
quando mio padre tornava a casa dal lavoro alle sei e mezzo di sera. Io e mio
fratello lo sentivamo suonare il campanello più e più volte, per gioco, fino a
quando uno di noi due andava ad aprirgli la porta.
Di solito, noi eravamo in cucina a fare i compiti o a
guardare la televisione e lanciavamo grida di entusiasmo nel sentire quel
familiare scampanellio.
Ci precipitavamo giù per le scale, spalancavamo la porta di
casa e quel punto lui ci diceva: “ Beh,
come mai ci avete messo tanto?”.
Era il momento migliore della giornata quando lui tornava a
casa.
C’è un altro ricordo che mi accompagnerà per sempre e si
riferisce a quello che per lui era un vero
rito quotidiano: la cena.
Ci accomodavamo a tavola tutti insieme e poi lui, posando
una mano sul braccio della mamma, diceva: “Ma voi sapete che avete la mamma più
straordinaria del mondo?”.
Era la frase che amava ripetere tutte le sere.
Allegato n° 10 (v.
classe 4° - terzo incontro: dare)
Abbi grande fiducia in Dio, ma, prima, fai tutta la tua parte, perché
Dio non ha altre mani che le tue
Dio solo può dare la
fede; tu, però, puoi dare la tua testimonianza.
Dio solo può dare la
speranza; tu, però, puoi infondere fiducia nei tuoi fratelli.
Dio solo può dare
l’amore; tu, però, puoi insegnare all’altro ad amare.
Dio solo può dare la
pace; tu, però, puoi seminare l’unione.
Dio solo può dare la
forza; tu, però, puoi dare sostegno ad uno scoraggiato.
Dio solo è la via; tu,
però, puoi indicarla agli altri.
Dio solo è la luce;
tu, però, puoi farla brillare agli occhi di tutti.
Dio solo è la vita;
tu, però, puoi far rinascere negli altri il desiderio di vivere.
Dio solo può fare ciò
che appare impossibile; tu, però, potrai fare il possibile.
Dio solo basta a se
stesso; egli, però preferisce contare su di te.
(Canto brasiliano)
Allegato n°11 (v.
classe 3° - primo incontro: ascoltare)
Dialogo familiare
Figlio: “Avete sentito quello che è successo in Siria?”
Padre : “Bah!”
Madre : “E’ abbastanza salata la minestra?”
Figlio : “E’ un problema, no?”
Padre : “Sì”
Figlio : “Allora che ne pensi?”
Padre: “Hai ragione, manca un po’ di sale”
Madre : “Eccolo tieni”
Figlio : “ E’ strano come si sia potuto arrivare a tanto”
Madre : “Quanto hai preso in matematica?”
Padre: “ Io non ho mai capito niente di matematica”.
Madre : “ Fa freddo, stasera (…)”
Un marito ascolta la moglie al massimo per 17 secondi e poi
incomincia a parlare lui.
Una moglie ascolta il marito al massimo per 17secondo e poi
incomincia a parlare lei.
Marito e moglie ascoltano i figli per (…)
Allegato n° 11 (v.
classe 4° - quarto incontro: annunciare)
Chi è Dio?
Lo chiesi ad un saggio e mi invitò a cercare.
Lo chiesi a mia madre e mi offrì il suo affetto.
Lo chiesi a mio padre e mi offrì il suo lavoro.
Lo chiesi al vento e mi regalò una carezza.
Lo chiesi ad un gabbiano e si alzò in volo.
Lo chiesi al mare e mi insegnò il silenzio.
Lo chiesi ad un passero e cominciò a cantare.
Lo chiesi ad una nuvola e danzò con il sole.
Lo chiesi ad un albero e si coprì di fiori.
Lo chiesi ad un amico e mi invitò ad asciugare una lacrima.
Lo chiesi ad un bambino e mi invitò a giocare.
Lo chiesi al mio sposo e mi baciò teneramente.
Lo chiesi ai miei figli e mi vennero in braccio.
Lo chiesi al povero e mi regalò il suo pane.
Lo chiesi ad un vecchio e mi donò un sorriso.
Lo chiesi ad un malato e mi mostrò il dolore.
Lo chiesi alla morte e mi invitò a sperare.
Lo chiesi a Dio e si fece Bambino.. e si fece Vita
(don Tonino e Rosaria
Solarino in Diario di Famiglia ed. Elledici)
Allegato n°12
L’invito
Il signore di un castello diede una grande festa, a cui
invitò tutti gli abitanti del villaggio aggrappato alle mura del maniero. Ma le
cantine del nobiluomo, pur essendo generose, non avrebbero potuto soddisfare la
prevedibile e robusta sete di una schiera così folta di invitati.
Il signore chiese un favore agli abitanti del villaggio: “
Metteremo al centro del cortile, dove si terrà il banchetto, un capiente
barile. Ciascuno porti il vino che può e lo versi nel barile. Tutti poi vi
potranno attingere e ci sarà da bere per tutti”.
Un uomo del villaggio, prima di partire per il castello, si
procurò un orcio e lo riempì di acqua,
pensando: “ Un po’ d’acqua nel barile passerà inosservata (…)nessuno se ne
accorgerà!”
Arrivato alla festa, versò il contenuto del suo orcio nel
barile comune e poi si sedette a tavola. Quando i primi andarono ad attingere,
dallo spinotto del barile uscì solo acqua.
Tutti avevano pensato allo stesso modo. E avevano portato
solo acqua.
Se siamo scontenti del mondo, è perché troppi portano solo
acqua.
E tutta la creazione ne soffre.
[1] Dono e regalo non sono sinonimi.
Aiutiamoci con l’etimologia:regalo
deriva probabilmente dallo spagnolo “re-galo”
riferito anticamente agli omaggi che i sudditi elargivano al re. Evoca l’atto
volto a riconoscere un merito, a compensare un debito verso qualcuno nei
confronti del quale si debba manifestare riconoscenza. Ha un valore quantitativo. Dono viene dal verbo dare, dare nel senso più pieno e profondo.
Dono è anche sinonimo di qualità, dote, virtù è un gesto di affetto verso gli
altri che non chiede nulla in cambio. E’ disinteressato;può valere quasi nulla
da un punto materiale (da cui la dimensione qualitativa),
ma contiene un ingrediente molto importante: l’amore. Il dono, a differenza del regalo, è un omaggio ai sentimenti e non alla
persona.
[2] il culto del silenzio
nella preghiera, nella meditazione e nella letteratura, ha dato luogo a infinite interpretazioni,
metafore, significati. Tra questi, in un mondo dove tutti vogliono esprimere
opinioni e giudizi, l’arte di ascoltare, ovvero di stare in silenzio, è
forse quella più difficile da mettere in pratica.
[3] L’attesa dei genitori
adottivi: possiamo incontrare genitori che dopo anni di sofferenza, di attesa
hanno potuto accogliere un/una figlio/a. L’adozione è l’incontro del bisogno di
un bambino di essere amato da una famiglia che l’aiuti a crescere e della disponibilità
di una coppia a diventare genitori di un bambino nato da altri e nato altrove.
[4] Spesso accade che già nell’attesa
e nei primi anni di vita del figlio, il padre non sappia più qual è il suo
ruolo. La madre è tutta rivolta alle cure per il figlio e spesso non gli lascia
spazi per il suo accadimento, svalutando i timidi tentativi di prodigarsi. E’
una nuova stagione per la coppia che deve ri-direzionare “la sua bussola”. Il
padre diventa, se coinvolto, il garante della stabilità e del benessere della
famiglia. E’ lui che permette alla moglie – madre di prendersi cura del
piccolo, di dedicargli tutto il tempo di cui ha bisogno.
[5] La paternità sociale
all’interno della famiglia ha modo di manifestarsi fin dai primi mesi di vita
del figlio, quando il genitore concorre gradualmente a differenziare il legame
madre-bambino, inserendosi nella diade e sollecitando entrambi i soggetti a
interagire con il diverso, con l’altro, un comune interlocutore capace di
incidere in maniera forte sull’aumento delle relazioni. In riferimento a ciò,
la paternità sociale intrafamiliare si esplica attraverso precise modalità di
condotta che, tra loro intrecciate, concorrono a definire la funzione educativa
del padre: il padre come divieto o limite relazionale, il padre come rappresentante
dell’autorità, il padre come razionalità.
[6]
1. Individuo che sa costruire relazioni significative e durature;
capacità di comprendere, in modo profondo ed articolato le
problematiche esistenziali; attraversa momenti difficili nella vita
e chiede attenzione, ascolto, cura, per non sentirsi solo. “Essere
adulti è essere soli” (Jean Rostand, biologo e filosofo francese)
2- “Persone che hanno raggiunto un determinato e
caratteristico stadio dello sviluppo psicologico e fisiologico”. Ciò
significa che un individuo maturo cognitivamente e affettivamente,
proprio grazie a questa maturità, impara in modo diverso ed ha differenti
bisogni educazionali[6] da quelli
di una persona ai primi stadi di sviluppo.
[7] Ci rendiamo conto che il
tempo in cui stiamo vivendo, pur affascinante, riserva delle preoccupazioni ed
è segnato da profondi ripensamenti della stessa realtà “uomo”, “persona”.
[8] E. Erikson, Infanzia e
Società, Armando editore, Roma
[10] Il rito è una forma di
comportamento ripetitivo consistente in una sequenza di atti, formule linguistiche,
rappresentazioni visive o oggettuali utilizzate in modo simbolico. In
un’accezione più ampia il rito indica qualunque comportamento o attività
formalizzata che si svolge secondo regole o procedure specificate dalla
società. I riti sono strettamente connessi con la religione e la sfera del
sacro: ogni rito religioso svolge la funzione di rendere tangibile e ripetibile
l’esperienza religiosa
[11] secondo l’antropologo
Arnold Van Gennep “accompagnano ogni modificazione di posto, di stato, di
posizione sociale e di età”; si tratta dei riti che vengono celebrati, ad
esempio, in occasione della nascita, della pubertà, del matrimonio o della
morte, la cui funzione principale è di segnalare e di riconoscere il formarsi
di nuove relazioni sociali (nuovi ruoli di responsabilità all’interno della
comunità di appartenenza).. Si prenda, ad esempio, la nascita; essa dà luogo a
molti riti, di separazione, di margine e di aggregazione. Il bambino deve
essere innanzitutto separato dal suo mondo precedente, dalla madre tagliando il
cordone ombelicale. Altri riti di separazione sono il primo bagno, il lavaggio
della testa, il massaggio del neonato.
[12] I tre bisogni
fondamentali che hanno molta incidenza
sulla formazione dei bambini sono: bisogno di stimoli, bisogno di riconoscimento,
bisogno di struttura.
[13]… “Il bisogno di struttura
ci sostiene e viene appagato nella
misura in cui riusciamo ad orientarci alla motivazione interiore, cioè siamo
liberi rispetto al giudizio e alla considerazione degli altri; non nel senso
che ci è indifferente, ma nel senso che riusciamo a mantenere un certo margine
di autonomia per decidere seco0ndo ciò che a noi sembra giusto, in base ai
valori che abbiamo scelto ed in cui crediamo” (in Raffaello Rossi, Piccoli
genitori grandi figli”, pag. 100)
[14] v. differenza tra eu-stress
(aspetto positivo dello stress. Una certa quantità di stress, intesa come
quantità di stimoli indirizzati al nostro corpo e alla nostra mente, serve per
mantenersi attivi e reattivi. Questo ci permette, infatti, di avere una vita
movimentata, con successi, insuccessi e di ricercare un modo per sfogare il
nostro malessere)ed di-stress (Una grande quantità di stress, cioè di
stimolazioni emotivamente importanti, che arrivano al nostro organismo in un
breve lasso di tempo, oppure si protraggono nel tempo, e che non trovano una
valvola di sfogo, mettono a repentaglio la salute. Se non si è in grado di
riposare fisicamente e mentalmente, trovando dei modi per sfogare le tensioni,
lo stress diventa negativo).
[15] Ci ricorda Xavier Lacroix
in Passatori di vita, saggio sulla paternità, “Il padre è colui che apre
al mondo, che introduce alla realtà, che stimola la
conoscenza del nuovo. Egli rappresenta la forza, lo stare saldo dinanzi
all’avversità, la capacità di mantenere la rotta nonostante il vento contrario;
e perciò suscita timore (per la forza che detiene) ed insieme infonde
fiducia perché la sua forza è benefica. E’ anche testimone della legge
perché insegna il limite, il rispetto dell’autorità, senza il quale non vi
può essere passaggio, crescita, libertà”
[16] teoria della retribuzione
morale (Grozio, Kant, Bettiol): secondo questa corrente esiste una esigenza
radicata nella coscienza morale che il bene sia ricompensato col bene, il male
col male. Poiché il delitto costituisce una violenza dell’ordine etico, è dalla
stessa coscienza umana che scaturisce l’imperativo di retribuirlo con una pena.
[17] Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief il nome esteso
in inglese) è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo.
Ne fanno parte 18 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi
3.000 partner locali in oltre 90 nazioni per individuare soluzioni durature
alla povertà e all'ingiustizia.[1]
[18] Papa Francesco, Angelus del 29/10/2017
[19] CCC 396 - 409
[20] Rm 7,19
[21] Evangelii gaudium, 1
[22] Udienza giubilare di Papa
Francesco 30 gennaio 2016
[23] Don Tonino Bello vescovo,
Con Cristo sulle strade del mondo - ed. San Paolo
[24] L’antica via Salaria romana, ad es. era nata con il
preciso scopo di trasportare a Roma il sale estratto dalle saline
dell’Adriatico
[25] v. a tale proposito v. Cartagine che nel 149 a.C. venne rasa al suolo e
il terreno cosparso di sale per evitarne la rinascita; oppure il mar Morto (Yam ha – Melah, letteralmente Mare
del sale) la depressione più profonda della Terra, generatasi per millenni per
effetto dell’evaporazione delle sue acque non compensate da quelle degli
immissari, che è anche causa della sua notevole salinità. L’alta concentrazione
di sale presente non consente forme di
vita fatta eccezione per alcuni tipi di batteri.