mercoledì 25 settembre 2019

Educare al senso del Sacro_



Diocesi di Adria-Rovigo
Ufficio per l’Annuncio e la Catechesi, in collaborazione con Ufficio per la Famiglia

 

Educare al senso del Sacro

Itinerari educativi alla genitorialità

 


A cura di

Maura Bianco Vallin

Teodolinda Levi

Ermanna Pelà Lazzarin

Andrea Varliero



Educare al «senso del sacro»

«Non è un’anima, non è un corpo che si educa; è un uomo: non bisogna dividerlo in due»

(Michel de Montaigne, filosofo, scrittore e politico francese, 1533-1592)


Abbiamo fatte nostre alcune considerazioni che ci hanno orientato nella stesura del percorso:
1.    La crescita è un processo complesso che implica uno sviluppo fisico, cognitivo, sociale, emozionale, morale e spirituale. Necessita di continuità, sistematicità (ossia con regolarità senza interruzioni), e sistemicità (le figure educative condividono un progetto insieme per la crescita armonica del bambino)
2.    I genitori sono i primi educatori; sono persone con competenza (magari va fatta riscoprire per prenderne consapevolezza). L’obiettivo da conseguire è quello dell’assunzione di corresponsabilità, evitando deleghe o sostituzioni.
Il percorso formativo:
      Valorizza 5 annualità ( dai 6 agli 11 anni).
      Si avvale di 5 verbi generativi per annualità
      Ogni annualità viene introdotta da un momento propedeutico.
Noi riteniamo che il momento propedeutico sia fondamentale, non solo dal punto di vista tecnico- organizzativo, in quanto viene presentato il conduttore – facilitatore (quando non è il catechista) e condiviso il percorso educativo – formativo dell’annualità di riferimento, ma anche perché, in questo incontro, viene stipulata l’alleanza educativa tra il conduttore e il genitore. Il clima che si instaura consentirà di orientare positivamente gli incontri successivi. Pertanto, una buona accoglienza favorirà un contesto idoneo all’ascolto e predisporrà il genitore all’apertura come condivisione e cambiamento. A supporto della riflessione un’opera d’arte strettamente connessa al tema conduttore degli incontri: il simbolismo dell’immagine vuole offrire spunti interpretativi per introdurre o concludere il momento formativo.
Isoliamo per un attimo un “verbo generativo” per vedere come è strutturato un incontro.
    1° momento: denominato “comprensione: è la fase teorico espositiva, in cui il genitore si pone in ascolto delle riflessioni – stimolo”; coinvolge la dimensione antropologico –esistenziale del soggetto, 
    2° momento: denominato “la vita chiama”: è la fase dell’attivazione in piccolo gruppo in un primo momento e della riappropriazione in plenaria a seguire, in cui il genitore è chiamato a confrontarsi con se stesso e con l’altro da sé, ponendo in essere capacità comunicative all’interno della dinamica di gruppo. Coinvolge la dimensione riflessivo – operativa
    3° momento: fase della “Parola in ascolto della vita” (brani evangelici del N.T. legati al verbo generativo); coinvolge la dimensione spirituale ed etica
    4° momento: fase della “consegna educativa” (da realizzarsi in famiglia), per condividere con i figli il percorso di crescita. La generatività del genitore raggiunge il suo apice nell’atto educativo. Coinvolge la dimensione pedagogica.
    Bibliografia di riferimento a conclusione di un percorso formativo annuale
    (da ultimo in) Appendice: testi in prosa, poesia, preghiere… ad integrazione e arricchimento del percorso
Si è privilegiata una metodologia variata: al momento espositivo - discorsivo (comunicazioni, aforismi, immagini) , fa seguito il momento applicativo (riflessioni nel piccolo o grande gruppo) nella conduzione di ogni incontro, consentendo, in tal modo, di attivare tutte le potenzialità dell’adulto in formazione.


Presentazione


«Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona».
(Carl Gustav Jung)

«Non guidarmi, non calpestarmi, non spingermi, non frenarmi, non superarmi. Accompagnami».
(Fabrizio Caramagna)


Il presente strumento di lavoro vuole porsi come un sussidio per chi ha il compito di accompagnare i genitori in un percorso di catechesi in sintonia con il percorso del proprio figlio, quasi un camminare mano nella mano pur con obiettivi e metodologie diversificate, ovviamente rispondenti alla diversa maturità e sensibilità dei destinatari.
Riteniamo infatti che la catechesi di iniziazione cristiana possa essere perseguita proficuamente se affiancata alla disponibilità da parte dei genitori ad accompagnare i propri figli nel cammino della fede, disponibilità che richiede da parte dei responsabili della catechesi l’impegno di far scoprire o riscoprire la bellezza di alcuni aspetti essenziali della fede.
Si tratta di dar vita ad una alleanza educativa fra l’adulto-animatore e l’adulto genitore per crescere insieme in vista di una Chiesa che sia sempre più spazio aperto e dialogante fra adulti maturi e in grado di essere figure significative per le nuove generazioni.
Ogni scheda è suddivisa in cinque incontri mensili, preceduti da un incontro propedeutico, che sviluppano un nucleo tematico (parola-verbo) in correlazione con le tappe dell’iniziazione cristiana dei ragazzi.

Le motivazioni che hanno guidato l’ideazione e la realizzazione di questo sussidio si possono così delineare:
    La necessità di un approfondimento di nuclei tematici rilevanti per la crescita umana e spirituale di ogni persona e, nello specifico, di un genitore che si sente responsabile in prima persona dell’educazione del proprio figlio. Sono le parole-chiave che costituiscono il focus di ogni incontro attorno al quale si articola il primo momento, affidato all’animatore, della comprensione, aperto alle problematiche del mondo attuale con riferimenti supportati da Autori della cultura in generale: poeti, scrittori, psicologi, pedagogisti, filosofi…. e dalla Parola di Dio (l’uno e l’altro Testamento) per stimolare la riflessione, la problematizzazione, la contestualizzazione dei contenuti che non può prescindere dalla nostra specifica realtà territoriale, socio-culturale, geografica.
    L’importanza dell’attualizzazione che si declina nel momento La vita chiama, impostato in una modalità perlopiù esperienziale con lo scopo di “calare” la teoria nella vita di tutti i giorni e nell’esperienza personale di ciascuno, attingendo anche a parabole della vita, racconti, favole, poesie, canzoni che aiutano a far emergere quel senso nascosto e genuino delle cose che la fantasia è in grado di raggiungere meglio di qualsiasi altro discorso.
    L’attenzione alla relazione interpersonale che si deve creare fra l’animatore e i genitori, i genitori fra loro e i genitori con i loro figli. Un clima di accoglienza e rispetto reciproco è alla base di ogni incontro che voglia essere produttivo.
-      È il momento del confronto in gruppo sui contenuti proposti e sulle sollecitazioni offerte ne la vita chiama.
-      Ma è anche il momento della riappropriazione, che permette di riformulare e restituire in plenaria quanto si è presentato nel vissuto personale e nell’approfondimento del tema e nello scambio reciproco, in una condivisione che diventa in qualche misura “revisione di vita”.
-      E infine è anche il momento della consegna educativa, una proposta di azioni concrete da vivere con il proprio figlio in uno scambio di doni reciprocamente stimolante, sia sotto il profilo relazionale e umano che spirituale.
    La convinzione che fede e vita sono reciprocamente arricchenti è la motivazione che sta alla base del momento la vita in ascolto della Parola in cui si propone un brano della Bibbia come un nutrimento spirituale e uno spiraglio di eternità su tutto ciò che di più bello abbiamo nel cuore.

Indicazioni per il conduttore-formatore

Chi “anima” gli incontri, quando non si tratti di persona già conosciuta, può avvalersi di una scaletta così costituita:
      Chi è il formatore: nome e cognome, esperienze professionali o altro
      Qual è il mio compito all’interno del percorso formativo?
      Come è strutturato il percorso formativo: la struttura del percorso e degli incontri; porre l’accento sul ruolo educativo del genitore.
Questa prima presa di contatto con l’uditorio è molto importante in quanto costituisce “la base” dell’alleanza educativa. Si suggeriscono semplicità espositiva, chiarezza e concretezza ( rispondere brevemente ad eventuali domande chiarificatrici) Tempo: 7/10 minuti.

Esempio di presentazione
“Buon giorno (Buona sera) a tutti, grazie per aver accolto l’invito di partecipare a questo percorso educativo -formativo. Io mi chiamo (…), da molti/alcuni anni sono formatore/trice e accompagno la riflessione all’interno di percorsi educativi rivolti ai genitori. Questa sera sono stato/a invitato/a a presentarvi un percorso di formazione rivolto a voi. Svilupperemo il lavoro insieme, valorizzando il vostro ruolo e la vostra competenza come genitori. Cercheremo di confrontarci e di riflettere su alcune problematiche relative alla “costruzione del senso del sacro” nei vostri figli, condividendo punti di vista, difficoltà, incertezze, delusioni e forme di scoraggiamento, ma anche gioie, emozioni, sentimenti. Accompagnare i vostri figli in questo percorso di crescita è fondamentale: lo sviluppo di un/a bambino/a è sempre integrale: fisico, cognitivo, sociale, emotivo e morale. Non si possono separare o eludere questi momenti, pena un disequilibrio nella crescita. Prenderne consapevolezza è molto importante, attivando processi di corresponsabilità. Condividere insieme la crescita di un/a bambino/a ( genitori, educatori, catechisti…) evidenzia la sua urgenza in un tempo segnato da incertezze, distorsioni comunicative e complessità sociale. Non possiamo educare da soli: farlo insieme rende meno pesante e faticoso il cammino”.

Dopo aver spiegato brevemente come sarà impostata la serata e le linee generali dell’intero percorso formativo, si può iniziare l’incontro propedeutico, predisposto per introdurre i genitori all’interno del percorso formativo, valorizzandone esperienze e competenze.
Buon lavoro
Il gruppo di lavoro


Primo anno



Quadro: Primi passi di Van Gogh

Introduzione – “il dilemma del porcospino”(ad uso del conduttore del gruppo di formazione)
Il dilemma del porcospino afferma che tanto più due esseri si avvicinano tra loro, molto più probabilmente si feriranno l’uno con l’altro. Ciò viene dall’idea che i porcospini possiedono aculei sulla propria schiena. Se si avvicinassero tra loro, i propri aculei finirebbero col ferire entrambi, infatti, nella realtà, i porcospini sono animali solitari e non soliti al branco. Questo è in analogia con le relazioni tra due esseri umani.
Il concetto è ideato dal filosofo tedesco Arthur Schopenhauer nel suo Parerga e paralipomena, volume II, capitolo XXXI, sezione 396. Il racconto descrive un numero di porcospini che necessitano di accomodarsi vicino per scaldarsi e che si sforzano di trovare la distanza giusta per non ferirsi l’un l’altro.
Il testo della parabola recita così:

“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.
Considerazioni operative:
Quali sono gli aspetti cognitivi, comportamentali, emotivi, ludici e valoriali di cui deve tener conto un conduttore di gruppi di formazione?
Come fa ad utilizzare gli interventi dei partecipanti?
Come fa ad imitare i porcospini di Schopenhauer nel mantenere quell’equilibrio tra distanza e prossimità che consente di scaldare il cuore e la mente, senza farsi male?

L’esempio è ricco di spunti di riflessione anche per la coppia e la famiglia.

Ci si chiede infatti: fino a che punto si può stare vicini senza disturbarsi troppo?
Qual è il livello di calore e di intimità di cui la persona ha bisogno?
Che cosa è necessario fare per vivere insieme senza danneggiarsi a vicenda?
Come trovare il modo per dare qualcosa a chi ci sta vicino, per ricevere da lui qualcosa senza tuttavia farsi del male?
Questi quesiti indicano il problema di fondo di ogni coppia – per il rapporto tra partner - e di ogni famiglia – per quello tra genitori e figli: si tratta della chiave di ogni convivenza democratica, del segreto del vero ben-essere familiare.

Mese di SETTEMBRE
presentazione del percorso educativo/formativo

INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: il genitore “competente”

Nell’altro non si entra come in una fortezza,
ma come si entra in un bosco in una bella giornata di sole.
Bisogna che sia un’entrata affettuosa
Per chi entra come per chi lascia entrare,
da pari a pari, rispettosamente, fraternamente.
Si entra in una persona non per prenderne possesso,
ma come ospite, con riguardo, con ammirazione, venerazione:
non per spossessarlo ma per tenergli compagnia,
per aiutarlo a conoscersi meglio,
per dargli consapevolezza di forze ancora inesplorate,
per dargli una mano a compiersi,
a essere se stesso (Aiutare, Primo Mazzolari)



Obiettivi generali:
Trasmettere il messaggio che i genitori sono persone competenti; tramite lo scambio e la ricerca apprendono insieme (facilitare la ricerca personale;accompagnare in un itinerario educativo i cui protagonisti sono i genitori)
Avviare la presa di coscienza delle proprie risorse e competenze (valorizzazione delle singole persone e di tutto il loro bagaglio conoscitivo ed esperienziale)
Maturare gradualmente un atteggiamento di autoconsapevolezza dei propri ed altrui bisogni (i bisogni dei genitori e… i bisogni dei figli)
Sensibilizzare i genitori alla formazione.

Competenze:
Porsi in ascolto dei propri e degli altrui bisogni.
Attivare modalità comunicative consone ad un dialogo interpersonale.
Saper lavorare in piccolo e grande gruppo.
Attuare una leadership cooperativa.

Presentazione del percorso educativo/formativo

Introduzione a tutto il percorso educativo/formativo per motivare le persone a parteciparvi. Nucleo centrale: perché un itinerario con i genitori.
Il punto centrale è la valorizzazione delle singole persone e di tutto il loro bagaglio, proprio perché si presuppongono “competenti”.
Il ruolo del “conduttore”: offrire occasioni di riflessione, orientare e ri-orientare al dialogo, suggerire, stimolare, sostenere il confronto con  elementi conoscitivi connessi alla crescita del/della figlio/a anche sul piano religioso.

Proposta di avvio dei momenti formativi
Accoglienza
Presentazione dell’incontro
La comprensione: Racconto di apertura (metafora del “genitore – competente”)
L’attivazione: Proposta di lavoro nel piccolo gruppo e scambio con il “conduttore”
La riappropriazione: Nella plenaria si condivide quanto emerso nell’attivazione
La Parola in ascolto della vita
Consegna educativa

Tempi di attuazione
5 minuti: Accoglienza. Per entrare in relazione con l’adulto necessario è creare il clima favorevole di reciproca conoscenza.
5 minuti: Presentazione dell’incontro per informare sul tema, sui tempi e sulle modalità di attuazione del percorso.
5 minuti: La comprensione grazie ad un racconto di apertura, una parabola moderna. Per coinvolgere l’adulto nel proprio ruolo educativo si usano modalità narrative in grado di attivare la partecipazione, l’apertura, l’ascolto di se stessi, l’attivazione delle risorse, nel rispetto della libertà che il racconto stesso propone.
20 minuti: L’attivazione. Dal racconto si attivano domande e dinamiche di piccolo gruppo, composto al massimo da sei membri; ogni piccolo gruppo sceglierà al suo interno una persona in grado di coordinare e attuare la restituzione alla plenaria.
10 minuti: La riappropriazione. Nell’assemblea plenaria si condivide quanto emerso dai piccoli gruppi, riappropriandosi delle competenze e consapevolezze del genitore. Il coordinatore integra e rilancia i contenuti educativi più significativi.
10  minuti: La Parola in ascolto della vita. Alla scuola della pagina biblica affrontiamo la sfida educativa da una nuova prospettiva e con rinnovata fiducia e speranza, quella del Dio- con-noi.
5 minuti: Una consegna educativa. Al genitore viene affidato un piccolo passo educativo nella fede da compiere assieme ai propri figli.   

3) La comprensione. Racconto di apertura   - Il ramo e gli occhiali

C’era una volta un giovane ramo di un grande albero. Era nato in primavera, tra il tepore dell’aria ed il canto degli uccelli. In mezzo all’aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti, trascorse i suoi primi mesi di vita.
Era felice: aveva foglie bellissime e, poi, erano sopraggiunti fiori colorati ad adornarlo e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti gli uccelli del cielo potevano nutrirsi.

Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era Settembre… i frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore, diventavano sempre più pallide…addirittura, di tanto in tanto, il vento se ne portava via qualcuna.
Venne la pioggia, e poi l’aria  fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio; non capiva cosa stesse succedendo. In pochi giorni ed in poche notti si trovò spoglio, infreddolito, completamente solo.
Rimase così qualche tempo, fin quando capì che non poteva far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per poter di nuovo stare insieme a loro. “Devo darmi da fare”, disse risoluto tra sé e sé.

Cominciò, allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici. S rivolse dapprima al Mattino: “Sono solo ed infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sai dove le posso trovare?”. Il Mattino rispose: “ Ci sono alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro”. Si rivolse a questi alberi: “Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le foglie, sapete dirmi dove le posso trovare?”. Gli alberi risposero: “Noi le abbiamo sempre avute, prova a chiedere agli alberi uguali a te”. Si rivolse ai rami spogli come lui. “Abbiamo tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti…”, gli risposero.
Queste parole lo fecero sentire meno solo. Si disse che, se avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il luogo in cui si trovavano. Continuò la sua ricerca e chiese al Vento. “Io le foglie le porto solo via, è la Pioggia che le fa crescere”, disse il Vento a gran voce. Si rivolse alla Pioggia. “Le farò crescere a suo tempo”, disse la Pioggia tintinnando. Si rivolse allora al Tempo. “Io so tante cose”, gli disse con voce profonda, “il Tempo aggiusta tutto, non ti preoccupare: occorrono tanti giorni e tante notti”. Si rivolse allora alla Notte, ma la Notte tacque e lo invitò a riposare.
Si sentiva infatti molto stanco.

Mentre stava per addormentarsi, uno gnomo passò di là. Al vedere quel ramo così spoglio ed indebolito dal freddo e dalle intemperie, si fermò e, un po’ preoccupato, gli chiese cosa stesse succedendo. Il ramo gli raccontò tutta la sua storia. Lo gnomo stette con lui. Si fermò nel suo silenzio, lo ascoltò, sentì il suo dolore. Allora il ramo parlò ancora e disse: “ Mi è sembrato di chiudere gli occhi, e, dopo averli riaperti, non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle”.

Lo gnomo pensò a lungo, poi capì: si tolse gli occhiali e lì posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per guardare dentro di sé. Il ramo, allora, aprì bene gli occhi e… meraviglia… vide che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa circolare, provò ad ascoltare, guardò a fondo: era linfa, linfa viva che si muoveva in lui.
Incredulo, disse allo gnomo ciò che vedeva. Lo gnomo gli spiegò che le foglie, i fiori e i frutti nascono grazie alla linfa oltre che al caldo sole, all’aria di primavera e alla pioggia.
“ Se hai linfa dentro di te, hai tutto”, gli disse, “non occorre chiedere più nulla a nessuno, ma insieme all’acqua, alla luce, all’aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro”.

Il ramo, immediatamente, si sentì più forte, rinvigorì: aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere la linfa che circolava in lui. La linfa da cui, un giorno, sarebbero rinate le amiche foglie. (in Paola Milani, Progetto genitori, Erickson, Pagg.36- 38)

 4) L’attivazione. Proposta di lavoro

     Consegna di un foglio con alcuni stimoli che aiutino i genitori a riflettere e a rilevare le proprie competenze e     capacità. Si può esplicitare che si tratta di mettersi a guardare un po’ dentro di sé per trovare la propria “linfa”.
La linfa rappresenta tutte le potenzialità, le competenze, le specificità, le capacità che ognuno di noi ha dentro di sé, ma occorre esserne consapevoli.
Analizziamo una situazione:
Una mamma racconta: “mi devo occupare io di ogni cosa, in quanto mio marito lavora fuori casa tutto il giorno. Ieri la mia bambina è tornata a casa da scuola con il broncio. Le chiedo che cosa era accaduto e lei  mi risponde che la sua migliore amica era andata con un’altra bambina e non l’aveva più degnata di uno sguardo. Ed io, con tutte le cose che ho da fare, le ho risposto: E sei arrabbiata per quelle cose lì!”
Riflettiamo insieme:
Come si sarà sentita la bambina? (non capita e magari sbagliata)
Come avrebbe potuto rispondere la mamma (Capisco perché ti senti arrabbiata. Ed ora che cosa pensi di fare? – Quindi (attraverso la riformulazione) dare il permesso alla figlia non solo di provare sentimenti ma anche di pensare ad una soluzione (superando l’emozione della rabbia che blocca e paralizza.)
Pensare ad un problema fa stare male; pensare alla soluzione fa stare meglio.
            Pensi a una situazione di difficoltà con suo/a figlio/a che si è risolta positivamente.
            Si soffermi a ricordarla. Quali delle sue caratteristiche personali (creatività, allegria
           Riflessività, capacità di dialogo e di ascolto, assertività, autocontrollo, rispetto, disponibilità)
           ha attivato in quella situazione? (si tratta di riconoscere la propria linfa…)
          Quali strategie di comportamento da lei usate si sono rivelate efficaci?
5’- 10’ di riflessione personale e/o di coppia, eventualmente per iscritto.
10’ – 15’ di riflessione in piccolo gruppo (a tre a sei persone, senza spostare le sedie), per discutere sulle riflessioni personali.
         
5. La riappropriazione. Scambio con il “conduttore”

Si lascia un tempo per dialogare su quanto emerso nella riflessione personale e nello scambio nei piccoli gruppi. Possono emergere domande, considerazioni o suggerimenti personali ed esperienze. Il “conduttore” risponde alle domande, problematizzando, riformula le considerazioni e le esperienze, verbalizza gli stati d’animo, dialoga con le persone fino a quando non coglie uno spunto adatto sul quale innestare delle considerazioni teoriche che apportino a contenuti nuovi a quanto detto finora e che siano anche riassuntive di quanto emerso dai partecipanti.

6. La Parola in ascolto della vita

13 Or alcuni gli conducevano dei bambini affinché li toccasse; ma i discepoli li sgridavano.
14 Visto ciò, Gesù si sdegnò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non li ostacolate, perché di quelli come loro è il regno di Dio.
15 In verità vi dico che chi non accoglierà il regno di Dio come un fanciullo, certamente non vi entrerà».
16 Quindi, prendendoli tra le braccia, li benediceva e imponeva loro le mani. (Mc 10,13-16)

7. Consegna educativa

Offrire delle indicazioni teoriche che i genitori possono confrontare con la loro esperienza. Due sono i nuclei fondamentali: le competenze ed i bisogni dei genitori.
Maturare consapevolezze
Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.. il segno della Croce. Il genitore vive ogni attimo nel nome di.. consapevolmente


Il bambino un dono che educa

Immagine: primi passi di Vincent Van Gogh

L’immagine propone una scena di vita familiare in un ambiente contadino, fissando il momento del ritorno dal lavoro del padre, atteso dalla mamma e dalla figlioletta.
Come si vede nel dipinto, la madre sorregge la bambina, non la trattiene; è la bambina che si protende in avanti come per accennare, anche se in modo goffo, il primo passo. E’ lei il soggetto attivo, con la gamba alzata, che si appresta a percorrere quello spazio che la separa dal padre. Il padre, da parte sua, la sta aspettando con gioia, a braccia aperte, che invitano all’azione e nel contempo, sono segno di accoglienza e di rassicurazione per il buon esito dell’azione.
Anche l’atteggiamento posturale del padre è molto importante: non rimane in piedi ad aspettare, ma, restando accovacciato, si mette alla stessa altezza della bambina, è nella sua prospettiva, incrocia il suo sguardo.
Il padre non si sostituisce alla bambina, non cammina al posto suo. E’ la bambina che deve imparare a camminare!
  L’atteggiamento del padre è certamente accogliente, le sue braccia aperte sono garanzia di presa sicura. Inoltre è la piccola, con le sue mani rivolte in alto, quasi a cercare una forma di equilibrio, a educare il padre a diventare porto, sicuro alla fine del suo percorso, nel tentativo di iniziare a camminare attraverso quei primi passi.

Nella relazione con i genitori, il bambino fin dalla nascita, educa l’adulto anche con i suoi bisogni e appelli, con il suo dare fiducia o meglio affidandosi, facendo sperimentare il valore del dare la vita e del curarla nel suo divenire. Per i genitori, l’assunzione di responsabilità connessa alla nascita di un figlio, la percezione di una nuova fase dell’essere diventati adulti, l’esperienza del donare se stessi, mediante un rapporto di cura, il dare la vita che, concretamente viene vissuta come esperienza nuova, tratteggiano nuovi contorni alla propria identità di genitori. In seguito il bambino crescendo interpella l’adulto con le domande, i perché del vivere e del morire. Questi interrogativi provocano l’adulto a trovare risposte adeguate, approfondendo contenuti propri della fede cristiana.

Occorre anche sapere che ciò che agisce sui nostri bambini, nell’età dell’infanzia, non sono, come si crede un po’ troppo, le nostre lezioni e i nostri consigli, ma ciò che siamo come genitori e ciò di cui viviamo. I nostri figli vivranno solo della nostra vita. “I figli respirano, mangiano, bevono, la vita dei genitori. Nella misura in cui essi vivono fisicamente, moralmente, spiritualmente, nella stessa misura i bambini cominciano a vivere. L’educazione è una trasfusione di vita”. (Caffarel)
Anche l’immagine di Dio, nel cuore dei nostri bambini, assomiglia a quella dei genitori ed essi imparano com’è Dio nelle virtù dei loro genitori.

In piccolo o grande gruppo.
Che cosa vi colpisce di più in questo dipinto?
Ritornando con la memoria all’essere stati bambini, cosa vi suscita la scena raffigurata nel dipinto?
Provate a pensare a vostro figlio/a come DONO e RICCHEZZA della vostra vita di coppia e di adulti. In che modo dono? In che modo ricchezza?


Percorso formativo dei genitori: tempi e nodi tematici:

Settembre
Ottobre
Novembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Incontro propedeutico
Attendere
Generare
Accogliere
Dare un nome
Far camminare

Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: IL DONO

Bambini/e di 6 anni – classe prima -  scuola primaria

Nucleo generativo
atteggiamento
preghiera
Vangelo di riferimento
Icona biblica di riferimento
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
segno
Gesto di carità


Il dono[1]


Ascolto[2]

Nel nome del Padre…
Gloria al Padre

Vangeli dell’infanzia di Gesù
(Mt e Lc)

La creazione; Adamo ed Eva


Avvento e Natale


Il presepe


Raccolta doni


Mese di OTTOBRE
Parola da concettualizzare: ATTENDERE

Primo incontro. Attendere
Focus sull’incontro: dal bambino immaginato al bambino reale

    Quando l’orecchio si affina diventa un occhio”
(Rumi, poeta e mistico persiano del XIII secolo)
Accoglienza
Presentazione. Attendere un figlio[3]

Diventare padri e madri significa, tra le altre cose, considerare le profonde modificazioni che i coniugi subiscono in riferimento al DESIDERIO di un “oggetto d’amore”, all’ATTESA del medesimo e al loro modo di reagire dinanzi alla sua PRESENZA.
Il desiderio di un figlio comincia a prendere forma gradualmente, a mano amano che aumenta la convinzione di aver compiuto un certo cammino di coppia, perciò di essere pronti all’accoglienza del diverso da sé. E’ possibile dire che le difficoltà nell’attuazione del desiderio di un figlio mettono a dura prova la coppia che si sente già pronta a crescere nella dimensione della parentalità. In questa circostanza, la mancanza di valori spesso è fonte di rimproveri reciproci, di fratture emotivo – affettive, di colpevolizzazioni vicendevoli. All’opposto, la possibilità di fare riferimento ad un certo sistema di valori aiuta la coppia a dare senso al desiderio frustrato e a ri-orientarlo. Circa i motivi che alimentano il desiderio di paternità e di maternità. È difficile procedere ad una classificazione: troppe sono le variabili psicologiche, culturali, sociali coinvolte.
 L’attesa di un figlio è un periodo nel corso del quale i sentimenti e le sensazioni s’intensificano oltre misura: in questo tempo matura il senso della paternità e della maternità. Nel periodo dell’attesa si delineano ulteriori differenza tra l’uomo-padre e la donna-madre. Per il primo l’attesa e fatta di attenzione prevalentemente razionale per quanto avviene e  sta per accadere: egli è più attento ai valori sociali, pubblici, di sicurezza materiale. Per la seconda, l’attesa è contraddistinta soprattutto da sensazioni fisiche ed emotivo – affettive, a cui seguono quella razionali. La presenza del figlio si traduce nell’incontro dei genitori con il “tu” sconosciuto, con il mistero della vita svelatosi alla coppia, la quale cosa procura spesso un senso di smarrimento e di meraviglia per quanto è dato di vivere.[4] Quello in oggetto è il momento in cui la funzione educativa del padre e della madre comincia delinearsi, in cui l’alfabeto relazionale della coppia compone le prime parole e frasi, avviando il processo di strutturazione della comunicazione educativa con il figlio. I valori dell’autorità, dell’amore, dell’attenzione, del dono, della cura disinteressata, del sostegno diventano elementi quotidiani con i quali misurarsi e che, a loro volta, esigono il riferimento ai valori morali e religiosi assunti dai coniugi.
Nel processo di apprendimento della funzione paterna e materna, acquista un’importanza fondamentale la dinamica educativa della coppia. Attraverso il legame coniugale il padre precisa la propria funzione educativa in termini di rappresentante della categoria dell’alterità. Così facendo, sin dai primi momenti di vita del figlio suscita in quest’ultimo, rispetto alla “pienezza” dell’esperienza con la madre, il desiderio di ampliamento del raggio esperienziale e dei significati esistenziali, mentre al tempo stesso lo sospinge ad accettare e a comunicare con “il diverso da sé”. Per il suo presentarsi come “altro” rispetto alla figura della madre, egli si mostra non solo colui che “taglia il cordone ombelicale” favorendo l’avviarsi del processo di conquista dell’autonomia del figlio, ma anche e soprattutto come colui che compie una mediazione educativa dell’esperienza filiale, ossia come adulto capace di accostare convenientemente il minore a contenuti e a spazi conoscitivi ignorati. In quanto rappresentante dell’alterità, capace di ristrutturare il legame tra madre e figlio, il padre può essere concepito come figura educativa che si contraddistingue soprattutto per la dimensione della socialità. In riferimento a ciò, l’osservazione del divenire delle relazioni educative familiari permette di distinguere “una paternità sociale” che si esplica all’interno della famiglia[5] ed una che si manifesta nel contesto extradomestico.
Durante l’infanzia l’adulto, a cominciare dai genitori, possiede un’autorità naturale che non ha bisogno di argomenti, in quanto vi è una differenza sostanziale tra l’adulto e il bambino che gli conferisce influenza e “potere” sul figlio (statura psicologica). Durante l’infanzia l’adulto è visto come il detentore del sapere, è a lui che si chiede cosa è vero e cosa è giusto, lui solo possiede, insieme ai segreti della sessualità, la capacità di pensare le cose difficili e complicate (Per lo meno così sembra ai bambini; con l’adolescenza questo potere viene meno e, di conseguenza, i rapporti di “forza” sono messi in discussione e tendono a invertirsi, perdendo le sue fondamenta naturali)

3) L’attivazione. La vita chiama (in piccolo gruppo)
Anche dopo la nascita del figlio, la vita dei genitori è una continua attesa: della prima parola, del primo dentino, del primo giorno di scuola, che sia autonomo, che sia una persona responsabile, che segua i nostri valori, che trovi il suo posto nella società…
E’ un’attesa lunga ed è accompagnata da ansia, trepidazione, gioia, soddisfazione, speranza, disillusione, crisi, lasciare andare – tenere vicino, fiducia – prudenza…
E’ il tempo più difficile, perché nessuno ci insegna ad essere genitori, è l’amore a guidarci, ma anche a metterci alla prova. Gli errori nostri, come genitori, sono all’ordine del giorno e…beati i genitori che si accorgono di aver sbagliato e cercano di porre rimedio. A volte si sbaglia in buona fede, per troppo amore, per troppa solerzia, per troppo zelo, per troppe aspettative, perché ci sostituiamo a loro, anche in cose che sappiamo sanno fare da soli e…per mille altri motivi.
Bisognerebbe apporre un cartello sopra ogni bambino con su scritto:

“Maneggiare con cura, contiene sogni” (A. Badiale)

Le risorse – strumenti dei genitori sono: pazienza, fiducia, esserci, cura, rispetto, potenziare, incoraggiare, credere, pregare, attendere…
C’è una canzone di qualche anno fa che può aiutarci ad avere l’atteggiamento giusto: “Quando cammino fra la gente”. In particolare c’è una frase illuminante: “A volte però mi fermo, perché la strada è faticosa. Allora anche Lui si siede laggiù e mi aspetta sorridente”. Notare l’atteggiamento benevolo di Gesù, che diventa icona e che ci può essere di guida nei nostri momenti di attesa. Gesù non è in piedi impaziente, irritato dal nostro arrancare, non ci spinge, non ci strattona, non è arrabbiato, ma…è seduto e sorridente, cioè rispettoso dei nostri tempi, della nostra fatica; è anche incoraggiante col suo sorriso, fa il tifo per noi, crede in noi, sa infondere forza e nuovo vigore.
Attendendo nostro figlio, quali emozioni ho vissuto?
Quali sentimenti ho provato? Quali paure e sogni?
Quali attese vivo ora nei confronti di mio figlio/a?
“Non dare a tuo figlio quello che a te è mancato… che riflessione mi provoca questa frase?

D – La Parola in ascolto della vita:

25 Ora, c'era in Gerusalemme un uomo chiamato Simeone: era un uomo giusto e pio e aspettava la consolazione di Israele e lo Spirito Santo era su di lui. 26 Anzi, dallo Spirito Santo gli era stato rivelato che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. 27 Andò dunque al tempio, mosso dallo Spirito; e mentre i genitori portavano il bambino Gesù per fare a suo riguardo quanto ordinava la legge, 28 egli lo prese tra le braccia e benedì Dio, dicendo:
29 «Ora, o Signore, lascia che il tuo servo se ne vada in pace secondo la tua parola,
30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza 31 che tu hai preparato davanti a tutti i popoli;
32 luce che illumina le genti e gloria del tuo popolo, Israele».
33 Ora, suo padre e sua madre rimasero meravigliati di quanto era stato loro detto di lui.
34 Simeone li benedì e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è posto per la caduta e per la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione,
35 sicché una spada trapasserà la tua anima, affinché vengano svelati i pensieri di molti cuori».
36 Vi era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser, molto avanzata in età, che era vissuta con suo marito sette anni dopo la sua verginità.
 37 Rimasta vedova e giunta all'età di ottantaquattro anni, non lasciava mai il tempio e serviva Dio giorno e notte, con digiuni e preghiere.
 38 Arrivò essa pure in quella stessa ora e rendeva grazie a Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la liberazione di Gerusalemme. (Lc 2,25-38)

Nel tempo dell’Avvento ci prepariamo a rinnovare l’attesa di un DONO: il dono che Dio ha fatto all’umanità:
Ha pensato a noi
Ha deciso di stare con noi.
E’ entrato in intimità con noi
Ci ama e ci cerca per primo
Vuole insegnarci come amare per essere felici
Vuole essere accolto perché la nostra vita sia piena, abbia significato.
L’Epifania, “manifestazione” del Signore.
“Ogni bambino che nasce, ogni umano che viene al mondo deve apparire con la dignità di un re; come un fratello o una sorella che attende da noi il nostro oro (ciò che abbiamo), il nostro incenso (il profumo sprigionato dalla nostra presenza), la nostra mirra (ciò che sappiamo sacrificare di noi stessi, spendendo la vita per l’altro)” (in Enzo Bianchi, epifania de Signore, 6 gennaio 2019)

E – Decisione:
Pensare un dono da dare….agli altri.(la logica del possesso deve cedere il passo alla logica del dono)
Preparare un dono da preparare e donare. Tensione positiva della sorpresa

Mese di NOVEMBRE
Parola da concettualizzare: GENERARE

SECONDO INCONTRO: GENERARE all’esistenza

Accoglienza
Presentazione: focus: accompagnare il/la bambino/a a diventare “se stesso/a”

“Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco,(…)Giacobbe generò Giuseppe,
lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato  Cristo”
(Mt 1, 1…16)
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”
(Mt 1,20)
3) La comprensione La generatività dell’adulto[6]

 Diventare adulti significa: evolvere in uno stadio della vita, caratterizzato da: una carriera lavorativa, una relazione stabile, un futuro più certo.[7] L’età adulta, sostengono gli studiosi di scienze umane, è il risultato di un “continuum”. L’essere umano è, costantemente alla ricerca della propria identità personale (comprendere chi sono? Che cosa voglio? Quali sono i miei valori, le mie credenze? Quali sono i veri propositi nelle scelte della vita? Si giunge all’ “essere adulto” dopo aver superato i molteplici problemi dell’esistenza (definiti da Erikson, crisi evolutive, che  sono il risultato di una maturazione, in armonia con l’insieme delle attese che la società ha nei confronti dell’individuo). Erik Erikson pone l’adulto al settimo (7°)stadio delle fasi evolutive psico – sociali (l’ultimo, l’ottavo è la senilità) e gli assegna la funzione della GENERATIVITA’,(il suo opposto è la STAGNAZIONE = immobilità, inutilità) che è “ la capacità propria della persona adulta di uscire da una concezione narcisistica, individualistica, tesa a concentrare le energie mentali e le preoccupazioni su di sé per potersi dedicare e prendere cura dell’altro[8]nel senso di “dare la vita”, non esclusivamente in senso biologico, ma offrire un contributo anche  per educare le nuove generazioni.

2 – La  generatività di una comunità
Allora, si può parlare di GENERATIVITA’ SOCIALE, che è quell’azione trasformativa diretta ad uno scopo liberamente scelto, rispettosa del contesto e aperta al futuro.
Per Mc Adams la generatività è un valore, in quanto è diretta ad offrire e trasmettere ciò che meglio si produce; è un atteggiamento per la vita, in quanto si tende a riconoscere se stessi come anello della sequenza generazionale.
Papa Francesco in “Amoris Laetitia”cap. settimo Rafforzare l’educazione dei figli (263 – La formazione etica dei figli) ci ricorda che “Lo sviluppo affettivo ed etico di una persona richiede un’esperienza fondamentale: credere che i propri genitori sono degni di fiducia. Questo costituisce una responsabilità educativa: con l’affetto e la testimonianza generare  fiducia nei figli, ispirare in essi un amorevole rispetto.”[9]
Ancora, al paragrafo 272 in “Paziente realismo”, asserisce che “La formazione etica a volte provoca disprezzo dovuto a esperienze di abbandono, di delusione, di carenza affettiva, o ad una cattiva immagine dei genitori. Si proiettano sui valori etici le immagini distorte delle figure del padre e della madre, o le debolezze degli adulti. Per questo bisogna aiutare i bambini a mettere in pratica l’analogia: i valori sono compiuti particolarmente da alcune persone molto esemplari, ma si realizzano anche in modo imperfetto e in  diversi gradi”.

Per il sociologo Mauro Magatti è un’azione trasformativa che rende le persone capaci di gestire una libertà che non è consumo individualizzato ma opera relazionale (nella famiglia, nella realtà associativa, nella comunità locale). Essa ricombina, riarticolandole , le categorie dell’innovazione (geniale) e della sostenibilità (gratuità, generosità).
Papa Francesco in “Amoris Laetitia”cap. settimo Rafforzare l’educazione dei figli (261 – Dove sono i figli?) afferma….”non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi…. Si tratta di generare processi più che dominare spazi… Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia.”

 La generatività è un dono; implica la disponibilità a sopportare la fatica, la disponibilità a spendersi per qualcosa di buono e di vero. Rimanda e riassume i concetti di fedeltà e fiducia, di affettività e desiderio, di sensibilità e sostenibilità (premura verso l’essere umano), di resistenza e sacrificio (l’adulto non si scoraggia, non si arrende).

C’è bisogno di generatività, c’è bisogno di adulti. E’ necessario riorientare la direzione. (Alcuni autori parlano di scomparsa dell’infanzia, di bambini – adulti; v. Neil Postman, “La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita).

Il disagio vissuto da persone e comunità rivela i sintomi di una STAGNAZIONE assimilabile a quella descritta da Erikson, come sofferenza, sradicamento, mancanza di senso dell’esistenza e della vita.
Occorrono azioni generative: nel lavoro, nella famiglia (come cura di relazioni, promozione di socialità) nella comunità, nell’economia civile, nel welfare.

L’attivazione: (in piccolo o grande gruppo)
Obiettivo: stimolare la discussione ed il confronto circa i propri valori e le proprie regole di vita
Proposta:
Accanto al generare biologico c’è il generare esistenziale, al senso della vita. E’un cammino difficile che richiede impegno, generosità, attenzione, promozione umana e spirituale.
Nel Vangelo di Giovanni (10,10) troviamo scritto “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Essere “datori di vita” per nostro figlio significa anche assumere atteggiamenti, prendere decisioni che gli “danno vita” cioè fare in modo, nei limiti delle nostre possibilità, che nostro figlio si realizzi pienamente, abbia la gioia di vivere, sia contento di essere se stesso.
Allora potrei chiedermi:
Le mie scelte portano vita?
Fanno emergere tutto il suo potenziale?
Il mio rapporto con lui fa crescere il suo rapporto con gli altri e con Dio?
Quali atteggiamenti “danno vita”?
Mi hai deluso.
Non sei capace.
Sono orgoglioso di te
Andiamo insieme a Messa.
Vai a messa, mentre io, intanto, faccio altre cose.
Sii furbo, almeno non farti scoprire!
Sii geloso delle tue cose e non prestarle.
Puoi parlare, se vuoi: ti ascolto.
Facciamo insieme una sorpresa alla mamma (al papà)?
Metti in ordine, altrimenti la mamma “sclera” (sbraita)
Mettiamo in ordine così la mamma sarà contenta (riformulazione)
Ho fiducia in te
Mi piace stare con te
Quando ti senti più infelice.
Mi piaci come sei
Per che cosa vogliamo ringraziare Dio?

C – La riappropriazione (restituzione in plenaria con il conduttore)
Condividete con il gruppo, facendo emergere nell’argomentazione gli elementi di significatività.

D – In ascolto della Parola:

19 Il suo sposo Giuseppe, che era giusto e non voleva esporla al pubblico ludibrio, decise di rimandarla in segreto. 20 Ora, quando aveva già preso una tale risoluzione, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno per dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa: ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. 21 Darà alla luce un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
 22 Tutto ciò è accaduto affinché si adempisse quanto fu annunciato dal Signore per mezzo del profeta che dice: 23 Ecco: la vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà chiamato Emmanuele,
 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa;
 25 ma non si accostò a lei, fino alla nascita del figlio; e gli pose nome Gesù. (Mt 1,19-25)

Consegna educativa: seme/bulbo da coltivare insieme


Mese di GENNAIO
Parola da concettualizzare: ACCOGLIERE

Terzo incontro. Accogliere

Sviluppo della tematica: ACCOGLIERE l’altro nella mia vita
Accoglienza
Presentazione/Focus: accogliere se stesso e l’altro da sé (coniuge, figlio/a)
Comprensione

1 - Una parola, un significato
Accogliere (etimologia latina: accolligere, da colligere =cogliere, raccogliere; a sua volta composta da: co = insieme e lègere =raccogliere).
L’accoglienza è un’apertura: ciò che viene raccolto o ricevuto viene fatto entrare – in una casa, in un gruppo, in se stessi. Accogliere vuol dire mettersi in gioco, e questo esprime una sfumatura ulteriore rispetto al supremo buon costume dell’ospitalità – che  appunto può essere anche solo un buon costume.(v. appendice). Chi accoglie rende  partecipe di qualcosa di proprio, si offre, si spalanca verso l’altro diventando un tutt’uno con lui.
Il primo passo per accogliere veramente significa fare spazio dentro di noi, comporta un avvicinarsi deciso e nello stesso tempo delicato all’altro che percepiamo essere fragile o nel bisogno. L’accogliere quindi conduce a farsi vicini, a non essere freddi e insensibili, a non aspettare necessariamente che l’altro “bussi” alla mia porta di casa. L’accoglienza si realizza dove al centro c’è la persona da accogliere e non il mio desiderio di sentirmi a posto per offrirgli qualcosa. Naturalmente accogliere significa davvero essere disposti a “patire” e a “gioire” con e per l’altro.

2 - L’accoglienza autentica crea una relazione.
L’altro non è un “utente”, anzi diventa “compagno” (colui con il quale si condivide il pane e non solo). Accogliere implica diventare responsabile della persona. Ogni volta che accogliamo qualcuno la nostra vita cresce e ci rendiamo conto – prima di ogni altro riferimento  –  che siamo fratelli in umanità. Accogliere non è mai allora condannare, ma aiutare e sostenere la persona perché migliori facendo il suo personale cammino di rinnovamento e di riparazione. Oggi accogliere richiede «fare strada insieme» all’altro. Le diverse debolezze psicologiche e relazionali di tanti esigono maggiore capacità di attenzione e di concreta disponibilità. L’accoglienza si deve declinare nell’incoraggiare e motivare l’altro ad essere fiducioso nelle sue potenzialità e aperto alle sfide che l’esistenza quotidiana ci mette davanti.

3 - La segnaletica del Calvario
Miei cari fratelli, sulle grandi arterie, oltre alle frecce giganti collocate agli incroci, ce ne sono ogni tanto delle altre, di piccole dimensioni, che indicano snodi secondari. Ora, per noi che corriamo distratti sulle corsie preferenziali di un cristianesimo fin troppo accomodante e troppo poco coerente, quali sono le frecce stradali che invitano a rallentare la corsa per imboccare l'unica carreggiata credibile, quella che conduce sulla vetta del Golgota?
Una di queste è la freccia dell'accoglienza. E' una deviazione difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta dritto al cuore del Crocifisso. Accogliere il fratello come un dono. Non come un rivale. Un pretenzioso che vuole scavalcarmi. Un possibile concorrente da tenere sotto controllo perché non mi faccia le scarpe. Accogliere il fratello con tutti i suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far passare alla dogana del nostro egoismo: la sua carta d'identità! Si, perché non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome, o senza contorni, o senza fisionomia. Ma occorre una gran fatica per accettare quello che è iscritto all'anagrafe del mio quartiere o che abita di fronte a casa mia. Coraggio! Il Cristianesimo è la religione dei nomi propri, non delle essenze. Dei volti concreti, non degli ectoplasmi. Del prossimo in carne ed ossa con cui confrontarsi, e non delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi (Tonino Bello)

Attivazione/la vita chiama: (in piccolo o grande gruppo)
In Thailandia, se un bambino strepita, la mamma sorride e gli dice: “Non capisco, non sento niente. Che peccato! Prova a dirmi le cose sottovoce!”
Anche per noi genitori l’inserimento dei figli a scuola è un’occasione importante per socializzare con altre coppie, altre famiglie.
Socializzare inteso come entrare in relazione abbastanza stretta, perché accomunati dalle medesime vicende legate ai nostri figli.
Quante occasioni di accogliere e accoglierci abbiamo:
Passare le informazioni.
Portare i compiti a chi è assente.
Permettere a nostro figlio di fare i compiti assieme ad un compagno di scuola.
Dare un passaggio in auto a bambini che abitano nella stessa via.
Condividere la merenda con chi l’ha dimenticata o non ce l’ha.
Provate ad individuare in quali altri modi potete rendere concreto il verbo ACCOGLIERE. Saranno tutte opportunità che vi permetteranno di conoscervi di più tra famiglie, di instaurare nuove amicizie, di essere segno e modello per i vostri figli.

C – La riappropriazione (restituzione in plenaria con il conduttore)

D – In ascolto della Parola
8 In quella stessa regione si trovavano dei pastori: vegliavano all'aperto e di notte facevano la guardia al loro gregge.
 9 L'angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce: essi furono presi da grande spavento.
 10 Ma l'angelo disse loro: «Non temete, perché, ecco, io vi annunzio una grande gioia per tutto il popolo:
 11 oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è il Messia Signore.
 12 E questo vi servirà da segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».
 13 Subito si unì all'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio così:
 14 «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama».
 15 Appena gli angeli si furono allontanati da loro per andare verso il cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme a vedere quello che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere».
 16 Andarono dunque in fretta e trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia.
 17 Dopo aver veduto, riferirono quello che del bambino era stato detto loro.
 18 Tutti quelli che udivano si meravigliavano delle cose che i pastori dicevano loro.
 19 Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole in cuor suo.
 20 I pastori poi se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato detto loro. (Lc 2,8-20)

 Consegna educativa
Abbracciare. Recitare la preghiera del Padre Nostro tenendosi per mano

Mese di FEBBRAIO
Parola da concettualizzare: DARE UN NOME

QUARTO INCONTRO
Sviluppo della tematica:  DARE UN NOME
Il nome
è una moneta preziosa:
per le cose da poco non la spendere,
per oro e per argento non la vendere,
tienila sempre da conto
ma per le cose grandi
a gettarla sii pronto.
(G. Rodari)
1) Accoglienza
2) Presentazione/Focus: Prendere coscienza del valore di “dare un nome” e di “essere un nome”. Il nome è rivelatore della persona
3) Comprensione:


A.1 - Il valore del nome

    Per la nostra cultura occidentale il nome serve solo a identificare una persona presso l’anagrafe civile, ma per gli ebrei e per la Bibbia era qualcosa di ben più importante. Il nome per gli ebrei presentava l’essenza stessa della persona, la sua natura, la sua forza, la sua attività. Per la Bibbia, chi non ha un nome non esiste.
   Sono tante infatti le espressioni della Bibbia che rivelano questa valenza forte del nome: «Hai minacciato le nazioni, hai sterminato il malvagio, il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre» (Sal 9,6).  E ancora: «Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» (Ap 3,5). 
   Nella Bibbia dunque il nome agisce come se avesse una forza propria, può stare a sé come sinonimo della persona. Allora dare un nome ad una persona che viene alla vita vuol dire in qualche modo creare un’entità nuova, estraendola dall’indefinito e identificandola in quanto persona unica e irrepetibile, come Dio l’ha pensata dall’eternità: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto».
Dare un nome alle cose significa farle esistere, donare loro un volto e quindi gettare una luce nuova sul loro essere.
   «Tu mi hai detto: Io ti conosco per nome e tu hai trovato grazia ai miei occhi» (Es 33,12). Questa espressione pronunciata da Mosè a Dio in un momento di difficoltà del lungo peregrinare nel deserto a capo
del popolo di Israele, ci suggerisce che il nostro nome è prima di tutto nella mente e nel cuore di Dio.     Ogni nome racchiude una vocazione: dovunque siamo chiamati, la nostra vita consisterà .in questo mettere
continuamente “il nostro nome nel Nome”, anche nelle circostanze più semplici e quotidiane. Ad ogni nome corrisponde un mistero di vita che è il SOGNO DI DIO.
   Nella Sacra Scrittura l’attribuzione di un nome segna momenti importanti della storia del popolo di Israele o della storia di un singolo personaggio biblico. A volte è Dio stesso ad assegnare un nome come per Ismaele (Gen 16,11) e Isacco (Gen 17,19) oppure a cambiarlo come per Abramo «Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo» (Gen 17,5); per Sara «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara» (Gen 17, 15); per Giacobbe «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele…» (Gen 32, 29).
  In ogni caso il nome indica una novità: per i nascituri una nuova vita, nel caso dei patriarchi una storia nuova, segnata da una più intensa relazione con Dio.
  Anche nella Nuova Alleanza il cambiamento del nome assume un significato rilevante, basti pensare a Simone a cui Gesù attribuisce il nome di Pietro pensando alla sua futura missione di roccia su cui avrebbe edificato la sua Chiesa oppure a Paolo la cui storia è legata al cambiamento del nome:  il persecutore dei cristiani, Saulo, nome regale che discendeva del re Saul, diventa Paolo, dal latino paulus, piccolo, di poco conto. Dal regale all’infimo, dalla grandezza alla piccolezza: lui stesso nella prima lettera ai Corinzi (15, 9) si definisce: «il più piccolo tra gli apostoli». La sua grandezza diventa, dopo la conversione sulla via di Damasco, l’annullamento del suo io per far vivere in sé Cristo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
   Non sarebbe male recuperare questo significato forte del nome nel momento in cui i genitori devono scegliere per il proprio figlio. Anzichè lasciarsi guidare dalla moda o da preferenze del momento si potrebbe dare un nome che racchiude una storia, una missione, il sogno di una vita che può diventare anche realtà.

A.2 -La scelta del nome

Allora scegliere il nome di un bambino che viene al mondo non deve essere allora un fatto casuale, affidato al gusto dei genitori o, al più, motivato da certe tradizioni familiari. Con difficoltà noi moderni percepiamo il valore augurale del nome (cui gli antichi erano molto sensibili), e ancor meno percepiamo - racchiuso in esso - il mistero irripetibile della “persona”.
 Comunque, una volta che il nome è stato scelto e assegnato, accade anche per noi una sorta di miracolo: quel piccolo essere esce dall’anonimato, può essere “chiamato”, ci si può rivolgere a lui con determinazione, come se egli avesse finalmente un volto. E quel nome ci diventa caro come colui/colei che lo porta, significa sempre avere un’intimità con lui/lei, godere di una conoscenza profonda e determinante, di un certo possesso perfino.

   Pronunciare il nome di una persona ha un valore immenso, è come se le dicessimo:
Grazie di esserci
Per me il tuo volto è unico
Sei insostituibile

Attivazione: La vita chiama: (in piccolo o grande gruppo)

 Consegnare il testo della canzone:

Avevi scritto già il mio nome lassù nel cielo
Avevi scritto già la mia vita insieme a te
Avevi scritto già di me

Nel mare del silenzio una voce si alzò
Da una notte senza confini una luce brillò
Dove non c’era niente quel giorno.

E quando hai disegnato le nubi e le montagne
E quando hai disegnato il cammino di ogni uomo
L’avevi fatto anche per me.

Se ieri non sapevo oggi ho incontrato te
E la mia libertà è il tuo disegno su di me
Non cercherò più niente perché…tu mi salverai.

Riflettere personalmente (5-10 minuti)
Che cosa ti suggerisce questo testo?
Quali motivazioni hanno ispirato la scelta del nome di vostro figlio?
Riflettere sul fatto che il nome indica una vocazione, un destino, una missione, ma non siamo noi genitori ad assegnarli.

C – La riappropriazione

Si dialoghi su quanto emerso nella riflessione personale e nello scambio nei piccoli gruppi. Possono emergere domande, considerazioni o suggerimenti personali ed esperienze. Il “conduttore” risponde alle domande, problematizzando, riformula le considerazioni e le esperienze, verbalizza gli stati d’animo, dialoga con le persone fino a quando non coglie uno spunto adatto sul quale innestare delle considerazioni teoriche che apportino a contenuti nuovi a quanto detto finora e che siano anche riassuntive di quanto emerso dai partecipanti.

6. La Parola in ascolto della vita
26 Al sesto mese Dio mandò l'angelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nazaret,
 27 ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide: il nome della vergine era  Maria.
 28 Entrò da lei e le disse: «Salve, piena di grazia, il Signore è con te».
 29 Per tali parole ella rimase turbata e si domandava che cosa significasse un tale saluto.
 30 Ma l'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
 31 Ecco, tu concepirai nel grembo e darai alla luce un figlio. Lo chiamerai Gesù.
 32 Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre,
 33 e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà mai fine».
 34 Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?».
 35 L'angelo le rispose: «Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra; perciò quello che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio.
 36 Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei un figlio nella sua vecchiaia, e lei che era ritenuta sterile è già al sesto mese;
 37 nessuna cosa infatti è impossibile a Dio».
 38 Disse allora Maria: «Ecco la serva del Signore; si faccia di me come hai detto tu». E l'angelo si allontanò da lei.
 (Lc 1,26-38)

7. Consegna educativa
Il nome è importante, ci identifica, ci differenzia dagli altri, ci accompagna per tutta la vita.
Sarebbe bello far conoscere al figlio il perché della scelta di quel nome, proprio per lui.
Cercare insieme il significato etimologico del nome.
Cercare insieme la vita di un santo che porta il suo nome.

Mese di MARZO
Parola da concettualizzare: FAR CAMMINARE

QUINTO INCONTRO

Sviluppo della tematica: FAR CAMMINARE

 “La caratteristica più importante dell’essere genitori
è fornire una base sicura da cui un bambino…possa partire
per affacciarsi al mondo esterno, a cui possa ritornare
sapendo per certo che sarà il benvenuto,
nutrito sul piano fisico ed emotivo,
confortato se triste, rassicurato se spaventato (J.Bowlby, 1988,p.10)

“I figli hanno tutto, ma mancano dell’essenziale”(V. Frankl)

“I giovani hanno bisogno del Bello, del Bene, del Vero;
allontaniamo dalla polis chi non riesce a farlo”(Platone)
Accoglienza
Presentazione/Focus focus: far crescere il/la proprio/a figlia/a
La comprensione:
A.1 – Introduzione
Il cammino (il viaggio) è la metafora dello spostamento, del divenire, che non è solo fisico, ma anche psicologico, spirituale, ossia esistenziale. Ogni cammino, anche senza salita, riserva delle difficoltà, previste o impreviste. E’ nella logica dell’essere umano far fatica, aggiustare le scelte, ponderare i cambiamenti. Non esiste un cammino lineare. Ed è per questo che, sul piano educativo, i genitori, per primi, e a seguire tutti gli altri adulti, con cui il bambino si relaziona, dovrebbero accompagnarlo affinché diventi autenticamente persona.

A.2 –il ruolo dei genitori
Ogni genitore dovrebbe trasmettere principalmente ai propri figli autonomia, autostima e capacità di costruire e mantenere rapporti significativi (sociali, amicali, di intimità, di amore,…). Questi tre cardini costituiscono la condizione necessaria per la sopravvivenza della specie umana: autonomia vuol dire farcela da soli, non dipendere da altri per vivere (nel nostro caso è la capacità di darsi regole da soli; concetto diverso dall’eteronomia che risulta essere la capacità di acquisire regole con l’aiuto di altri); l’autostima è la competenza necessaria per credere in se stessi, per prendere iniziative, per provare desideri, per realizzarsi; la socialità rappresenta la dimensione in cui è possibile conoscere l’altro, incontrarsi,…
Autonomia, autostima, socialità, sicurezza e molti altri aspetti della personalità si costruiscono attraverso un continuo scambio comunicativo con i figli caratterizzato da atteggiamenti e modi di essere adeguati, continui, accoglienti e autorevoli. Il modo in cui entriamo in contatto con loro fin dal giorno della loro nascita assume dunque un’importanza cruciale. Si tratta di acquisire il più precocemente possibile un modello educativo, un modo di essere e di stare con i figli empatico, autorevole, disponibile, cioè una relazione educativa caratterizzata costantemente da ascolto, contenimento(in grado di dare regole e porre limiti) e tempo significativo da dedicare. I bambini hanno assolutamente necessità di regole e limiti non per essere puniti (la punizione non deve essere considerata un’ azione repressiva, ma un atto teso a ristabilire il buon funzionamento delle relazioni) o semplicemente per riconoscere il potere dell’adulto, ma per modulare lo scambio tra l’ambiente esterno e il proprio mondo interiore così complesso. Tale bisogno di regole, indicazioni e contenimento  non appartiene solamente ai bambini, ma anche ai figli più grandi il cui mondo interiore, con la crescita, tende a diventare ancora più complesso e irto di difficoltà.
Il clima familiare migliore è quello improntato ad affetto e reciproco rispetto. I figli di genitori affettuosi, solleciti e disponibili crescono meglio, hanno un’autostima più alta e facilità nei rapporti sociali. I bambini cresciuti in un clima “freddo” o addirittura ostile sono soggetti a insicurezza e depressione. Ancor più pericoloso è l’atteggiamento noncurante o indifferente, che produce nei figli disorientamento, umiliazione o rabbia (dove l’educazione manca il pericolo non è l’ignoranza, ma la possibilità di influenze deleterie che l’individuo subisce passivamente perché non possiede gli strumenti per arginarle).
I figli vanno messi nelle giuste condizioni di fare responsabilmente i figli, senza pretendere da una parte di essere sempre accontentati o dall’altra di essere ignorati, quando sono portatori di legittime richieste. I ruoli non vanno mai confusi e ribaltati, perché il disorientamento aumenta in modo vertiginoso. Il genitore, quale adulto significativo, spiega le motivazioni di una o più scelte e con le relative conseguenze, educa i figli ad accettare quei “sì” e quei “no” che li aiuteranno a crescere, a riflettere. Se tutto è ammesso, se non c’è più differenza fra il”bene” e il”male”, tra vero e falso, tra giusto e sbagliato, diventa difficile tutto: insegnare, lavorare, far crescere un figlio trasmettendogli qualcosa di significativo per la sua vita e per le relazioni da costruire con gli altri

A.2 – il ruolo della comunità
Educare un figlio non è un problema “privato”, ma un impegno “allargato” a tutta la comunità. Nella società “allargata” si realizza la seconda socializzazione (la prima è avvenuta in famiglia): ci si apre all’incontro con l’altro, al confronto e al dialogo con il diverso, si fa esperienza del limite. La comunità sociale ed ecclesiale, in sinergia con la famiglia, facilita il processo di crescita alimentando i valori che sono alla base del vivere comune.

4. Attivazione La vita chiama: (in piccolo o grande gruppo)
Vorremmo fermarci a riflettere sulle tre parole  che abbiamo detto essere fondamentali per la crescita dei bambini: autonomia, autostima, socialità.

Leggi, attentamente, le espressioni che definiscono ciascuno dei concetti sopra citati:
AUTONOMIA: Che cosa faresti? Cosa potresti portare? Quale scegli? Cosa proponi? Cosa ti piace? Perché, secondo te, non si deve fare? Perché, secondo te, è bene farlo?
AUTOSTIMA: Bravo. Ce l’hai fatta! Ero sicuro che ci saresti riuscito. Continua così. “Dammi il cinque!” Dimmi: ti ascolto. Mi piace stare con te. Hai fatto progressi.
SOCIALITA’: Saluta. Sorridi. Dai la mano. Ascolta. Sii gentile. Fai un complimento. Chiedi per favore. Chiedi scusa (Attenti al tono della voce. Centrarsi in modo benevolo sugli altri)

Inserisci le tre espressioni, sotto riportate, nel gruppo – concetto giusto
Sono orgoglioso di te
Hai chiesto il permesso?
È meglio questo o quello?

C – La riappropriazione (restituzione in plenaria con il conduttore)
Condividete con il gruppo, facendo emergere nell’argomentazione gli elementi di significatività.

D – In ascolto della parola:
41 I suoi genitori erano soliti andare a Gerusalemme ogni anno, per la festa di Pasqua.
 42 Ora, quando egli ebbe dodici anni, i suoi salirono a Gerusalemme, secondo il rito della festa.
 43 Trascorsi quei giorni, mentre essi se ne tornavano, il fanciullo rimase in Gerusalemme, senza che i suoi genitori se ne accorgessero.
 44 Credendo che egli si trovasse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, poi lo cercarono fra i parenti e conoscenti.
 45 Ma, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme per farne ricerca.
 46 Lo trovarono tre giorni dopo, nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, intento ad ascoltarli e a interrogarli.
 47 Tutti quelli che lo udivano restavano meravigliati della sua intelligenza e delle sue risposte.
 48 Nel vederlo, essi furono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo!».
 49 Ma egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda il Padre mio?».
 50 Essi però non compresero ciò che aveva detto loro.
 51 Egli scese con loro e tornò a Nazaret, ed era loro sottomesso. Sua madre conservava tutte queste cose in cuor suo.
 52 E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e davanti agli uomini. (Lc 2,41-52)

7.  Consegna educativa
Partecipare alla celebrazione della messa insieme; camminare insieme

Bibliografia di riferimento:
Alcamo Giuseppe (a cura di), “Nulla è più esigente dell’amore” La famiglia e le sfide di Amoris Laetitia, ed Paoline, 2017
 Erikson Eric, Infanzia e società, Armando ed. Roma
 Milani Paola, Progetto genitori,  Itinerari educativi in piccolo e grande gruppo, Centro studi Erickson, Trento, 1993
Mastromarino Raffaele, Prendersi cura di sé per prendersi cura dei propri figli. Proposta di training per genitori. Elledici, Torino, 1995
Bernardo G. Boschi, Il nome nella Bibbia, Angelicum University press


Secondo anno



Mese di SETTEMBRE
presentazione del percorso educativo/formativo

INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: essere genitore responsabilmente


Obiettivi generali:
Allargare il campo delle conoscenze e competenze nella relazione educativa genitori – figli
Riflettere e condividere la propria esperienza di genitori, per facilitare l’armonia all’interno della famiglia attraverso l’abitudine all’ascolto.
Competenze:
Saper riconoscere in sé, e in parte nel prossimo, le difficoltà nate da irrigidimento e da senso di inadeguatezza.
Saper applicare, in alcune semplici situazioni del proprio vissuto, le proposte suggerite per migliorare il livello di ascolto, accoglienza e comprensione del figlio

Quello che già so non mi interessa sentirlo ripetere e quello che ancora non so, se ho vissuto fino ad oggi senza saperlo, significa che non è poi così importante

Il confronto è la base della crescita personale e sociale; un confronto interattivo e costruttivo è la premessa necessaria per affrontare le tematiche di questo percorso educativo – formativo.
Se il primo rischio è il pregiudizio della chiusura e del non ascolto, il secondo è il suo opposti.
Lo presentiamo attraverso l’aneddoto, più volte utilizzato da Paul Watzlawick, del “millepiedi ballerino” (cf. L’arte del cambiamento)

C’era un millepiedi ballerino, che sapeva ballare in modo strepitoso. Teneva serate in tutto il mondo riscuotendo un successo senza precedenti; era sulle pagine di molti giornali e riviste.
Un giorno, dopo uno dei suoi spettacoli, un suo ammiratore andò a trovarlo nel camerino per fargli i complimenti. Prima di congedarsi, però, lo spettatore gli rivolse, con tono ammirato e stupito,una domanda:
“ Ma come diavolo fa a ballare così divinamente con tutti quei piedini? Deve essere un’impresa difficilissima tenere in ordine e in armonia, sincronizzate, tutte quelle zampette!”.
Il millepiedi, sorpreso a sua volta, rispose: “Sa che non ci avevo mai pensato?”.
Da quel giorno il millepiedi non riuscì più a muovere un passo di danza; era tutto concentrato su come tenere in ordine le zampette, e cadeva quasi ogni momento.

Questo aneddoto serve per cercare di evitare di finire nello stato del millepiedi ballerino: molti, in particolare i genitori, rischiano di farsi travolgere dal numero e dalla complessità degli elementi che entrano in campo nella relazione educativa; finiscono per dirsi: “ma se ci sono così tante cose da considerare, fare il genitore responsabilmente è difficilissimo, non ci riuscirò mai !”

In questo modo, proprio come il nostro millepiedi, dichiarano fallimento oppure negano i problemi minimizzandoli per poter sopravvivere senza affrontare sensi di colpa o di inadeguatezza.
In realtà i genitori sono i più competenti in assoluto per risolvere i problemi dei bambini. Non devono assolutamente delegare o perdere l’uso del buon senso e della loro esperienza.

Vorremmo lavorare insieme sulle competenze che ogni genitore possiede, ma che a volte, preso dal clima vorticoso della vita, si dimentica di possedere.
Verrà consegnato ad ognuno un biglietto sul quale è scritto un verbo attinente le competenze oppure un verbo falso. I biglietti, mescolati e riposti in un cestino, vengono offerti ai genitori, che dopo aver letto il proprio, dichiarano, motivando, se è un’azione positiva o negativa.

Azioni che favoriscono la relazione educativa:
ascoltare, rassicurare, incoraggiare, proteggere, collaborare, divertirsi insieme, valutare insieme, decidere insieme la punizione.

Azioni che non favoriscono la relazione educativa:
sostituirsi, gridare, insultare, svalutare, deridere, incolpare, picchiare, disprezzare, trascurare.



Il Battesimo di Cristo, Marko Ivan Rupnik

Il Battesimo di Cristo, di cui si parla all’inizio dei vangeli, è immagine della sua morte e resurrezione; perciò Cristo è vestito come sulla croce, solo con un perizoma, con le mani abbassate. Cristo è come se fosse messo in una tomba piena di luce, piena di oro. Ai lati ci sono due montagne, come nella tradizione iconografica, con in mezzo un fiume che sembra sprofondato in esse, come a suggerire che dopo il peccato si è creata una spaccatura tra il mondo spirituale e il mondo umano. Cristo ha colmato questa spaccatura, questo abisso tra il divino e l’umano. Dal vangelo sappiamo che il Battista si pone in un atteggiamento di estrema umiltà verso Cristo: basta ricordare quando dice “io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” (Mt 3,14) o ancora “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30).
Cirillo di Gerusalemme dice che, quando Cristo è sceso nel Giordano, ha conferito alle acque i colori della sua divinità: perciò l’oro che scende dal cielo fin negli abissi dell’umanità, del male del mondo, poi scenderà e tingerà l’acqua. Cristo, come dice un’antica preghiera della festa del Battesimo di Gesù, è entrato nelle acque per santificare tutte le acque, affinché noi potessimo essere battezzati. Il cielo scende sulla terra. E’ curioso che Cristo sia stato battezzato in un posto molto basso – 480 metri sotto il livello del mare – proprio per indicare il suo abbassamento, la sua umiliazione nel cercare l’uomo nella morte e nel peccato.

Percorso formativo dei genitori. Tempi e nodi tematici

Settembre
Ottobre
Novembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Incontro propedeutico
Consacrare
Donare
Immergere
Illuminare
Aprire


Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: IL BATTESIMO

Bambini/e di 7 anni – classe seconda -  scuola primaria

Quadro di riferimento: Il Battesimo, Piero della Francesca

Nucleo generativo
Atteggiamento
preghiera
Vangelo di riferimento
Icona biblica di riferimento
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
segno
Gesto di carità


Il Battesimo


Incontrare me stesso

Ave o Maria
Angelo di Dio

Le parabole
(Mt 13)

Noè e l’Alleanza dopo il diluvio

Tempo ordinario


Luce e acqua


Festa della vita in comunità



Mese di OTTOBRE
Parola da concettualizzare: CON- SACRARE


PRIMO INCONTRO

focus: dall’appartenenza al gruppo familiare all’appartenenza alla comunità religiosa. I riti sono gli esercizi del cuore

Sviluppo della tematica:  con–sacrare …attraverso i riti
“Il pane ed il vino posti sull’altare sono, dopo la consacrazione,
non solo sacramento ma anche vero corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo,
che, in modo sensibile, non solo in sacramento, ma in verità,
è toccato e spezzato dalle mani dei sacerdoti ed è masticato…dai fedeli”
(Papa Niccolò II, 155° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, Sinodo di Roma, 690 d. C.)
A - La comprensione:

1- Introduzione
Il termine significa “rendere sacro mediante un solenne rito religioso[10]. In senso figurativo, consacrare rimanda al rendere immortale qualcosa, ossia duraturo nel tempo.
Tramite il rituale, soprattutto all’interno della celebrazione di una festa, le varie componenti religiose come, ad esempio: le prescrizioni, le formule, divengono reali e normative per tutti i partecipanti. (v. a tale proposito:la Pasqua ebraica in Esodo; le nozze di Cana in Giovanni). L’uomo religioso affida al rito i momenti più critici della sua esistenza personale e della collettività di cui fa parte, cercando in esso la garanzia del mantenimento della propria identità e di quella della comunità di appartenenza.

2 – il valore del rito
Tra i diversi riti, quelli di passaggio,[11] occupano nella letteratura delle  scienze umane un ruolo centrale, in quanto favoriscono, tra l’altro, il soddisfacimento dei bisogni di struttura[12], fondamentali per la formazione del bambino. Il bisogno di struttura[13] è connesso anche al senso di libertà interiore e all’universo dei valori di riferimento di ciascuno. Se abbiamo molta paura degli altri e abbiamo bisogno assoluto della loro considerazione per poter fare e sentirci a posto significa che la nostra motivazione, la spinta a fare e ad essere, dipende dall’esterno e che abbiamo uno scarso senso di identità e di appartenenza. Per ovviare a questi problemi è opportuno aiutare il bambino a sentire l’appartenenza  alla famiglia (alla classe, a gruppi, ecc.), anche attraverso riti quotidiani. Tali riti sono azioni che ogni individuo inventa per formalizzare il contatto con i propri simili. Le ricerche, a tale proposito, hanno individuato cinque tipologie di riti quotidiani a carattere transnazionale, in quanto esemplificativi di tutte le culture, tali sono: i riti del mattino, il riconnettersi con la famiglia e mangiare, il farsi belli, l’uscire al lavoro, i riti serali prima di dormire.

B – La vita chiama:
Il momento di andare a letto, per la maggior parte dei bambini, è problematico. Chiudere gli occhi e addormentarsi è come separarsi da tutto ciò che si ha, abbandonare tutte le certezze, comprese le cose e le persone. Per questo motivo il bambino si agita, recupera le ultime energie per prolungare i tempi e non dover chiudere gli occhi.
E’ inutile rimproverarlo o ingiungergli (ordinargli) con autorità che è ora di dormire.
Meglio prepararlo con gesti sempre uguali (rassicuranti): indossare il pigiama, lavare i denti, dire la preghiera, leggere una favola…. Se il clima, attorno a lui è sereno, sarà più facile abbandonare le ultime resistenze.
Buona cosa sarebbe ripercorrere insieme la giornata, per ricordare le cose belle e positive. Tutto ciò non interrompe l’appartenenza e.. lo fa “scivolare” nel sonno.

Attivazione: Leggete le consegne della “scheda di lavoro” e scrivete le risposte in modo semplice e immediato.
Ci sono dei riti che compie coscientemente? Quanti? E quali?
Ci sono dei riti nella sua famiglia? Se sì, quali?
Una volta poteva essere un rito di passaggio anche la consegna delle chiavi di casa al figlio, ma oggi , lavorando entrambi i genitori, i figli hanno le chiavi di casa fin dagli 8 o 10 anni e questo rito si è svuotato di significato. In quale modo potremmo oggi appagare il bisogno di struttura?
Provate a proporre alcuni riti familiari possibili, che aiutino a formare il senso della famiglia e a fissare dei momenti significativi della vita di casa. La serata della famiglia, in cui si guarda assieme un programma televisivo deciso a rotazione, o di condividono i momenti della giornata, o si decide dove andare in ferie, o si stacca semplicemente il telefono per riunirsi con i più piccoli e giocare con loro potrebbe essere un punto di partenza?
E nella vita di coppia ci sono dei riti? Quali? Che significato hanno per lei?
Vi garantite dei momenti di ricarica per la coppia? Quanti e quali? Anche la coppia è una struttura e anche in essa è importante appagare il bisogno di struttura, per non perdere il senso dello stare insieme e del progetto comune. La vita quotidiana spesso ci rende difficile comunicare e alcuni momenti di uscita, di svago insieme, di impegni nel volontariato o altro possono svolgere la funzione ritualistica positiva. Ci aveva mai pensato? Li può agevolare? Come?

C – L’attivazione 
-  Riunirsi successivamente in gruppi di 6/8 persone per confrontarsi su quanto ognuno ha scritto.
- Provate ad evidenziare linee comuni e differenze. Individuate un relatore che riporti quanto emerso al grande gruppo.
-  Ascoltando quanto emerso dai gruppi aprite un dibattito su questi concetti educativi.
V. anche Allegato DA AGGIUNGERE Bruno Ferrero!!!

D – In ascolto della Parola:
Lc 4???

Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c'era là la madre Gesù.
 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
 3 Ed essendo venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino».
 4 Le dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora».
 5 Sua madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».
 6 C'erano là sei giare di pietra per le abluzioni dei Giudei, capaci da due a tre metrète ciascuna.
 7 Dice loro Gesù: «Riempite le giare di acqua». Le riempirono fino all'orlo.
 8 Dice loro: «Ora attingete e portatene al direttore di mensa». Essi ne portarono.
 9 Come il direttore di mensa ebbe gustata l'acqua divenuta vino (egli non sapeva donde veniva, mentre lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiama lo sposo
 10 e gli dice: «Tutti presentano dapprima il vino buono e poi, quando si è brilli, quello scadente. Tu hai conservato il vino buono fino ad ora».
 11 Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
 (Gv 2,1-11)

Consegna educativa: “cubo” (costruito dal bambino durante l’incontro di catechesi) per la preghiera del pasto

Mese di NOVEMBRE
Parola da concettualizzare: DONARE

SECONDO INCONTRO – focus: Entrare nella logica del dono come relazione d’amore

Sviluppo della tematica:  donare e donarsi

Donerete ben poco se donerete i vostri beni.
È quando fate dono di voi stessi che donate veramente.
da Il Profeta di K. Gibran

Poi, preso un pane, rese grazie,
lo spezzò e lo diede loro dicendo:
«Questo è il mio corpo che è dato per voi;
fate questo in memoria di me». 
iLc 22,19

Si è più beati nel dare che nel ricevere
At 20,35
A – La comprensione:

1 -donare è donarsi
«Donare è un’arte che è sempre stata difficile: l’essere umano ne è capace perché è capace di rapporto con l’altro, ma resta vero che questo «donare se stessi» – perché di questo si tratta, non solo di dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che si è – richiede una convinzione profonda nei confronti dell’altro. Ma il dono all’altro – parola, gesto, dedizione, cura, presenza – è possibile solo quando si decide la prossimità, il farsi vicino all’altro, il coinvolgersi nella sua vita, il voler assumere una relazione con l’altro. Allora, ciò che era quasi impossibile e comunque difficile, faticoso, diviene quasi naturale perché c’è in noi, nelle nostre profondità la capacità del bene: questa è risvegliata, se non generata, proprio dalla prossimità, quando cessa l’astrazione, la distanza, e nasce la relazione».
Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose.

   Martin Buber affermava che ognuno di noi da sempre e per sempre si costituisce come “relazione”. “L’uomo si fa io nel tu” e questo “essere per” si fonda nell’atto originario di Dio che ci ha creati pronunciando un “tu”. “All’inizio è la relazione”.
   Se questa è la nostra vera essenza allora ogni gesto che compiamo assume valore nella misura in cui entriamo in una relazione con le persone. Anche il dono è un bene relazionale, cioè un atto dove il bene principale non è l’oggetto donato, ma la relazione tra chi dona e chi riceve.
   Il dono non è previsto, è sempre eccedente, non legato al merito, sorprendente. È costoso, e le sue principali “monete” sono l’attenzione, la cura, soprattutto il tempo. Il dono è “mettersi in cammino” verso l’altro, è spendersi per l’altro, è prendersi cura dell’altro.
   Fra un dono e un semplice regalo c’è una grande differenza. Fare un regalo è facile, se ne possono fare decine in un paio di frenetici pomeriggi di shopping. Fare un dono è difficile, per questo se ne fanno e ricevono pochi. Per il dono c’è bisogno di un investimento di tempo, di entrare in profonda sintonia con l’altro, di creatività, fatica, e rischiare anche l’ingratitudine.

2 -Il dono è più di un regalo
   A volte però anche un regalo, un oggetto, può diventare un dono se accompagnato da alcuni accorgimenti che esprimono l’intensità della relazione e il sentimento che lo accompagna. Tutti noi infatti conserviamo fra le nostre cose più “preziose” oggetti ricevuti come doni di amicizia, di amore, di stima, di affetto, di riconoscenza, sempre uniti al ricordo di un volto caro e del sentimento di cui era espressione.
   Tali segnali possono essere:
un  biglietto personale di accompagnamento con parole di stima e affetto; 
l’attenzione al “come”, al “quando”, al “dove” il dono viene dato-ricevuto;
la forma della consegna che non è mai anonima né frettolosa, ma è reciprocità di parole, gesti, emozioni.
   La caratteristica che definisce il donare è sempre la GRATUITÀ: senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza reciprocità: non c’è dono autentico senza gratuità.

3 -Gesù è il modello del vero dono
   Gesù è Maestro nel donare e tanti episodi del Vangelo lo dimostrano:
Nelle nozze di Cana si parla di “vino abbondante e buono” (Gv 2,10);
Nell’incontro con la Samaritana si parla di un’acqua speciale “un’acqua viva” (Gv 4,10);
Nella moltiplicazione dei pani si raccolgono dodici canestri dei resti avanzati (Gv 6,13)

In tutti questi episodi si possono notare alcuni elementi importanti: 

la misura con cui Gesù dona va oltre ogni aspettativa sia per quantità che per qualità
ogni dono del Signore è sempre accompagnato da una relazione significativa con le persone, non è mai anonimo e frettoloso e lascia sempre un segno nelle persone, proprio perché è sempre un dono fatto con amore e per amore.

B – La vita chiama:(in piccolo o grande gruppo)
Proposta B.1- La principessa

Una storia è come una conchiglia: se l’appoggi all’orecchio, ti racconta l’oceano.
Una storia è piena di echi: risuona a lungo.
Una storia è un battito di cuore: un messaggio della vita.
Una storia, come questa che ti regalo, è segno di tenerezza.

C’era una volta un re che aveva una figlia di grande bellezza e straordinaria intelligenza. La principessa soffriva, però di una misteriosa malattia. Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe, mentre vista e udito si affievolivano. Molti medici avevano invano tentato di curarla.
Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva conoscesse il segreto della vita. Tutti i cortigiani si affrettarono a chiedergli di aiutare la principessa malata.
Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un coperchio chiuso, e disse: “Prendilo e abbine cura. Ti guarirà”.
Piena di gioia e attese, la principessa aprì il coperchio, ma quello che vide la sbalordì dolorosamente. Nel cestino giaceva infatti un bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferente di lei.
La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassione. Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo.
Passarono i mesi: la principessa non aveva occhi che per il bambino. Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva. Lo vegliava di notte, gli parlava teneramente. Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa. Quasi sette anni dopo, accadde qualcosa di incredibile. Un mattino il bambino cominciò a sorridere e a camminare. La principessa lo prese in braccio e cominciò a danzare, ridendo e cantando. Leggera e bellissima come non era più da tempo. Senza accorgersene era guarita anche lei.

Signore, quando ho fame mandami qualcuno che ha bisogno di cibo…

Proposta B.2 - Mandami qualcuno da amare

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno
da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Madre Teresa di Calcutta

Sembrano paradossali queste richieste e, forse, lo sono, ma possono anche apparire meno impossibili, se ci riflettiamo un po’ su. Donare è un gesto d’amore e l’amore è un po’ altruista e un po’ egoista: altruista perché il dono lo facciamo a… O per qualcuno; egoista perché il farlo mi dà gioia: aver procurato gioia, mi dà gioia. In fondo l’amore paga.

Riflettere personalmente (5-10 minuti)
Pensa ad una tua esperienza personale di dono fatto o ricevuto e ricorda volti, relazioni ed emozioni
Come spiegheresti le richieste paradossali contenute in questa preghiera di Madre Teresa?
Preparare un dono per i propri figli prestando attenzione ai segni sopraindicati: cura della confezione, preparazione del biglietto, forma della consegna.

C – La riappropriazione

D – In ascolto della Parola

18 Diceva dunque: «A che cosa è simile il regno di Dio? A che cosa lo paragonerò?
19 È simile ad un granello di senapa, che un uomo ha preso e seminato nel suo orto. Quel granello è cresciuto ed è poi diventato un albero, e gli uccelli del cielo son venuti a posarsi tra i suoi rami».
 20 Disse ancora: «A che cosa paragonerò il regno di Dio?
 21 È simile al lievito che una donna ha preso e impastato con tre grosse misure di farina. Allora il lievito fa fermentare tutta la pasta».
 (Lc 13,18-21)

E - Consegna educativa : il “dono” del tempo da trascorrere insieme preparando il presepe


Mese di GENNAIO
Parola da concettualizzare: IMMERGERE

TERZO INCONTRO –

Sviluppo della tematica:  immergersi ed emergere
“ Non piangere quando tramonta il sole:
le lacrime impedirebbero di vedere le stelle”
Radindranath Tagore

Presentazione focus: immergersi nella vita ed emergere da essa    

A – La comprensione:

A . 1 - alla ricerca del senso della vita –
Espressioni come “immergersi nella natura”, o “immergersi nella lettura” comunicano una dimensione totalizzante del soggetto: il corpo e la mente (lo spirito) sono un tutt’uno con la realtà esperita. Quando poi si “esce” e si ritorna alla quotidianità, dopo una tale esperienza, ci si sente rinfrancati, rigenerati, rilassati: sono stati appagati sia i sensi, sia la mente.
Non sempre, tuttavia, l’immergersi è così gratificante. “L’immergersi nel traffico” caotico o “nel lavoro”, oppure “nella vita quotidiana” producono stress[14], preoccupazione, ansia; proprio perché, assorbiti totalmente dal ritmo incalzante , non si trova il tempo per se stessi e/o per gli altri. Bisogna fermarsi. Sono necessari spazi per rinfrancarsi (come questi, ad esempio), per prendersi cura di sé, porre attenzione alle piccole cose, ai gesti quotidiani che aiutano ad allentare le tensioni, le insoddisfazioni, l’ansia.
Emergere, con una nuova vitalità, un nuovo slancio.

2 - Ogni immergere attiva un emergere
L’immersione , come ci ricordano il Vangelo di Marco (1, 4-11 “vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava il battesimo di conversione per il perdono dei peccati..ed ecco, in quei giorni Gesù…fu battezzato nel Giordano da Giovanni… E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba.”) e la vicenda umana di Bernardette Soubirous : attraverso l’acqua purificante della grotta di Massabielle a Lourdes, ci restituisce che c’è un soggetto che, nella sua totalità, compie il gesto di immergersi nell’acqua (simbolo di rigenerazione e vita)
Le azioni dell’immergersi e dell’emergere, come si evince, non sono opposte ma complementari: non si può emergere, vedere la luce (della grazia, della fede) se non si sono attraversati il buio e le tenebre (del peccato, della morte spirituale)(v. a tale proposito, la metafora del viaggio dantesco; Dante, “ e quindi uscimmo a rivedere le stelle, Inferno XXXIV; oppure Joseph Cronin, in “E le stelle stanno a guardare”, gli occhi, asciugate le lacrime, vedranno il cielo).

Perché l’azione dell’emergere non sia un meccanico “uscire”è necessaria la disponibilità al cambiamento (con la presenza dello Spirito). Avere la consapevolezza che ogni decisione richiede uno sforzo che trova la sua origine nell’interiorità di ciascuno di noi, nel profondo della coscienza.
“Nonostante il battesimo, la conversione, la vita di sequela a Gesù, noi restiamo deboli, fragili, e la nostra esperienza ce lo dice! Ma lo Spirito che ci accompagna sempre dimorando in noi interviene pieno di cura, di tenerezza, di amore fedele, per soccorrerci nelle insufficienze, sollevarci nell’infermità, rianimarci nelle nostre depressioni, scuoterci nel nostro avvilimento” (Enzo Bianchi, Pregate mediante lo Spirito Santo)

B – La vita chiama: (in piccolo o grande gruppo)
Spesso siamo immersi nella ripetitività di giorni sempre uguali: doveri, grattacapi, rassegnazione. La chiamano routine, come a dire monotonia, uniformità, niente di nuovo.
La parola della rassegnazione “ormai” chiude ad ogni possibilità di cambiamento. Il cambiamento è vita, è novità, è anche fatica, decisione, andare contro corrente, fiducia, sfida, voglia di freschezza.

Proponiamo alcuni detti celebri che ci sembrano significativi. Sono inviti ad emergere dalla stagnazione per decidere di prendere in mano il timone della nostra vita. Provate a commentarli a piccoli gruppi.
“Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro” (Giovanni Paolo II)
 Nessuno può tornare indietro per creare un nuovo inizio…ma chiunque può ripartire per creare un nuovo finale.
“Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai” (E. Hemingway)
La vita è come un’eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii.

Vedi Appendice n°4 “Preghiera”don Tonino Bello

C – Riappropriazione

D – In ascolto della Parola
15 L'attesa del popolo intanto cresceva e tutti si domandavano in cuor loro se Giovanni fosse il Messia. 16 Giovanni rispose: «Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale non sono degno neppure di sciogliere i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
17 Egli tiene in mano il ventilabro per separare il frumento dalla pula; raccoglierà il grano nel granaio, ma la paglia la brucerà con un fuoco inestinguibile».
18 Con queste ed altre esortazioni annunziava al popolo la salvezza.
19 Ma il tetrarca Erode, che Giovanni aveva biasimato perché aveva preso Erodiade, moglie di suo fratello, e per altre scelleratezze,
20 aggiunse un altro crimine a quelli già commessi: fece imprigionare Giovanni.
21 Tutto il popolo si faceva battezzare, e fu battezzato anche Gesù. E mentre stava in preghiera, il cielo si aprì 22 e lo Spirito Santo discese su di lui, in forma corporea, come colomba. E vi fu una voce che venne dal cielo: «Tu sei il Figlio mio amatissimo, in te io mi compiaccio».
 (Lc 3,15-22)

E - Consegna educativa : insegnare l’Angelo di Dio. Commentare insieme la preghiera di don Tonino Bello

Mese di FEBBRAIO
Parola da concettualizzare: ILLUMINARE

QUARTO INCONTRO – focus: Riflettere sulla vera fonte della luce     

Sviluppo della tematica:  illuminare

«Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi»
(da Il Piccolo Principe di A. Saint-Exupéry)

«Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue».
(E. Montale)

«Guardate a lui e sarete raggianti» (Sal 34, 6)
A – La comprensione:

   A.1 - Siamo luce propria o luce riflessa?

«Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio/non già perché con quattr'occhi forse si vede di più./Con te le ho scese perché sapevo che di noi due/le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,/erano le tue».
(E. Montale)

   Questa poesia di Montale, dedicata alla moglie scomparsa, ci fa capire che gli occhi possono anche essere offuscati, ma lo sguardo interiore è più penetrante e capace di cogliere particolari invisibili all’occhio umano.
   L’empatia è proprio la capacità di incrociare lo sguardo interiore dell’altra persona per coglierne gli stati d’animo e sintonizzarsi con essi. Quanta luce possiamo essere per gli altri attraverso uno stile empatico!
      Ma per educarci a questa capacità di “vedere l’interiorità altrui” dobbiamo imparare ad entrare in noi stessi, dobbiamo conoscere la nostra vera identità. Siamo corpo ed anima, unità indissolubile. Un filosofo del ‘600 diceva che l’uomo è “un’anima che trascina la sua macchina”. Per fortuna questa concezione dualistica dell’uomo è stata superata, ma non sempre a favore di una posizione sana ed equilibrata. Oggi si rischia di passare all’estremo opposto, ad una valorizzazione eccessiva del corpo a scapito della nostra interiorità.

A.2 - La vera luce è dentro di noi         

Eppure sappiamo che la bellezza e la luce di una persona non sempre dipendono dal suo aspetto esteriore. La vera luminosità di una persona è il riflesso di una ricchezza interiore incomparabile con qualsiasi canone di bellezza fisica.
   La luce viene da dentro come da dentro vengono purtroppo anche le tenebre. Lo dice anche Gesù in risposta ai farisei che accusavano lui e i discepoli di non lavarsi le mani prima di mangiare, secondo la Legge mosaica: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7, 21-22).
   Ci sono due forze che lottano dentro di noi, due desideri: il desiderio della luce, cioè di una vita messa in gioco, aperta agli altri e all’imprevisto; e quello del buio, il desiderio che la vita non ci faccia troppo male, non ci chieda troppo, il desiderio di rimanere al sicuro, chiusi nelle nostre abitudini, a bordo campo, in un guscio tanto protettivo quanto escludente gli altri!
   Quello che ci viene chiesto è di essere “sole dentro” per illuminare gli ambienti della nostra vita: la famiglia, il lavoro, il tempo libero, le relazioni sociali.
  Ognuno di noi può accendersi di luce nella misura in cui prende coscienza di avere “un sole dentro” da scoprire, da far risplendere non solo per noi, ma anche per chi ci sta attorno. Soprattutto per i nostri figli che hanno bisogno di attingere da noi la luce della verità, dell’amore, della gioia, della speranza, della fiducia nel presente e nel futuro.
  Il Card. Martini in un libro intitolato appunto “Il sole dentro” esorta alla fiducia e scrive: «Tornerà il sereno. Dovremo solo attendere il riapparire del sole interiore, della luce dell’anima, con disposizione paziente, risoluta e coraggiosa».

A.3 - Cristo “luce del mondo”  

   Per un cristiano la luce è Cristo e noi riflettiamo la sua luce nella misura in cui viviamo in amicizia con Lui come disse Papa Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giovani radunati a Toronto per la giornata Mondiale della Gioventù del 2002: «Lasciatevi conquistare dalla luce di Cristo e fatevene propagatori nell’ambiente in cui vivete […]. Nella misura in cui la vostra amicizia con Cristo, la vostra conoscenza del suo mistero, la vostra donazione a Lui saranno autentiche e profonde, voi sarete “figli della luce”, e diventerete a vostra volta “luce del mondo”. Perciò io vi ripeto la parola del Vangelo: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).

B – La vita chiama: (in piccolo o grande gruppo)

L’uomo è un impasto di luci ed ombre, di bene e male, di ordine e disordine e questa è una consapevolezza
Presente in molte culture.
Una favola indiana narra di un nonno che sta conversando col nipotino e gli rivela i segreti della vita, con semplicità e saggezza.
Il nonno racconta: “Ognuno ha dentro di sé due lupi: il primo vive di rabbia, odio, gelosia, invidia, bugie, egoismo; il secondo vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà, fede.
Ogni giorno, questi due lupi, lottano dentro di noi”.
“Ma, alla fine, chi vince?” chiede impaziente il nipotino.
E il nonno: “Quello che nutri di più!”

Illuminare significa anche rendere consapevoli gli altri delle loro luci. Infatti in ciascuno di noi c’è la scintilla, il soffio, il timbro di Dio Creatore.
Spesso con i figli evidenziamo solo gli errori, i limiti e lo facciamo a fin di bene: perché capiscano, si correggano, migliorino.
Ma se esaminiamo la nostra esperienza, sicuramente riscontriamo che le cose non vanno proprio così. Con i rinforzi negativi (ossia: lamentazioni, diventiamo noiosi) ricaviamo infatti rancori, frustrazioni, ripicche,…quasi mai miglioramenti.

Amalo quando meno se lo merita, che è quando ne ha più bisogno.

Attraverso i rinforzi positivi, invece, mettiamo in evidenza, dei nostri figli, il bene, il buono, il bello, le loro luci….che ci sono!
In questo modo il positivo <viene valorizzato, amplificato; inoltre li facciamo stare bene, rafforziamo la loro autostima, li valorizziamo, facciamo emergere la loro parte migliore.

Completate le seguenti frasi aperte:
Mi ha fatto piacere…
Sono contento quando…
Hai fatto bene…
Mi sono fidato di te…
Ho notato il tuo impegno…

“Due uomini guardano attraverso le sbarre di una prigione: uno vede il fango, l’altro le stelle”.Riflettere personalmente (5-10 minuti)
   C’è più luce nel mondo se:
……………………………..
……………………………..


C’è meno luce nel mondo se:
……………………………..
…………………………….

C – La riappropriazione

D – In ascolto della Parola

ra, mentre passava, vide un uomo cieco dalla nascita.
 2 I suoi discepoli gli domandarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?».
 3 Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma (è nato cieco) perché si manifestassero in lui le opere di Dio.
 4 Dobbiamo operare le opere di Colui che mi ha mandato finché è giorno. Viene la notte, quando nessuno può più operare.
 5 Fintanto che sono nel mondo, sono luce del mondo».
 6 Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva e spalmò il fango sugli occhi di lui.
 7 Poi gli disse: «Va'e làvati alla piscina di Siloe» (che significa «inviato»). Egli andò, si lavò e ritornò che vedeva.
 8 Ora, i vicini e quelli che l'avevano visto prima da mendicante dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a mendicare?».
 9 Altri dicevano: «Ma no. È un altro che gli somiglia». Egli però diceva: «Sono proprio io».
 (Joh 9:1-9 IEP)


E – Consegna educativa: accendere una candela  (portacandela) e recitare una preghiera insieme.

Mese di MARZO
Parola da concettualizzare: APRIRE


QUINTO INCONTRO – focus:Capire quale chiave possiamo usare per scoprire il mistero della vita

Sviluppo della tematica:  APRIRE

«Bussate e vi sarà aperto» (Lc 11, 9)

«Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!»
(Giovanni Paolo II)

A – La comprensione:

A.1 - Aprire o chiudere?

   Aprire! È un termine che generalmente connota aspetti positivi. Ci si apre alla vita, all’amore, alla gioia, alla speranza, alla fiducia, all’accoglienza. Si parla di “cuore aperto”, “mente aperta”, “mani e braccia aperte”. La primavera è la stagione dell’apertura alla vita: un fiore sboccia, si apre alla luce del sole, alcuni animali dopo il sonno dell’inverno escono all’aperto.
  Di contro chiudere denota aspetti negativi. Un cuore chiuso, una mente chiusa, una mano chiusa, una porta chiusa, un relazione chiusa. Ci si può chiudere nel proprio egoismo, nel rancore, nell’odio, nell’invidia, nella diffidenza, nella disperazione…
  Se guardiamo dentro di noi troviamo, nascoste nel nostro essere più profondo, le chiavi per aprire o per chiudere. Sono le nostre potenzialità nel bene e nel male che vivono insieme dentro di noi: siamo il buio e la luce, il caldo e il freddo, il dolce e l’amaro, la fata e la strega, l’uno e l’altro... In noi vivono sempre gli opposti; non c’è passione senza freddezza, o generosità senza una dose di egoismo: siamo un insieme di miseria e grandezza! 

A.2 - Troviamo la chiave giusta per realizzare la nostra vita.

   Tutto sta nel trovare la chiave giusta per realizzare in pienezza e dare senso alla nostra vita, per aprirci al bene che vive dentro di noi e attorno a noi. Si dice che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Basta saperlo vedere, il bene, e contribuire a farlo crescere.
   A volte ci è più facile chiudere occhi, cuore, mente per non vedere, per non accogliere, per non pensare! Ci chiudiamo nel nostro egoismo, nel nostro comodo individualismo e perdiamo la chiave per aprirci alla vita che, per quanto difficile, va sempre vissuta.
   La vita è un’opportunità, coglila. La vita è bellezza, ammirala.… La vita è una sfida, affrontala. La vita è un dovere, compilo…. La vita è dolore, superalo… La vita è una lotta, accettala, scrive Madre Teresa di Calcutta.
   C’è una chiave che ci è stata donata e che forse non abbiamo ancora utilizzato, o solo in parte, per aprirci alla relazione con gli altri e con l’Altro, con Dio: è la fede!

3 -La fede come opportunità
   Inutilizzata, può arrugginirsi e non servire più, ma se invece la mettiamo alla prova per progettare la nostra vita, per fare le nostre scelte, per affrontare le difficoltà, per vivere i nostri momenti più belli, diventa una chiave preziosa che apre alla felicità già qui sulla terra e che spalancherà orizzonti di luce eterna nel cielo.
   Carlotta Nobile era un ragazza giovane, vivace, era una violinista di fama nazionale, vincitrice di numerosi concorsi. Era stata nominata Direttore Artistico dell'Orchestra da Camera dell'Accademia di Santa Sofia di Benevento a soli 21 anni, curatrice artistica e storica dell'arte, scrittrice, aveva pubblicato già due libri, operatrice culturale, stagista presso Radiotre, autrice di articoli sull'arte contemporanea e redattrice di rubriche di critica musicale: una giovinezza vissuta con una intensità straordinaria. Ma a soli 22 anni le viene diagnosticato un melanoma. La reazione iniziale è la chiusura nella rabbia di un destino irrazionale e ingiusto. Poi, venendo a contatto negli ospedali con bambini colpiti dal suo stesso male, passa dalla domanda “Perché a me?” a quella, ben più difficile da pronunciare e soprattutto da vivere, del “Perché non a me?”.
   Affronta le cure possibili e subisce vari interventi pur proseguendo parallelamente la sua carriera musicale ed artistica, spesso alternandosi tra ospedali e concerti. Scrive sul suo blog “Il Cancro e poi” «Io non so più neanche quanti centimetri di cicatrici chirurgiche ho. Ma li amo tutti, uno per uno, ogni centimetro di pelle incisa che non sarà mai più risanata. Sono questi i punti di innesto delle mie ali.»
   Negli ultimi mesi di vita, in seguito alle parole rivolte da papa Francesco ai giovani di portare la croce con gioia (omelia del 24 marzo 2013), fa una profonda esperienza di fede. Il percorso umano che caratterizza questo periodo è il coronamento di tutta la vita di Carlotta: una vita bella, piena di luce e di amore, di arte e di cultura che si completa e si arricchisce nell'incontro personale con Gesù. L’apertura alla fede, vissuta nell’accettazione della malattia, la apre anche ad un impegno di carità verso gli altri ammalati di cancro diventando motivo di sostegno ed esempio di coraggio con il blog anonimo «Il Cancro e Poi» e i concerti negli ospedali con i «Donatori di musica».

B – La vita  chiama:

Visione del filmato in you tube “La croce fiorita” e condividere risonanze in piccolo gruppo

“Ecco, sto alla porta e busso” (Ap. 3,20)

Risultati immagini per W. Hunt Cristo alla porta
C’è un quadro che rappresenta Gesù in un giardino buio. Con la mano sinistra solleva una lampada che illumina la scena, con la destra bussa ad una porta pesante e robusta.
Quando il quadro fu presentato per la prima volta ad una mostra, un visitatore fece notare al pittore William Hunt un particolare curioso.
“ Nel suo quadro c’è un errore.  La porta è senza maniglia!”
“ Non è un errore!” rispose il pittore.
Quella è la porta del cuore umano. Si apre solo dall’interno!”.

Dio non entra nella nostra vita, senza il nostro permesso.


C – L’attivazione

D – In ascolto della Parola
Effatà, apriti!

E-  Consegna educativa : Tempo di quaresima: tenere la Bibbia aperta in casa

F – Bibliografia:
Bettelheim Bruno, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, Milano, 1997
Ferrero Bruno, Piccole storie per l’anima, Elledici
Gordon Thomas, Genitori efficaci. Educare figli responsabili. La Meridiana, Bari, 1994
Luft John, Introduzione alla dinamica di gruppo, La Nuova Italia, Firenze, 1979
Watzlawick Paul, Beavin J. H., Jackson D.D., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma, 1971
Rossi Raffaello, Piccoli genitori grandi figli. Percorso di formazione per genitori ed educatori, EDB, Bologna, 2001
Martin Buber, Il problema dell’uomo, Marietti
Carlo Maria Martini, Il sole dentro, Piemme
Carlotta Nobile, Il silenzio delle parole nascoste, Aletti
F.Rizzo – P. Scarafoni, In un attimo l’infinito, Elledici


Terzo anno



      Mese di SETTEMBRE
presentazione del percorso educativo/formativo

INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: Come educhiamo i nostri figli? Quali valori trasmettiamo? Quali idee rinforziamo?

Obiettivi generali:
Perdonare come luogo educativo necessario
Formare la coscienza del bambino
Errare: l’esperienza dell’errore come rimettersi in viaggio
Offrire conoscenze ed esperienze per attivare competenze funzionali al benessere della famiglia e dei suoi componenti.
Offrire ai genitori l’opportunità di confrontarsi, comunicare e condividere l’esperienza dell’accompagnare il proprio figlio nella crescita.
Competenze:
Aprirsi all’ascolto autentico.
Aprirsi all’incontro e al dialogo con l’altro
Attivare dinamiche di cambiamento

Proposta per riflettere: L’eredità
Non importa che la nostra famiglia sia scarsa di beni, non importa che il conto in banca sia a secco come un ruscello a ferragosto… La nostra famiglia è ricca se in essa circolano idee sane, idee alte, idee buone. Il nostro tesoro sta nel patrimonio mentale!
Questa è l’eredità che vogliamo lasciare ai figli: una bella manciata di punti luce per illuminare la loro mente e riscaldare il loro cuore. Le cose passano, le idee restano! Vogliamo, giorno dopo giorno, seminare sapienza: squarci di verità. Vitamine mentali come queste:
La vita dipende dal cuore, non dal calendario.
I piccoli passi fanno chilometri.
Non dedicarti ai lamenti.
L’anima vive di soste.
A pregare non si sbaglia mai.
L’errore fa parte del mestiere di vivere.
Ci si arricchisce donando.
Vince il gioco della vita chi ha più amici, non più soldi.
La preghiera è un canale aperto in cui scorre l’ossigeno di Dio.
Non fatevi tentare da ciò che luccica, ma solo da ciò che illumina.
Quando prendi riempi le mani; quando doni riempi il cuore.
Il successo arriva solo dopo il sudore (eccetto che nel vocabolario)
Dio non crea scarti.

Ecco il cestino della nostra saggezza, che vogliamo lasciare in eredità ai figli. E’ il cestino del sale che fa saporita e riuscita la vita.

A piccoli gruppi si potrebbe riflettere sul “cestino della saggezza” che vorremmo lasciare in eredità ai nostri figli e magari trovare qualche altro “punto luce”.

Quadro del Padre Misericordioso

Percorso formativo dei genitori: tempi e nodi tematici:

Settembre
Ottobre
Novembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Incontro propedeutico
Ascoltare
Riconoscersi figli
Ringraziare
Confessare
Convertirsi

Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: IL PERDONO

Bambini/e di 8 anni – classe terza -  scuola primaria

Quadro di riferimento:
Nucleo generativo
atteggiamento
preghiera
Vangelo di riferimento
Icona biblica di riferimento
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
segno
Gesto di carità


Il Perdono


Incontrare l’altro e Dio (l’Altro)

Pietà di me, o Dio secondo la Tua misericordia

Le parabole della misericordia
(Lc, 15) e incontri con la Misericordia

Davide re messia perdonato

Quaresima


La Croce


Visita agli anziani, ristabilire le relazioni



Mese di OTTOBRE
Parola da concettualizzare: ASCOLTARE


PRIMO INCONTRO – focus: ascoltarsi per ascoltare

Sviluppo della tematica:  educarci all’ascolto dell’altro

“L’ascoltare richiede tanto impegno quanto il parlare.
E l’arte di un ascolto totale richiede molto più impegno del parlare.
E’ qualcosa di simile al cercare di entrare nelle scarpe del nostro interlocutore mentre le sta calzando”
(T.G. Banville)

Ascoltare qualcuno è sentire la sua voce.
 Ascoltare la voce di un altro è ascoltare nel silenzio di sé, una parola che si situa altrove.
Il silenzio può essere molto metodico.
Per trovarlo è necessario eliminare l’uno dopo l’altro, tutti gli elementi che lo parassitano…
Dopo di che possiamo fare silenzio in noi, per ascoltare.
Fare silenzio per ascoltare è rendersi presente all’altro nella relazione.
(J. Salomè)

Siediti ai bordi dell’aurora,
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del ruscello,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà.
L. Vahira (poeta indiano)

Speciale è chi ascolta le tue parole e le trasforma in coraggio.

A – La comprensione:

1- aprirsi all’ascolto
Una statistica condotta su un gruppo di persone appartenenti a varie professioni ha rivelato che, in media il 42% del loro tempo viene dedicato ad ascoltare, il 39% a parlare, il 13% a leggere ed il 9% a scrivere.
Ma se è vero che nella vita di ognuno di noi qualcuno ci ha insegnato a scrivere, a parlare e a leggere, chi ci ha mai insegnato ad ascoltare?
Eppure ascoltare, come leggere, è innanzitutto un’attività della mente, non dell’orecchio o dell’occhio. Se la mente non viene attivamente coinvolta nel processo, l’ascoltare o il leggere si riducono ad una semplice percezione fisica, sostiene M. Baldini. Generalmente si commette l’errore di considerare l’ascoltare ed il leggere come un compito nel quale si rimane passivi e che non impegna in una partecipazione attiva.

La qualità dell’ascolto è condizione indispensabile per una comunicazione efficace: ascoltare presume una presa di distanza dalla propria vita emotiva profonda, dai conflitti che turbano la serenità interiore; in sintesi: fare silenzio.
 Se il silenzio non è che assenza di parola, non crea ascolto. Il silenzio è ascolto solo se è un silenzio d’ascolto. Il silenzio d’ascolto corrisponde alla riflessione, percezione, elaborazione, diagnosi. Certamente ci sono persone che, nel colloquio d’ascolto hanno sviluppato tali competenze, come: gli psicoterapeuti, i consulenti, gli avvocati… Tuttavia, possiamo sostenere, con Raffaello Rossi,  che l’auto osservazione è indispensabile per ciascuno di noi  per entrare nell’universo dell’ascolto. E’ importante anche come genitori ed educatori, come abbiamo sostenuto nell’esposizione, perché dobbiamo sempre prevedere le nostre reazioni emotive, i nostri coinvolgimenti particolari, l’attivazione di nostri meccanismi di difesa quando ci poniamo in ascolto e vorremmo essere liberi e accoglienti. Pertanto, solo se ci saremo “allenati” ad osservare e accogliere noi stessi, con le nostre debolezze e i nostri punti di forza, se saremo stati capaci di ascoltarci, saremo capaci di un ascolto autentico e costruttivo.

2 – Ascolto come apertura e accoglienza.
Solo chi è disposto ad imparare dagli altri perché è cosciente della limitatezza del proprio sapere, solo chi è essenzialmente non dogmatico e quindi non vuol far trionfare, sempre e comunque, il proprio punto di vista, sostiene il filosofo H.G. Gadamer, è aperto al “tu”. L’aprirsi all’ascolto dunque equivale ad ammettere la propria finitezza, presuppone un sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità delle proprie conoscenze, è un mettersi comunque in discussione, un riconoscere nell’altro un collaboratore, una persona che è portatrice di ragioni che non debbono essere sottovalutate e, nel contempo, è un ammettere che l’altro è chiamato a valutare e, quindi, ad accogliere o respingere le nostre ragioni. Sottrarsi all’ascolto equivale a compiere un voto di povertà non necessario, ma offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi, comporta la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro revisione o totale abbandono.

B – La vita chiama
“Mio figlio non parla”, si sente dire spesso.
Proviamo a vedere come ci poniamo noi, nei suoi confronti.
Abbiamo un atteggiamento inquisitorio? (“Dai rispondi!”)
Negativo? (“Vediamo che cosa hai combinato!”)
Punitivo? (“Quando c’è paura, non ci si apre”)

Quale potrebbe essere l’atteggiamento giusto?
Accoglienza, confronto, clima disteso,…

Pensiamo ad una tartaruga. Chiusa nel suo carapace è al sicuro. Se vogliamo farla uscire non dobbiamo gridare, e nemmeno dare colpi sul carapace, ma avvicinarci con calma, con voce invitante… e magari con una foglia di lattuga…

  v. anche appendice n°5 e n° 6 e n° 11

C – L’attivazione

D – In ascolto della Parola
In quel giorno Gesù, uscito di casa, se ne stava seduto sulla riva del mare.
 2 Poiché era accorsa a lui una gran folla, salì sopra una barca e là rimase seduto, mentre tutta la folla stava sulla riva.
 3 Allora parlò loro a lungo in parabole. Disse: «Uscì un seminatore per seminare;
 4 nel gettare il seme, parte di esso cadde lungo la via; vennero gli uccelli e se lo mangiarono.
 5 Parte cadde in un suolo roccioso, dove non c'era molta terra; e così per mancanza di terreno profondo nacque subito;
 6 ma al sorgere del sole rimase bruciato e, non avendo radici, seccò.
 7 Parte cadde fra le spine; ma queste, crescendo, lo soffocarono.
 8 Infine, una parte cadde su terreno buono, tanto da dar frutto dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta.
 9 Chi ha orecchi, intenda!». (Mt 13,1-9)

E – Consegna educativa:  leggere insieme la parabola del seminatore

Mese di NOVEMBRE
Parola da concettualizzare: RI-CONOSCERSI FIGLI

SECONDO INCONTRO

focus: Riconoscersi figli nello sguardo del Padre

Sviluppo della tematica:  per riconoscersi figli bisogna riconoscere la paternità

“Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato”
 (Lc 15,1-32)

Oggi non abbiamo più neppure il tempo per guardarci, per parlarci, per darci reciprocamente gioia,
e ancor meno per essere ciò che i nostri figli si aspettano da noi,
che un marito si aspetta dalla moglie e viceversa.
E così siamo sempre meno in contatto uno con gli altri.
Il mondo va in rovina per mancanza di dolcezza e di gentilezza.
La gente è affamata di amore, perché siamo tutti troppo indaffarati”
 (madre Teresa di Calcutta, “Cammino semplice”)

Se quello che i mortali desiderano potesse avverarsi,
per prima cosa vorrei il ritorno del padre”
(Telemaco, figlio di Ulisse)

A – la comprensione:

A.1 – Introduzione
Ci riconosciamo creature perché c’è un creatore.
Ci riconosciamo figli perché ci sono un padre ed una madre.
Sembrano due assunti logici, ma non è sempre così. Basta mettere in discussione l’origine del nostro essere o disconoscere l’amore creativo è già non ci sentiamo creature (per estensione: non riconosciamo in tutte le creature la loro ragione di esistere; v. l’enciclica “Laudato si”) e non riconosciamo nel padre (e la madre)la sua  (loro)tenerezza.

A.2 – l’incontro con il Padre
In questa ricerca di chiarimento, di quanto sopra esposto, ci facciamo sostenere dalla parabola  dell’evangelista Luca dell’”amore frustrato del Padre”, meglio conosciuta “del figliol prodigo” commentata, in questa argomentazione, dal priore di Bose Enzo Bianchi
Gesù narra la vicenda di una famiglia che, come tutte le famiglie, non è ideale, non è esente dalle sofferenze e dall’irregolarità dei rapporti. Essa è composta da un padre e da due figli, nati e cresciuti nello stesso ambiente eppure capaci di due esiti formalmente diversi, agli antipodi: in realtà, però, entrambi sono accomunati dalla non conoscenza del padre e dalla volontà di negarlo. Il figlio  minore esige, reclama, rivendica, forza la mano al padre, che accorda i beni richiesti consentendo al figlio di allontanarsi da quella casa che sentiva come una prigione e dallo sguardo paterno “che percepiva giudicante”. Le vicissitudini della vita lo fanno ritornare, non per amore verso il padre, ma solo per interesse personale. Ma ecco:  nell’accoglienza incondizionata e nell’abbraccio riconosce il padre in modo diverso da come l’aveva conosciuto quando viveva con lui; è come se questa scoperta lo risuscitasse, lo rimettesse in piedi, gli desse la possibilità di una nuova vita in comunione con lui.
Anche il figlio maggiore, pur essendo restato accanto al padre, non lo aveva conosciuto, non aveva mai letto il suo cuore, non aveva fiducia in lui e da lui non aveva imparato nulla: per questo giudica e condanna! E’ ancora una volta il padre a doverglielo svelare: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo..”

Questa è davvero la parabola dell’amore frustrato di quel padre che ha amato fino alla fine (cf. Gv. 13,1), totalmente, gratuitamente, e che invece è apparso un padre-padrone in virtù delle proiezioni che entrambi i figli hanno fatto su di lui.

A.3 – padre e figlio: una relazione educativa
Capita così a volte anche nei rapporti tra i padri[15] (genitori) e i figli di questo mondo.
 Il fatto fondamentale dell’esistenza è l’uomo con l’uomo. Così, secondo il filosofo dell’incontro Martin Buber, la struttura dell’uomo è la relazionalità. L’uomo diventa IO a contatto con un TU. Tale relazionalità IO/TU è comunque orientata verso il NOI, passando attraverso una modalità di cerchi concentrici, dal rapporto interpersonale a quello comunitario, fino all’orizzonte più ampio della comunità globale. Ogni cerchio o passaggio è comunque autentico solo se riproduce il paradigma originario del rapporto IO7TU. Per acquisire questa modalità nella sua dimensione autentica ed esistenziale, c’è bisogno dell’adulto. Il ruolo dell’adulto è fondamentale in un processo di crescita per individuare e sostenere le fragilità, per aiutare a gestire il cambiamento, per avviare a vivere la dimensione degli affetti e dei sentimenti con sempre più consapevolezza e capacità di autocontrollo (v. le azioni - atteggiamenti del “padre” dalla parabola sopra commentata).
Ecco che, all’interno di questa riflessione, la relazione adulto/genitore – figlio si scopre una relazione d’amore, una relazione d’aiuto, con una espressione: una relazione educativa che “nutre” e consente al figlio di far emergere la propria interiorità sgombra da pre-giudizi e pre-concetti.
I figli hanno bisogno di stabilità e di continuità. La stabilità si persegue avendo conoscenza delle proprie origini, nel riconoscersi figli, mantenendo un senso di continuità nel tempo; la continuità ha origine nel padre e nella madre, ossia in una generatività non solo biologica, umana, ma anche esistenziale e sociale.
 Per riconoscersi figli, quindi, è necessario accogliere la figura del padre che, per quanto potente nella sua statura psicologica e morale, rimane l’unica possibilità per attuare quel cammino di conversione interiore che ci fa diventare autenticamente figli.

B – La vita chiama attivazione:
Proposte:
film – “L’incompreso” origine: Italia - Francia. Genere: psicologico - drammatico. Produzione: Rizzoli film SPA. Regia: Luigi Comencini. Interpreti: Stefano Colagrande, Simone Gannorri, Anthony Quayle, ecc. Classifica del Centro Cattolico Cinematografico: per tutti
Preghiera per i genitori di J. Hainout “la prière de la route” (in appendice n° 7) Preghiera
O Signore, dacci il nostro buon senso quotidiano!
O Signore, fa che preferiamo la serenità del figlio alla sua fama.
O Signore dacci le mani di Marta e il cuore di Maria!
O Signore liberaci dal possesso dei nostri figli.
O Signore, non darci ciò che desideriamo, ma dacci ciò di cui abbiamo bisogno.
O Signore, fa che ci occupiamo di più dei figli e ci preoccupiamo di meno!
I bambini sono libri aperti, ma tante volte non sappiamo leggerli. Facci scuola Signore!
Fa che ci convinciamo che l’incoraggiamento è più necessario del rimprovero.
O Signore, fa che i figli guardando noi, gustino Te!
Alle nostre parole d’oro fa’ che non seguano fatti di piombo!
Signore, fa che i nostri figli non siano costretti ad imparare la buona educazione, senza vederla praticata.
Signore, insegnaci a guardare in alto, non in aria!
(Pino Pellegrino)

C – riappropriazione Anche i genitori sono figli: figli dei loro genitori, ma soprattutto figli di Dio. Se ce ne ricordassimo più spesso, forse saremmo meno ansiosi e ansiogeni, meno irritati e irritanti. (in appendice n°8 vedi la preghiera di Pino Pellegrino).
Leggere insieme e adagio ogni frase preghiera.
Chiedere se c’è qualcuno che si riconosce in una delle frasi proposte, oppure se ce n’è una che ritiene importante, oppure una che vuole provare a mettere in pratica.


D – In ascolto della Parola
IEP  Lc 15,1 Gli esattori delle tasse e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo.
 2 I farisei e i dottori della legge mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con essi».
 3 Allora Gesù disse loro questa parabola:
 4 «Chi di voi, se possiede cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto per andare a cercare quella che si è smarrita, finché non la ritrova?
 5 Quando la trova, se la mette sulle spalle contento,
 6 ritorna a casa, cònvoca gli amici e i vicini e dice loro: “Fate festa con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta”.
 7 Così, vi dico, ci sarà gioia nel cielo più per un peccatore che si converte, che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione».
 8 «O quale donna, se possiede dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza bene la casa e si mette a cercare attentamente, finché non la trova?
 9 Quando l'ha trovata, chiama le amiche e le vicine di casa e dice loro: “Fate festa con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta”.
 10 Così, vi dico, gli angeli di Dio fanno grande festa per un solo peccatore che si converte».
 11 E diceva: «Un uomo aveva due figli.
 12 Il più giovane disse al padre: “Padre, dammi subito la parte di eredità che mi spetta”. Allora il padre divise le sostanze tra i due figli.
 13 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolti tutti i suoi beni, emigrò in una regione lontana e là spese tutti i suoi averi, vivendo in modo dissoluto.
 14 Quando ebbe dato fondo a tutte le sue sostanze, in quel paese si diffuse una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.
 15 Andò allora da uno degli abitanti di quel paese e si mise alle sue dipendenze. Quello lo mandò nei campi a pascolare i porci.
 16 Per la fame avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.
 17 Allora, rientrando in se stesso, disse: “Tutti i dipendenti in casa di mio padre hanno cibo in abbondanza, io invece qui muoio di fame!
 18 Ritornerò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te;
 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi mercenari”.
 20 Si mise in cammino e ritornò da suo padre. Mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione. Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
 21 Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e dinanzi a te. Non sono più degno di essere considerato tuo figlio”.
 22 Ma il padre ordinò ai servi: “Presto, portate qui la veste migliore e fategliela indossare; mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi.
 23 Prendete il vitello grasso e ammazzatelo. Facciamo festa con un banchetto,
 24 perché questo mio figlio era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
 25 Ora, il figlio maggiore si trovava nei campi. Al suo ritorno, quando fu vicino a casa, udì musica e danze.
 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse successo.
 27 Il servo gli rispose: “È ritornato tuo fratello e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché ha riavuto suo figlio sano e salvo”.
 28 Egli si adirò e non voleva entrare in casa. Allora suo padre uscì per cercare di convincerlo.
 29 Ma egli rispose a suo padre: “Da tanti anni io ti servo e non ho mai disubbidito a un tuo comando. Eppure tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.
 30 Ora invece che torna a casa questo tuo figlio che ha dilapidato i tuoi beni con le meretrici, per lui tu hai fatto ammazzare il vitello grasso”.
 31 Gli rispose il padre: “Figlio mio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo;
 32 ma si doveva far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». (Lc 15,1-32)

E – Consegna educativa: imparare insieme il Salmo 50

Mese di GENNAIO
Parola da concettualizzare: RINGRAZIARE

TERZO INCONTRO – focus: tutto è dono

Sviluppo della tematica:  La vita è una sorpresa di cui stupirsi ed essere grati

Noi dobbiamo a Dio la gratitudine di avere la gratitudine
Preghiera della liturgia ebraica

Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?
(Cor 4,7)
A – La comprensione

A.1 - «Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?» (1 Cor 4,7). Se ci pensiamo bene S. Paolo afferma una grande verità: tutto ci è stato donato a partire dal dono più grande della vita.
   In un viaggio a ritroso nella nostra esistenza incontriamo tante persone che dobbiamo ringraziare per quello che abbiamo ricevuto.
   Il ricordo affettuoso e grato va a chi ci ha voluti e ci ha amati dal primo momento del concepimento, ai nostri genitori che hanno atteso con trepidazione la nostra nascita, attenti ad ogni battito del nostro cuore, ad ogni piccolo movimento nel grembo materno fino al primo vagito e alla scoperta di quel viso tante volte immaginato. Siamo cresciuti per le attenzioni e l’amore di chi si è preso cura di ogni nostra necessità materiale e spirituale.

   «Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?»
   Ma il viaggio a ritroso continua e la nostra mente si riempie subito di ricordi, di volti, di gesti, di incontri. Ricordi di persone care, volti di amici, di insegnanti, di familiari, gesti di amore, incontri felici e da tutti abbiamo ricevuto qualcosa che ora fa parte integrante del nostro essere. Sono tutti doni che ci hanno fatto diventare quello che siamo: è il bagaglio della nostra vita! A tante persone dobbiamo una parte di noi stessi!

   «Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?»
   La gratitudine passa attraverso la capacità di stupirsi delle piccole cose e il recupero della consapevolezza che in tutto ciò di cui disponiamo, non c’è nulla di scontato. Dovremmo educare i nostri figli e noi stessi allo stupore davanti alle sorprese di ogni giorno: il sorriso di un bimbo, lo sguardo di un amico, un gesto di affetto, una parola gentile, un fiore, un’aurora, un tramonto, un cielo stellato. Tutto dovrebbe diventare motivo di meraviglia. Allora dal cuore partirà un sentimento di gratitudine spontaneo ed immediato che ci farà dire con gioia: GRAZIE!
  
A.2 - La gratuità fa la differenza rispetto alla cultura dominante

Ringraziare non deve mai diventare un dovere, un obbligo: ne risulterebbe una vuota ostentazione. Deve essere invece un moto del cuore che nasce anche da un profondo atto di umiltà. Pronunciando un grazie riconosco il valore dell'altro nella mia vita, del suo esserne parte in causa, riconosco che non sono autosufficiente e ho sempre bisogno degli altri, riconosco che nulla mi è dovuto, che ricevere non è un diritto.
   Vuol dire andare in qualche modo contro corrente rispetto alla logica della nostra attuale società dove domina il culto incondizionato del “mio io”, il pretendere prima del donare, il possedere prima del condividere, i diritti prima dei doveri.
   Abbiamo perso il senso della gratuità e della gratitudine. Nelle scelte concrete della nostra vita quotidiana, siamo sempre frenati da un dubbio: ne vale la pena? Vale la pena spendersi per gli altri, essere generosi, rendersi disponibili senza riserve? Meritano gli altri che io faccia tanto? Ne vale la pena?
   Questo dubbio ricorrente è certo giustificato: esso trova infatti conferma nelle tante piccole delusioni che sperimentiamo ogni giorno. E tuttavia – alla lunga – un simile dubbio ci inganna: perché ci induce sempre da capo a rimandare ogni scelta impegnativa, in quanto appunto non ne vale la pena. Ci accade così di trascorrere inutilmente la vita, senza trovare la libertà di donarla gratuitamente – e dunque di realizzarla –senza calcoli preventivi, senza pretendere nulla in cambio.
   E’ nella gratuità che la persona conquista tutto ciò che è più importante individualmente e per la società intera. Tutto ciò che esiste di più sublime, di determinante, di più bello e armonioso, avviene gratis e senza alcuna aspettativa di tornaconto. 
  Ma la gratuità non si riduce solo ad assenza di ricompensa (gratis, costo zero). Più che al “costo zero”, la gratuità si associa a un valore infinito: qualunque traduzione monetaria la svaluterebbe. Essa esige anche una motivazione interna positiva che sia espressione di libertà e di apertura all’incontro interpersonale, di accoglienza gioiosa e di rispetto dell’altro. Non a caso lo stesso vocabolo greco kharis (grazia, fonte di gioia) è all’origine delle parole “carisma” e “carezza”. Se viene a mancare questo elemento relazionale, si potrà parlare di altruismo, beneficenza, filantropia, ma non di gratuità; sarà per gli altri, ma non con gli altri; creerà dipendenza, umiliazione, ma non reciprocità né autentica relazione.
  
A.3 - Cristo modello di gratuità

Nel Dio fatto uomo abbiamo l’esempio più luminoso ed autentico della gratuità «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Gesù, da buon educatore, non fa prediche, ma ci propone esempi concreti di amore gratuito. Il Padre della parabola che vede un figlio andarsene lontano o il pastore che perde una delle 100 pecore non si chiedono se valga la pena di riaccogliere quel figlio che era tornato oppure andare in cerca dell’unica pecora che si era perduta. Non hanno fatto calcoli: hanno amato e basta!

B – La vita chiama:
Proposte:
A- Canzone: “E da qui” – Nek
Gli amici di sempre,
e ti fanno sentire il calore
gli abbracci più lunghi
ed è quella la sola ragione
la musica, i libri, aprire i regali,
per guardare in avanti e capire
i viaggi lontani che fanno sognare,
che in fondo ti dicono quel che sei.
i film che ti restano impressi nel cuore,
È bello sognare di vivere meglio,
gli sguardi e quell'attimo prima di un bacio,
è giusto tentare di farlo sul serio
le stelle cadenti, il profumo del vento,
per non consumare nemmeno un secondo
la vita rimane la cosa più bella che ho...
e sentire che anche io sono parte del mondo
Una stretta di mano,
e con questa canzone dico
tuo figlio che ride,
quello che da sempre so
la pioggia d'agosto
che la vita rimane la cosa più bella che ho...
e il rumore del mare,
E da qui
un bicchiere di vino insieme a tuo padre,
non c'è niente di più naturale che fermarsi
aiutare qualcuno a sentirsi migliore
un momento a pensare che le piccole cose
e poi fare l'amore sotto la luna
son quelle più vere le vivi le senti e tu
guardarsi e rifarlo più forte di prima,
ogni giorno ti renderai conto che sei vivo
la vita rimane la cosa più bella che ho...
a dispetto del tempo
E da qui
quelle cose che hai dentro le avrai al tuo fianco
non c'è niente di più naturale che
e non le abbandoni più
fermarsi un momento a pensare
e non le abbandoni più
che le piccole cose son quelle più vere
dicono chi sei tu...
e restano dentro di te

B- Fiaba indonesiana
Si avvicinava la stagione delle piogge ed un uomo molto anziano scavava buchi nel terreno.
“Che cosa stai facendo”? gli chiese il vicino.
“Pianto alberi di mango”, rispose il vecchio.
“Pensi di riuscire a mangiarne i frutti?”
“No, io non vivrò abbastanza a lungo per poterne mangiare, ma gli altri sì. L’altro giorno ho pensato che per tutta la vita, ho gustato manghi piantati da altri. Questo è il mio modo di dimostrare la mia riconoscenza”.
L’uomo moderno s’indigna, protesta, si vendica, raramente ringrazia. Eppure tutto quello che abbiamo, lo dobbiamo a qualcuno… Dire GRAZIE significa non pensare che tutto ci è dovuto.

Il grazie detto ai figli è un rinforzo positivo.
Avete mai pensato, come genitori, di scrivere una lettera ai vostri figli, magari per una occasione speciale, per dire loro una valanga di grazie?
Se li meritano? Forse no, forse sì. Ma non importa è un dono: nuovo, diverso, una sorpresa vera.
Grazie, perché…(brainstorming)
Già, perché? Provate a pensare alla loro storia, alla vostra gioia, alle loro battute, alle loro ingenuità, alle cose belle fatte e vissute insieme… Basta iniziare…il resto verrà da sé.

D – In ascolto della Parola
12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi. Questi si fermarono ad una certa distanza
 13 e ad alta voce dissero a Gesù: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
 14 Appena li vide Gesù disse: «Andate dai sacerdoti e presentatevi loro». E mentre quelli andavano, furono guariti.
 15 Uno di loro, appena vide di essere guarito, tornò indietro glorificando Dio a gran voce
 16 e si gettò bocconi per terra ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un samaritano.
 17 Gesù allora disse: «Non sono stati guariti tutti e dieci? Dove sono gli altri nove?
 18 Non è ritornato nessun altro a ringraziare Dio all'infuori di questo straniero?».
 19 E gli disse: «Àlzati e va': la tua fede ti ha salvato». (Luk 17:12-19 IEP)

E – Consegna educativa: preghiera serale del ringraziamento. “Grazie perché….”

Mese di FEBBRAIO
Parola da concettualizzare: CONFESSARE

QUARTO INCONTRO – focus: “dalla miseria alla misericordia”
Sviluppo della tematica:  dal peccato/castigo al perdono incondizionato

La bontà di Dio smaschera l’ipocrisia

Nel cuore dell’empio parla il peccato,
davanti ai suoi occhi non c’è timor di Dio.
Poiché egli si illude con se stesso
Nel ricercare la sua colpa e detestarla.
…Concedi la tua grazia a chi ti conosce
la tua giustizia ai retti di cuore
Salmo 36 (35)
A – la comprensione:

A.1 - introduzione
Confessare: verbo dalla valenza giuridica e penitenziale. “Si confessa un reato”, “si confessa una colpa”. Nell’affermazione è sottesa una dimensione giudicante: alla confessione del reato e della colpa, segue la condanna e la pena che, secondo una logica retributiva[16], equipara la pena alla colpa. Molti di noi hanno talmente sedimentato, nel tempo, tale convinzione che, per traslazione, l’azione sacramentale del confessare viene, spesso, paragonata ad un’udienza in tribunale, dove la “requisitoria” non concede attenuanti, eludendo il perdono.
2 – il perdono vivificante
Anche al tempo di Gesù, (ma anche fine I secolo e inizio II secolo) le dimensioni del peccato/castigo rispetto al perdono si erano allargate a dismisura con una conseguente grave distorsione della stessa immagine di Dio: visto più come giudice supremo e vendicatore che come “Dio che ha sentimenti di misericordia” (cfr. Lc. 1,78; Colossesi 3, 12).

“Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei” (Gv. 8, 1-11)
Gesù sovverte tutto il vecchio ordinamento legale, invita a mettersi ai piedi non di un codice penale ma del mistero della persona. Non si erige a giudice, ma libera il futuro di quella donna, cambiandole non il passato ma l’avvenire: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Non le chiede di confessare il peccato, non le chiede di espiarlo, non le domanda neppure se è pentita. Sant’Agostino nel commento al Vangelo di Giovanni afferma quando tutti si sono allontanati”restano solo due, la miseria e la misericordia”. Gesù non è venuto “per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv. 3,17) non rimprovera la donna e neppure la invita a pentirsi e a chiedere perdono almeno a Dio, questo le è già stato donato incondizionatamente. Con il perdono vivificante la donna viene rafforzata per la vita e per il trionfo della “giustizia” (non quella “esercitata” ma “donata” da Dio).

3 – riflessioni conclusive
Riprendendo le riflessioni fatte in apertura, parlando di “peccato”si deve considerare la realtà sociale culturale contemporanea, nella quale il senso del peccato ha cambiato connotazioni rispetto all’epoca moderna, medioevale, antica. Il senso del peccato oggi non può essere dato per scontato. E’ stato detto che il peccato più grave e pericoloso della nostra epoca, nell’Occidente, è la perdita del senso del peccato. Quasi fosse banale compiere il male, delegando le responsabilità del nostro agire ad altri o al contesto ambientale e socio – culturale. Il peccato è una possibilità tragica della libertà umana, sostiene il moralista R. Tamanti, che comporta una diminuzione dello spazio di libertà soggettivo che l’uomo sperimenta; nel peccare, l’uomo non amplia il suo spazio di libertà, come  erroneamente pensa, ma lo restringe. Nel riconoscere la propria “mancanza”, nel prenderne consapevolezza, non viene diminuita l’immagine che si ha di se stessi, ma esaltata. La persona, nell’errore, nello sbaglio, nel limite, riconosce è afferma la propria fragilità, ossia la propria umanità.
Non possiamo salvarci da soli
Anche noi, afferma Ermes Ronchi, nel commento al Vangelo di Giovanni, possiamo trovare l’equilibrio tra la regola e la compassione, immergendoci nella concretezza di un volto e di una storia, non in un’idea o una norma. Imparando dall’intimità e dalla fragilità, maestre di umanità. Il perdono di Dio è un atto creativo: apre sentieri, ti rimette sulla strada giusta, fa compiere un passo avanti, spalanca futuro. Non è un colpo di spugna sugli errori del passato, ma è di più, un colpo d’ala verso il domani.
Ognuno di noi ha bisogno di sentire questa paterna premura; per questo è necessario rinunciare a qualsiasi giudizio temerario, dice don Tiberio Cantaboni, nei confronti dell’altro, perché quel giudizio un giorno o l’altro si ritorcerà contro chi lo ha emesso. Il compito di ognuno è invece quello di “aprire una strada”, di offrire speranza laddove il peccato ha abbruttito la vita, e così renderla nuova e capace di un cammino spedito nel vero bene, dimenticando il passato e protendendosi verso il futuro.

Il verbo confessare, in ultima analisi, ci rimanda anche al concetto di confidare ad altra persona qualcosa di intimo o di segreto. Tale atteggiamento si realizza se ci fidiamo dell’altro, se crediamo nel nostro interlocutore; non ci si affida a qualcuno a cui non si riconoscono qualità morali quali: il rispetto, l’ascolto autentico, la riservatezza e la segretezza.
Tante persone vivono in un “ergastolo interiore”, schiacciate da sensi di colpa per errori passati. E’ necessario trovare il coraggio di aprirsi, di affidarsi a qualcuno che lenisca il dolore, che ci aiuti a ritrovare il senso della nostra vita. Abbiamo visto come, il rimorso e il senso di colpa, possano limitare la nostra capacità di crescere, di donare. Fatto pace con il passato, guardiamo al futuro con nuovi occhi, con un nuovo spirito, verso una riconquistata libertà.

B – La vita chiama:
7 volte ho disprezzato la mia anima
La prima quando l’ho vista temere di raggiungere l’altezza.
La seconda volta quando, incontrando uno zoppo, si è messa pure lei a zoppicare per non sembrare diversa.
La terza volta quando, potendo scegliere tra la via difficile e quella facile, ha scelto la facile, credendo che fosse quella giusta.
La quarta volta quando mentì e si scusò dicendo: “Così fan tutti”.
La quinta volta quando rifiutò di giocare per paura di perdere.
La sesta volta, invece di avere coraggio della propria opinione, ebbe il coraggio dell’opinione altrui.
La settima volta quando scelse la muffa invece dell’avventura.
(Pino Pellegrino)

C – L’attivazione
-In piccoli gruppi si potrebbe riflettere per capire il significato di ogni frase proposta.

D – In ascolto della Parola
tino si presentò di nuovo al tempio e tutto il popolo accorreva a lui e, sedutosi, li istruiva.
 3 Ora gli scribi e i farisei conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala in mezzo,
 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.
 5 Ora, nella legge Mosè ci ha comandato di lapidare tali donne. Tu, che ne dici?».
 6 Questo lo dicevano per tendergli un tranello, per avere di che accusarlo. Gesù, però, chinatosi, tracciava dei segni per terra con il dito.
 7 Siccome insistevano nell'interrogarlo, si drizzò e disse loro: «Quello di voi che è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei».
 8 E chinatosi di nuovo scriveva per terra.
 9 Quelli, udito ciò, presero a ritirarsi uno dopo l'altro, a cominciare dai più anziani, e fu lasciato solo con la donna che stava nel mezzo.
 10 Rizzatosi allora, Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?».
 11 Rispose: «Nessuno, Signore». «Neppure io ti condanno -- disse Gesù. -- Va', e d'ora in poi non peccare più». (Gv 8,2-11)

E – Consegna educativa: esame di coscienza

Mese di MARZO
Parola da concettualizzare: CONVERTIRSI

QUINTO INCONTRO – focus: prendere coscienza della nostra vera identità
Sviluppo della tematica:  CONVERTIRSI

 “La nostra conversione è la risposta riconoscente al mistero stupendo dell’amore di Dio”.
Papa Francesco

Esistere è cambiare, cambiare è maturare,
maturare è continuare a creare se stessi senza fine. Henri Bergson

“E se diventi farfalla
nessuno pensa più
a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali.”
Alda Merini

A – La comprensione:

A.1 – Siamo incamminati per una strada…

   Imboccare una strada e proseguire finché non ci si accorge di aver sbagliato direzione è un’esperienza che tutti possiamo aver fatto in occasione di un viaggio, di un cammino, di una passeggiata in montagna. Si può perdere la via o il sentiero e allora non resta che cambiare direzione se vogliamo raggiungere la meta. Guardiamo una carta stradale o programmiamo il navigatore, ci informiamo da qualcuno e poi ci avviamo verso un nuovo senso di marcia.
   Anche la nostra vita segue una direzione più o meno consapevole. Essa è il frutto dell’educazione che riceviamo, dell’ambiente in cui cresciamo, della cultura che respiriamo, dell’epoca in cui viviamo, delle scelte che compiamo. Tutto concorre a far prendere al nostro percorso esistenziale una determinata direzione e in questa proseguiamo, forti delle abitudini contratte e delle sicurezze acquisite.
   Per alcuni può essere una strada abbastanza diritta, lineare e senza ostacoli, per altri invece può essere costellata di difficoltà, di imprevisti, di problemi. In ogni caso si tratta della nostra vita che portiamo avanti più o meno felicemente. Può splendere il sole o scatenarsi un temporale, ma sappiamo che fa parte della condizione umana, di questo nostro destino terreno. 

A.2-…fino a quando qualcosa cambia.
   Eppure ad un certo punto, presto o tardi non importa, la nostra vita può subire una svolta: un incontro, un incidente di percorso, un inquietudine interiore, una decisone da prendere, una delusione, un fallimento, una malattia diventano motivi per una revisione di vita. Dove sto andando? Qual è lo scopo della mia vita? Chi sono veramente?
   È come se, rientrando in me stesso, iniziassi a vedere le cose in maniera diversa e a capire che devo cambiare, riprendere in mano la mia vita e magari cambiare direzione, convertirmi.
   La conversione non è necessariamente legata alla dimensione religiosa, ma coinvolge tanti aspetti della vita da quella etica, comportamentale e quindi più legata alla vita concreta a quella che riguarda la sfera delle idee, la dimensione intellettuale, ideologica, politica.
   Esaminare se stessi e vedere se c’è qualcosa da cambiare è un segno di umiltà e di intelligenza, è capire che abbiamo sempre tanto da imparare dagli altri, dagli eventi di tutti i giorni, anche dagli sbagli che facciamo.

A.3- Cambiare per crescere
Ciò che conta è cambiare per crescere, per maturare, per essere migliori, per realizzarsi in maniera sempre più autentica, per ritrovare la nostra vera identità, per volare alto. La conversione non è solo cambiare direzione, ma è anche puntare verso l’alto.
   Convertirsi è ritrovarsi e riconoscersi per quello che si è, riappropriarsi di se stessi. Tutti abbiamo bisogno prima o poi di conversione, di prendere quella direzione che ha per meta la felicità per se stessi e per gli altri. Dentro ciascuno di noi vive un'aquila. La nostra cultura e i vari sistemi di addomesticamento spesso ci trasformano in galline che razzolano nella terra. Ma noi siamo chiamati verso l'alto, verso l'infinito. Dobbiamo liberare l'aquila nascosta in noi e non accontentarci della mediocrità o del “si è sempre fatto così”. Le nostre abitudini a volte ci imprigionano in schemi rigidi che non ci permettono di cambiare e vivere meglio con noi stessi e con gli altri.

B – La vita chiama (in piccolo o grande gruppo)

Un uomo una mattina, esce di casa, c’è una buca nel marciapiede, non la vede, ci casca dentro.
Il giorno dopo esce di casa, si dimentica che c’è una buca nel marciapiede e ci casca dentro.
Il terzo giorno esce di casa cercando di ricordarsi che c’è una buca nel marciapiede e invece non se lo ricorda e ci casca dentro.
Il quarto giorno vede la buca, cerca di saltarla, ma ci finisce dentro…
Il decimo giorno si rende conto che è più comodo e sicuro camminare sul marciapiede di fronte.

Riflettere personalmente (5 – 10 minuti) su questo racconto: La strada della vita è disseminata di buche: abitudini, vizi piccoli e grandi, mancanze fastidiose eppure sempre uguali. In famiglia si litiga sempre per le stesse cose, si confessano sempre gli stessi peccati, si commettono sempre gli stessi errori. Convertirsi è prendere l’altro marciapiede. Ognuno di noi può prendere una piccola decisione per cambiare e migliorare se stesso e le relazioni con gli altri, in famiglia, nel lavoro, in parrocchia….
Sembra strano ma ogni cambiamento produce altri cambiamenti in me e negli altri.

C – L’attivazione

D – In ascolto della Parola
Entrato nella città di Gerico, la stava attraversando.
 2 Or un uomo di nome Zaccheo, che era capo dei pubblicani e ricco,
 3 cercava di vedere chi fosse Gesù, ma non ci riusciva; c'era infatti molta gente ed egli era troppo piccolo di statura.
 4 Allora corse avanti e, per poterlo vedere, si arrampicò sopra un sicomoro, perché Gesù doveva passare di là.
 5 Gesù, quando arrivò in quel punto, alzò gli occhi e gli disse: «Zaccheo, scendi in fretta, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
 6 Scese subito e lo accolse con gioia.
 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!».
 8 Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Signore, io do ai poveri la metà dei miei beni e se ho rubato a qualcuno gli restituisco il quadruplo».
 9 Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo.
 10 Infatti il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (Lc 19,1-10)

E – Consegna educativa: eseguire il segno della croce comprendendone il significato simbolico.

F -Bibliografia di riferimento
Bruno Ferrero, Piccole storie dell’anima, Elledici
Pino Pellegrino, 365 punti luce per l’educazione, Elledici
Pino Pellegrino, La pedagogia controcorrente, dei genitori salmone, Astegiano ed.
Daniel Pennac, Grazie, Feltrinelli
Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon

Quarto anno





Mese di SETTEMBRE
presentazione del percorso educativo/formativo

INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: il dono che rigenera
Obiettivi generali:
Mangiare insieme: aspetto conviviale, aspetto sacrificale, aspetto di condivisione
Partecipare alla mensa eucaristica
Sensibilizzare all’amicizia con Gesù Eucarestia
Aumentare la sensibilità dei genitori verso i comportamenti dei figli e dei loro bisogni formativi.
Scoprire il senso di un cammino che ci coinvolge e ci porta a “raccontare” (memoriale eucaristico) ai figli la ricchezza della nostra vita in ricerca del Signore Gesù.

Competenze:
saper sviluppare empatia per cogliere le emozioni del proprio figlio: attese, richieste inespresse, ansie.
Saper condividere i suoi vissuti con atteggiamenti di contenimento: accogliere.

L’educazione è cosa del cuore
 (don Giovanni Bosco)

“Vedere con gli occhi di un altro,
ascoltare con le orecchie di un altro,
e sentire con il cuore di un altro”
(Alfred Adler)

“I bambini vengono educati da quello che gli adulti sono e non dai loro discorsi”
(Carl Gustav Jung)
“Esiste un solo problema, uno solo sulla terra. Come ridare all’umanità un significato spirituale, suscitare un’inquietudine dello spirito. E’necessario che l’umanità venga irrorata dall’alto e scenda su di lei qualcosa che assomigli ad un canto gregoriano. Vedete, non si può continuare a vivere occupandosi soltanto di frigoriferi, politica, bilanci e parole crociate. Non è possibile andare avanti così” (Antoine de Saint – Exupéry)

Il poeta tedesco Rainer Maria Rilke abitò per un certo periodo a Parigi. Per andare all’Università percorreva ogni giorno, in compagnia di una sua amica francese, una strada molto frequentata.
Un angolo di questa strada era perennemente occupato da una mendicante che chiedeva l’elemosina ai passanti. La donna sedeva sempre allo stesso posto, immobile come una statua, con la mano tesa e gli occhi fissi al suolo.
Rilke non le dava mai nulla, mentre la sua compagna le donava spesso qualche moneta.
Un giorno la giovane francese, meravigliata domandò al poeta: “Ma perché non dai mai nulla a quella poveretta?”
“Dovremmo regalare qualcosa al suo cuore, non alle sue mani”, rispose il poeta.
Il giorno dopo, Rilke arrivò con una splendida rosa appena sbocciata, la depose nelle mani della mendicante e fece l’atto di riandarsene.
Allora accadde qualcosa di inatteso: la mendicante alzò gli occhi, guardò il poeta, si sollevò a stento da  terra, prese la mano dell’uomo e la baciò. Poi se ne andò stringendo la rosa al seno.
Per una intera settimana nessuno la vide più. Ma otto giorni dopo, la mendicante era di nuovo seduta nel suo solito angolo. Silenziosa, immobile come sempre.
“Di che cosa avrà vissuto in tutti questi giorni in cui non ha ricevuto nulle?”, chiese la giovane francese.
“Della rosa”, rispose il poeta.

Quali tra le seguenti proposte potrebbero avere il profumo della rosa per i nostri figli?
Ascoltare senza guardare l’orologio.
Un abbraccio in un momento di difficoltà.
Una parola buona: di incoraggiamento, di lode, di sprone, di perdono.
Visitare insieme una mostra interessante.
Accettarlo sempre (anche quando sbaglia: accetto lui, non il suo errore)
Una visita ad una chiesa particolare.
Non usare il confronto.
Una piccola preghiera fatta insieme.
Giocare un po’ insieme.
Chiudere un occhio, qualche volta.
Coinvolgere i figli in un lavoro.
Fare insieme una bella sorpresa all’altro genitore.
Aiutare qualcuno in difficoltà.
Farlo sentire utile il più possibile.
Nascondergli una sorpresa nello zainetto della scuola.
 Non è vero che i figli si amano perché sono i nostri; si amano perché si impara ad amarli
(Marcello Bernardi, pediatra svizzero)

Opera d’arte: “l’ultima cena” di Leonardo da Vinci

Gesù, al centro, sembra stia finendo di dire: “Uno di voi mi tradirà”. E l’unica figura non in movimento. Non è arrabbiato, ma profondamente consapevole di quello che succederà.
Leonardo entra in ogni personaggio per caratterizzarlo, esplorandone ogni angolo esistenziale.
Sono tutti scossi, stupiti, increduli.
Sono radunati in quattro gruppi di tre persone.

Prima terna a sinistra, vicino a Gesù

Pietro è arrabbiato e va da Giovanni, tirandolo un po’ per la spalla, come per dirgli: “Fatti dire chi lo tradirà”. Tradire? Inaudito! Mette la mano sul coltello come a dimostrare che se la vedrà lui, con il traditore (Lui invece … lo rinnegherà!). Il problema di Pietro, per Leonardo, è sostituirsi a Gesù. “Tu lavarmi i piedi?” E nell’orto, Gesù gli dirà: “Metti via quella spada”.
Davanti a Pietro c’è Giuda (v. borsa dei denari). Giuda è il secondo, dopo Gesù, per dire che è uno di noi.
Il Ghirlandaio, il Perugino, Champaigne e altri mettono Giuda dall’altra parte del tavolo: è il traditore, l’altro, quello sbagliato. Rischiamo di dare del Giuda agli altri. Per Leonardo è vedere il male negli altri e metterli fuori dal giro, mentre tutti siamo peccatori, tutti siamo suoi, anche con tutte le nostre debolezze.
Rubens sceglie una tavola quadrata e rappresenta Giuda disperato.
Per Dante i traditori sono collocati nel punto più basso dell’inferno: nel ghiaccio, dove non c’è vita. Ha ucciso il dialogo.
Giuda sa già la risposta alle domande degli apostoli. Il suo dramma è pensare che con il denaro risolverà ogni problema. Fragilità umana. Per quel sacchetto, trancerà tutti i legami con Gesù e gli altri. Col braccio rovescia il sale: voi sarete il sale …
Giovanni dai lineamenti femminei, perché è un uomo giovane ed ha un atteggiamento mariano (mite). Si è sentito dire: “Ecco tua madre” . Ha accolto la Chiesa.
In questa terna è racchiusa la realtà della Chiesa: Mistero Petrino – Mistero Mariano – Mistero della Chiesa (con Giuda), quando non siamo discepoli, quando come chiesa tradiamo per potere, per un po’ di pace, per poco coraggio….

Terna a destra vicino a Gesù

Giacomo fratello di Giovanni (i figli del tuono). Atteggiamento aggressivo, sembra un leone. Mentre andavano a Gerusalemme attraversano una città della Samaria, che non li accoglie e Giacomo: “Vuoi che facciamo scendere del fuoco che li consumi?”. Allarga le braccia come a croce, sarà il primo martire, ma non morirà in croce.
Tommaso è il più vicino al volto di Gesù. E’ quello che fa domande. E’ quello che dice: “Andiamo a morire con Gesù”. Gesù dice a lui: Io sono via, verità, vita. Il dito sembra indicare la richiesta di fare una domanda, e anche “Se non metto il dito ….”
Vuol vedere che sia veramente quel Gesù che ha visto morire: nel Risorto vuol vedere i segni della passione e Gesù lo rende testimone del Risorto.
Filippo (amante dei cavalli) è l’apostolo dell’amore. E’ in piedi. E’ stato chiamato personalmente: “Seguimi”. Si apre il mantello come per dire: “Guardami dentro! Signore non posso essere io”. E’ quello che dice a Gesù: “Signore mostraci il Padre e crederemo” E Gesù gli risponde:  Da tanto tempo sei con me e tu non mi hai conosciuto? Chi ha visto me, ha visto il Padre”.

Altra terna a sinistra

Bartolomeo (Natanaele) è in piedi, per significare che è stato missionario fino alle Indie. Era stato chiamato da Filippo (entrambi in piedi) che gli disse: “Abbiamo trovato Colui di cui si parla in Mosè, nella legge e nei profeti. Sono due ebrei, perciò sanno bene cosa significa. Quando Gesù lo vede dice: “Ecco un israelita in cui non c’è falsità”. Lui si protende in avanti per ascoltare, non sentenzia.
Andrea: mani pulite! E’ quello che chiede a Gesù: “Dove abiti?” E Gesù risponde: “Vieni e vedi”. Andare significa fare esperienza. A lui dice: “Vi farò pescatori di uomini”, cioè coloro che tirano fuori il meglio da ogni persona.
Giacomo il minore Che è simile a Gesù, perché, secondo Marco ev., è cugino di Gesù. Giuda dirà: “Nell’orto degli ulivi, arrestate quello che bacerò”. Per non sbagliare.

Ultima terna a destra

Giuda Taddeo (grande cuore) è come se dicesse: lo sapevo, prima o poi doveva succedere. Gesù parla e lui è rivolto verso l’altro discepolo. E’ colui che chiede a Gesù: “Perché ti manifesti a noi e non al mondo?” Risposta: “Se uno mi ama osserverà la mia parola” …. Osserva la mia parola e il mondo mi conoscerà. Il seme, se cade in un terreno buono dà il 30%, il 50%,  il 100%.
Simone il Cananeo che significa Zelota. Rimanda con le mani a Gesù perché vuole capire di più.
Mentre le parole di Gesù: “Uno di voi mi tradirà” provocano come un’onda che spinge gli apostoli verso l’esterno, Simone e Bartolomeo che  sono ai lati della tavola, rimandano con i gesti o con lo sguardo a Gesù, sono come due argini che continuano a convogliare l’onda verso Gesù.
Matteo - Levi – esattore delle tasse. Un padre spirituale dell’VIII secolo lo descrive così: “Miserando atque eligendo” (motto di Papa Francesco) cioè: avendolo guardato con misericordia, lo scelse. E’ disperato: la testa a destra verso gli apostoli (paura), le mani invece indicano Gesù. Con le mani scriverà il vangelo per indicare Gesù.

Gesù, con una mano prende il pane, e con l’altra lo dona.

Percorso formativo dei genitori: tempi e nodi tematici:

Settembre
Ottobre
Novembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Incontro propedeutico
Benedire
Spezzare
Dare
Fare memoria
Lodare


Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: L’EUCARESTIA

Bambini/e di 9 anni – classe quarta -  scuola primaria

Quadro di riferimento:
Nucleo generativo
atteggiamento
Preghiera
Vangelo di riferimento
Icona biblica di riferimento
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
segno
Gesto di carità


L’Eucarestia


Incontrare Gesù Cristo

Padre Nostro

La Passione di Marco

Mosè guida nel deserto

Settimana Santa e Pasqua


Il Pane
Raccolta alimentare



Mese di OTTOBRE
Parola da concettualizzare: BENEDIRE

PRIMO INCONTRO – focus: Imparare a pensare positivo

Sviluppo della tematica:  Pensare e dire bene migliora se stessi e gli altri

 ”Benedire gli altri, dire bene degli altri e dire bene a Dio degli altri”
Papa Francesco
 “Spesso si contraddice un’opinione mentre ciò che in realtà non ci piace
è il tono con cui è stata espressa”
F. Nietzsche

A - Comprensione

A.1-Pensare positivo fa bene a noi e agli altri
   Se pensiamo alla composizione della parola “bene-dire”, cioè “dire bene” ci rendiamo subito conto che il suo significato va al di là dell’atto liturgico con cui si benedice qualcuno o qualcosa. Si tratta piuttosto di uno stile di pensare e parlare che si orienta verso i colori belli della vita, che apre il cuore alla speranza, che sa scoprire il sole sopra le nubi.
   Ormai è accertato anche dalle neuroscienze che il nostro pensiero può modificare la realtà, che la qualità dei nostri pensieri determina la qualità della nostra vita. Se ci abituiamo a trovare nelle situazioni della nostra vita il bene, il bello, il buono che sempre è presente anche nelle situazioni più negative, se sapremo vedere la foresta che cresce anziché l’albero che cade tutto attorno a noi assumerà un colore diverso, saremo più sereni e diffonderemo serenità anche negli altri.
Spesso con il nostro modo di parlare diventiamo “profeti di morte” anziché “sentinelle del mattino”: “In che mondo viviamo!”, “Abbiamo toccato l’abisso”, “È la fine del mondo!”. Espressioni simili contribuiscono a colorare tutto con tinte fosche e a non cogliere spiragli di speranza. Non possiamo certo negare che ci sono tanti aspetti negativi nel mondo attuale e i mass media non ci risparmiano notizie di cronaca nera. Ma cerchiamo di andare controcorrente!
   La via Crucis del venerdì santo 2019 con Papa Francesco scandisce per ogni stazione immagini di dolore e di sofferenza non però per delinearci una visione disperata, ma per mettere tutto questo male nel cuore di Dio. Ed infatti la preghiera finale raccoglie tutte le croci del nostro mondo e le vede alla luce della Croce di Cristo: Signore Gesù, aiutaci a vedere nella Tua Croce tutte le croci del mondo” e conclude con queste parole: “Signore Gesù, ravviva in noi la speranza della risurrezione e della Tua definitiva vittoria contro ogni male e ogni morte. Amen!”. È solo la Pasqua di Resurrezione che può dare senso al dolore umano.
   Il benedire è il “dire bene” è saper avere occhi di speranza anche nei momenti e nelle situazioni più disperate, è avere occhi di fede anche quando non si vede nulla di buono e di bello, è avere sguardi di carità per portare la vita e l’amore dove regna la morte e l’odio.
   Dire bene fa bene a noi e agli altri: ci sono gesti o parole che hanno molto più potere di quello che pensiamo, ci aiutano ad essere più inclini ad empatizzare con gli altri e ad assumere comportamenti sociali.

A.2 - Il linguaggio dell’empatia
   Anche il nostro modo di relazionarci con gli altri è  influenzato dalle parole che usiamo e da come le usiamo. Lo stile di comunicazione è molto importante e può essere più o meno efficace, tanto da condizionare la comprensione di quanto si dice (vedi citazione di Nietzsche) ed influenzare in senso positivo o negativo il nostro interlocutore.
   Quante incomprensioni e quante reazioni negative può causare una inadeguata comunicazione fra genitori e figli o fra insegnanti e alunni. Come educatori dobbiamo sempre usare il linguaggio dell’empatia come promozione del benessere altrui. Per essere empatici non è sufficiente cogliere i sentimenti altrui, bensì occorre valorizzare l’altro e metterne in risalto le capacità. Come genitori non dimentichiamo mai di aiutare i nostri figli a puntare gli occhi verso il BELLO, il BENE, il BUONO prima di tutto dentro di sé e poi negli altri e nella realtà che ci circonda.

A.3 - Il benedire nella Bibbia
   Ma il termine benedire ha anche il significato di invocare da Dio grazia e protezione per qualcuno come fa per esempio il sacerdote nel momento conclusivo della S. Messa. La liturgia del primo giorno dell’anno riporta questa bella benedizione: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Num 6, 23-25). La benedizione di Dio si è manifestata nella storia della salvezza con eventi mirabili e salvifici: la nascita di Isacco, l’uscita dall’Egitto, il dono della Terra Promessa, l’elezione di Davide. Ogni benedizione divina è di per sé realizzazione certa perché la Sua Parola è viva ed efficace e produce quello che annuncia, “è insieme parola e dono” (CCC 1078). 
   Ma anche noi fedeli possiamo benedire come fece Giacobbe quando benedì suo figlio Giuseppe. E così un papà e una mamma possono benedire i loro figli per invocare su di loro l’aiuto e la protezione del Signore.
   Questa potrebbe essere una preghiera di benedizione preceduta dal segno della croce tracciato sulla fronte dei figli:
Padre Santo, sorgente inesauribile di vita,
da te proviene tutto ciò che è buono;
noi ti benediciamo e ti rendiamo grazie,
perché hai voluto allietare con il dono dei figli
la nostra comunione di amore.
Fa che questi nuovi germogli della nostra famiglia
trovino nell’ambito domestico il clima adatto
per aprirsi liberamente ai grandi ideali
che tieni in serbo per loro
e che realizzeranno con il tuo aiuto.
Per Cristo nostro Signore. Amen

B – La vita chiama
La peggior cosa che possa capitare ad un uomo è pensar male di se stesso (Goethe)

Presentare ai genitori un foglio bianco con disegnato un punto nero, una macchiolina nera. Chiedere ai genitori cosa vedono.
La maggior parte dirà: “Una punto nero”. 
(Risposta esatta: un foglio bianco con un punto nero)
Come mai si vede il punto nero e si tralascia tutta la parte bianca ? Perché quella si dà per scontata. E’ la macchia che risalta.
Con i nostri figli, spesso succede così! Vediamo il negativo e ignoriamo, diamo per scontato il positivo.
E’ più facile vedere ciò che manca.
Occorre impegnarsi, volerle vedere le cose buone, che ci sono.
Non vogliamo ignorare il punto nero, anzi, a patto però che ci si concentri anche sul bianco, sulle luci, sulle positività.

Il maestro poteva essere rigido quando riteneva che fosse opportuno richiamare qualcuno al dovere. Ma, con sorpresa di tutti, nessuno si era mai risentito per i suoi rimproveri.
Quando gliene domandarono il motivo, rispose: “Dipende da come lo si fa. Gli esseri umani sono come i fiori: aperti e ricettivi alla rugiada che scende dolcemente, serrati alla pioggia battente.
Lamentazioni o benedizioni?
Quando ci si concentra sul negativo si attivano le lamentazioni e si diventa noiosi, fastidiosi, inefficaci.
Proviamo invece ad impegnarci a vedere nei figli il positivo, le luci, le potenzialità.
Cerchiamo di bene-dire, magari con un complimento, un’approvazione, un incoraggiamento amorevole, una lode, un grazie.

La tenerezza è l’antigelo dell’anima

“Che gran paternità quella degli alberi, che sanno dare a ciascuno dei loro rami un cammino verso la luce”.  (L. Olivàn)
Come genitori, non dimentichiamo mai di aiutare i nostri figli a puntare sempre gli occhi verso il bello, il bene, il buono. Dentro di sé, negli altri, nella natura.

C- L’attivazione
Far scrivere ai genitori delle frasi relative al bene-dire: un complimento, un’approvazione, un incoraggiamento amorevole, una lode, un grazie.
Raccoglierle in un cestino. Mescolarle e ridistribuirle. (se si pesca il proprio cartoncino, lo si rimette dentro e se ne pesca un altro).
Riflettere sulla frase ricevuta.

D – In ascolto della Parola Inno di giubilo di Gesù

E) i genitori benedicono i figli


Mese di NOVEMBRE
Parola da concettualizzare: SPEZZARE

SECONDO INCONTRO – focus: “spezzare” le catene dell’indifferenza, dell’omertà e della rassegnazione.
Sviluppo della tematica: Comprensione, Consapevolezza, Coraggio, Condivisione, Coesistenza
il colpo di lancia
“Vennero dunque i soldati e spezzarono loro le gambe
All’uno e all’altro che erano stati crocifissi con lui”
(Gv.19,32)
I due discepoli di Emmaus
“Quando fu a tavola con loro, prese il pane,
recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”
(Lc.24, 30)
Istituzione dell’eucaristia
“Poi prese il pane, rese grazie,lo spezzò e lo diede loro dicendo:
-Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me –
(Lc.22, 19)
“E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” (Albert Einstein)
“La solitudine è una tempesta silenziosa che spezza tutti i nostri rami morti; e tuttavia spinge le nostre radici viventi più a fondo nel cuore vivente della terra vivente (Kahlil Gibran)

A – La comprensione

Spezzare: un verbo dal valore polisemico, con una forte connotazione metaforica e letteraria.
Spezzare la spirale del silenzio”
Con questo aforisma indichiamo il coraggio di denunciare le mancanze, le ingiustizie sociali, istituzionali, agite e perpetrate verso donne, bambini, immigrati, senza fissa dimora (tutti quegli esseri umani che Papa Francesco chiama “gli scarti” della società).”La situazione sociale, economica e politica dei migranti e delle vittime di tratta di esseri umani” afferma suor Eugenia Bonetti, nella meditazione all’ VIII stazione della via crucis al Colosseo 2019, “ ci interroga e ci scuote. Dobbiamo avere il coraggio(…)di denunciare(…)quali crimini contro l’umanità. Tutti noi,(…) dobbiamo crescere nella consapevolezza che tutti siamo responsabili del problema e tutti possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione(…)Il povero, lo straniero, il diverso non deve essere visto come un nemico da respingere o da combattere ma, piuttosto, come un fratello o una sorella da accogliere e da aiutare”.
Spezzare le catene dell’indifferenza”
Quando da cittadini responsabili diciamo “basta” alle storture, alle incongruenze, ai soprusi, alla violenza,..all’inquinamento del pianeta quale “casa comune” tutelando, con le nostre scelte, frutto di una nuova consapevolezza, i progetti, i sogni e la vita delle generazioni future.
Spezziamo le catene della rassegnazione,
 dell’indifferenza e consentiamo, anche agli ultimi di riconquistare quella libertà che è sinonimo di dignità, crescita, realizzazione.
Forse è arrivato il momento di fare una “piccola rivoluzione” partendo dal basso, dai piccoli gesti quotidiani. Eshkol Nevo, scrittore israeliano (insegna scrittura creativa nella scuola da lui fondata), sostiene che tutto inizia da piccoli gesti, da come, per esempio, spieghiamo ai nostri figli il rispetto e l’apertura verso chi è diverso da noi. Perché una cosa è certa: non bisogna vergognarsi del pregiudizio, un’ombra che ci accompagnerà (purtroppo) sempre. Il vero problema è non riuscire a passare dal pregiudizio al giudizio, ovvero alla comprensione, alla coesistenza, all’inclusione.
Spezzare una lancia a favore di qualcuno”
Così facendo riconosciamo le ragioni di chi chiede rispetto e giustizia. Non c’è una ragione, la mia o quella del più forte, ma più ragioni, frutto di percorsi diversi, di storie diverse, di esperienze diverse. Quando tali ragioni sono sostenute con onestà e cognizione di causa, meritano tutta la nostra attenzione e disponibilità all’ascolto e al dialogo.
Talvolta rimaniamo insensibili alle richieste di ascolto o di aiuto, convinti che non ci riguardino, perché non ci toccano da vicino.
Allora, accorgiamoci delle persone che ci stanno accanto, incontriamo i loro sguardi, dimostrando che insieme, con il contributo di ciascuno, si possono affrontare situazioni difficili, e anche un cuore spezzato da un forte dolore, dalla sofferenza, può essere risanato.
Quante situazioni familiari sono spezzate dal tradimento, dall’incomprensione. Difficoltà comunicative, fretta, disattenzione innescano meccanismi di solitudine, se non di abbandono.
Non è facile cambiare modo di essere, atteggiamenti. Certe abitudini sono sedimentate nel tempo da diventare, talvolta, un tutt’uno con noi.

“Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi santi, che erano morti , risuscitarono” (Mt. 27,51)

“Venuti da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe” (Gv. 19, 33)

Gesù è venuto a rompere le catene dell’indifferenza, della rassegnazione, dell’omertà, a interrompere la spirale del silenzio. Alla violenza del Golgota si oppone la natura che si ribella al crimine compiuto. Anche noi, ci dobbiamo “ribellare” e condividendo il pane spezzato, diventiamo testimoni,come i discepoli di Emmaus, del Risorto e del suo messaggio di pace e giustizia.

B – la vita chiama: il capro espiatorio”
L’alto dirigente piombò all’improvviso nell’ufficio e rimproverò aspramente il povero responsabile della sezione.
Il responsabile diede una solenne lavata di capo all’impiegato.
L’impiegato chinò la testa, ma tornato a casa si sfogò urlando con la moglie.
La moglie si rivalse con la figlia, che non aveva messo in ordine la stanza.
La ragazza sferrò una pedata al cane, che si mise ad inseguire rabbiosamente il gatto.
La storia si concluse con la morte dei topi.

Questo è ciò che accade nella nostra società, nelle nostre comunità. Questo è ciò che passa di generazione in generazione.
Aggressione e violenza si spostano dal più forte al più debole e la pagano sempre i più deboli.

Gesù è venuto per spezzare questa catena
Anche nelle nostre famiglie a volte ci sono delle catene: e qualcuno deve pagare.
Perché non trasformiamo aggressione, giudizio, violenza, pregiudizio, abitudine, routine, schemi rigidi, impulsività, derisione, in altre modalità che danno pace e fanno crescere tutti?

C – attivazione:
Preparare dei cartoncini con parole di pace: ascolto, pazienza, stima, bontà, perdono, rispetto, calma, razionalità, confronto, gradualità, dialogo, vicinanza, comprensione, fiducia, novità,..
Tagliarle a puzzle, mescolarle e distribuire a caso i pezzi. Invitare a cercare, con calma e gentilezza, l’altro pezzo del puzzle.
Chiedere alla coppia di persone che si è formata, in quale modo quella parola può spezzare le catene che persistono nelle famiglie.

D – In ascolto della Parola
Ultima  cena
E – preparare insieme il pane o un dolce.


Mese di GENNAIO
Parola da concettualizzare: DARE

TERZO INCONTRO – focus: Capire che “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” Atti 20,35

Sviluppo della tematica: Entrare nella logica del Vangelo

«Quanto meno abbiamo, più diamo. Sembra assurdo, però questa è la logica dell'amore» 
Madre Teresa di Calcutta

«Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do»
Atti 3,6
“ Come si reggono i centri? Con le promesse dei ricchi e dei politici e con i soldi dei poveri”
Don Gelmini
A – Comprensione

 A.1- Andare controcorrente
   Secondo una logica umana, forse imperante nella società consumistica in cui viviamo, il possedere, il trattenere per sé, l’accumulare sembra la panacea per raggiungere la felicità. È la logica del ricco stolto che pensava fra sé: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia» Conosciamo bene la conclusione della parabola «Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».(Lc 12,19-21). È la logica dei tanti Paperon de’Paperoni che popolano il nostro mondo e che si chiamano multinazionali, magnati dell’economia, capitalisti. Il rapporto OXFAM[17] del 22 gennaio 2018 afferma che: «L’1% più ricco della popolazione mondiale detiene più ricchezza del restante 99%».
  Non sempre però il pensare umano è sinonimo di verità. Gesù si definisce Via, Verità e Vita e forse se provassimo a mettere in pratica il suo Vangelo, secondo il magistero di Papa Francesco, il mondo sarebbe più bello e più buono. Le folle al tempo di Gesù lo rincorrevano ansiose di ricevere tutto quello che sapeva dare: il dono della Parola, il dono della guarigione fisica e spirituale, il dono dell’attenzione e dell’ascolto, il dono dell’insegnamento. In Lui trovavano qualcuno che «insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,22).

A.2 – “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,25)
   Come cristiani non possiamo seguire soltanto la legge del «dare per ricevere», perché la nostra identità di uomini e di cristiani, se tali vogliamo essere, si caratterizza per un sovrappiù di amore, in forza del quale non si fa il bene per ricevere il contraccambio, ma lo si fa gratuitamente, comunque e sempre, senza paura di «perdere», poiché il bene che si fa ritorna sempre anche a chi lo compie: non è mai contro di noi. Così a poco a poco, nelle nostre scelte impariamo a non essere più schiavi di un criterio puramente umano e utilitaristico o, peggio, schiavi dei propri interessi, ma ci eleviamo ad un concetto della vita più nobile e spirituale e ad acquistare la capacità di avere rapporti autentici e sereni con tutti. Sempre il bene donato suscita altro bene.
   In un mondo dominato dalla violenza, si tesse così silenziosamente una rete di amicizia, che dice con i fatti che tutti gli uomini sono davvero fratelli, figli di un unico Dio, tutti incamminati verso un'unica meta. Tutti siamo poveri e deboli, ma se ci aiutiamo con un “dare reciproco” le fatiche del cammino si possono affrontare con maggiore fiducia: là dove uno cade, un altro è pronto a rialzarlo; quando ad uno viene meno il coraggio, chi gli è accanto diventa per lui un raggio di speranza. Anche questo è un servizio che siamo chiamati a renderci reciprocamente. 
   “Cristiani si diventa, non si nasce”. Questa espressione di Tertulliano sottolinea la necessità della dimensione propriamente auto-educativa nella vita cristiana. Dobbiamo cioè educarci, imparare a vivere una vita capace di incarnare i principi del Vangelo con la convinzione che solo una vita “buona” ci può permettere di costruire un’esistenza “felice” per noi e per chi è vicino a noi.

A.3-Testimoni della gioia del dare
   E se passiamo dal piano dell’enunciazione teorica all’esperienza concreta di vita l’elenco di persone che hanno realizzato la loro vita nel dare più che nel possedere, nel servire gli altri più che nel “servir-si”, l’elenco si fa lungo e ricco di testimonianze esemplari.
   Apostoli dell’amore, del dono, del servizio generoso e gratuito vissuti in ogni tempo e che diventano simboli di una fede che non conosce divisioni religiose, ma che accomuna tutti: credenti e non credenti, cristiani e non cristiani. Forse è proprio sulla generosità del dare, sull’amore ai fratelli che si giocherà, nel prossimo futuro, la credibilità del nostro cristianesimo e che ci permetterà di pregare insieme l’unico Dio, Padre di tutti.
   Perché il dare è segno di comunione, di condivisione fraterna, è segno di autenticità cristiana che attrae più di tante parole. Leggendo gli Atti degli Apostoli ci rendiamo conto dello stile di vita delle prime comunità cristiane:«Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. […] Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;  chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo».
   È vero: chi sa amare, chi sa donare gode la simpatia e l’apprezzamento di tutti. Un esempio è certamente Madre Teresa di Calcutta, questa piccola grande donna, che ha saputo fare della sua vita un quotidiano sacrificio di sé per dare sollievo materiale e spirituale ai più poveri dei poveri di questa terra. 
   Un altro testimone della gioia del dare, vissuto nel secolo scorso, è Marcello Candia (1916-1983), un ricchissimo imprenditore milanese. Dopo tre lauree (in chimicafarmacia e biologia) e una venticinquennale attività di industriale, vendette la sua prospera azienda e si recò all’età di 50 anni in Brasile come missionario laico, dove mise a disposizione il suo ricco patrimonio per la costruzione di ospedali, lebbrosari, centri sociali e di accoglienza, oltre che conventi e scuole. Un famoso settimanale brasiliano lo definì “L’uomo più buono del Brasile”. È considerato venerabile dalla Chiesa cattolica.
   Anche il fenomeno del volontariato, nato dalla necessità di supplire al vuoto delle istituzioni pubbliche, è un modo per vivere la solidarietà mettendo gratuitamente a disposizione di chi ha bisogno il proprio tempo, le proprie risorse e competenze. Nel panorama variegato del volontariato è in crescita anche il numero dei giovani che si impegnano nelle forme più diverse: dall’assistenza ai senza tetto, all’aiuto nelle situazioni di emergenza come terremoti, alluvioni: sono i cosiddetti angeli della strada o anche angeli del fango.
  “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” perché è la gioia di chi sente di aver realizzato quella parte più intima e profonda di se stesso che risponde al disegno di amore che Dio ha pensato dall’eternità per ciascuno di noi.
   Scrive Papa Francesco nell’Evangelii gaudium al n. 2: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto».

B – La vita chiama

Sparirà con me ciò che trattengo, ma ciò che avrò donato resterà nelle mani di tutti.  (Tagore)

“Non si è felici nell’opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla Sua grandezza! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio” (Lettera a Diogneto)

Un imprenditore agrario, di scarsa scienza, partecipava ogni anno alla fiera più importante della città. Lo straordinario sta nel fatto che vinceva sempre, anno dopo anno, un trofeo: quello per il “miglior mais dell’anno”.
 Portava il mais alla fiera e usciva con la fascia azzurra che gli attraversava il petto.
In una di quelle occasioni, un reporter della tivù gli chiese come facesse a vincere tutti gli anni la competizione per il miglior granoturco.
La risposta lo lasciò perplesso: il brav’uomo gli confidò sorridendo che distribuiva i suoi semi migliori a tutti i coltivatori vicini.
“Come mai condividete con i vicini i semi migliori, se essi sono vostri concorrenti?”
L’agricoltore rispose: “Ma è semplice! Il vento raccoglie il polline del mais maturo e lo porta da campo a campo. Se i miei vicini coltivassero un mais inferiore al mio, l’impollinazione farebbe degenerare la qualità del mio mais. Così se voglio coltivare un mais buono, devo aiutarli a coltivare il mais migliore, consegnando ad essi i miei semi più buoni”.

Egoista? Opportunista? Astuto?
Siamo sicuri che anche noi daremmo i semi migliori agli altri?
Eppure “É dando, che si riceve”. Sembra un paradosso … ma è così!
Fare del bene, …mi fa bene!

La parrocchia è  come un grande campo, dove ognuno può portare il suo contributo per migliorare la vita di tutti. E il bello è che c’è lavoro per tutti. E ancora più bello è che, aiutando gli altri, migliora anche la vita della nostra famiglia.

Come possiamo allargare i nostri orizzonti? Come possiamo aprirci agli altri?

Ci sono delle belle consuetudini:
la cena della via: gli abitanti di una via decidono di cenare insieme. Si organizzano per trovare un luogo adatto, per apparecchiare in modo simpatico, per invitare anche quella famiglia appena arrivata, o quella che è un po’ riservata. Per la cena, la modalità è: porta e offri, oppure le grigliate. Si sta insieme in allegria, ci si conosce e piano piano si diventa più solidali, più vicini, più amici: una famiglia di famiglie.
La gara degli aquiloni, dove papà e figli lavorano alacremente per preparare aquiloni per tutti.
La castagnata: è più bello insieme.
Il rosario nelle case, durante il mese di maggio. Apro la mia casa e invito altre famiglie a pregare.
Partecipare insieme alle attività della Parrocchia.

Chi non fa, non sbaglia, ma anche non produce e non cambia nulla. E poi i talenti si moltiplicano se li facciamo girare, non se li teniamo nascosti.

C – Attivazione
In piccolo o grande gruppo: riflettere su quali altre possibilità possiamo proporre per aprirci agli altri, perchè la parrocchia diventi sempre più una famiglia di famiglie.

D – In ascolto della Parola

Mese di FEBBRAIO
Parola da concettualizzare: FARE MEMORIA

QUARTO INCONTRO – focus: memoria, ricordo, “fare memoria”
Sviluppo della tematica: far rivivere, rendere presente il fatto.

“La memoria del passato si è fatta debole,
 in realtà non mancano i ricordi che ci potrebbero sostenere a dare fiato”
(cardinale Martini)
“La memoria è determinante.
Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualcosa che va al di là,
perché con la memoria si possono fare bilanci, delle considerazioni, delle scelte”
(Mario Rigoni Stern)
La comprensione

A.1: memoria autobiografica…memoria storica

Nel processo del raccontare la propria storia – nel “raccontar – si”- l’essere umano compie un esercizio di memoria, perché riprende i fili della propria esistenza passata e li riannoda, cercando di dare un senso al proprio percorso di vita. La memoria si fa autobiografia poiché procede unendo i ricordi, cercando di seguire un ordine temporale nel rispetto di una certa continuità. Parliamo, invece, di memoria storica quando ricostruiamo fedelmente, supportati da fonti e documenti, fatti ed eventi accaduti nel tempo. A tale proposito due date, fra tutte, meritano la nostra attenzione in questa riflessione relativa alla “memoria e al ricordo” del nostro passato recente. La prima: il 27 gennaio -”giornata della memoria”: istituita ufficialmente dalla Repubblica italiana nel 2000 per ricordare l’orrore a cui furono sottoposti non solo gli Ebrei con la Shoah, ma anche dissidenti politici, Rom e Sinti, omosessuali, diversamente abili, all’epoca nazista. L’intento è quello di tenere vivo il ricordo perché non si possa più perpetrare un simile crimine contro uomini, donne e bambini, rei solo di appartenere ad una confessione religiosa, ad una razza, ad una idea politica, ad una identità “diversa”. Scrive Liliana Segre “da testimone – della pagina più buia della storia del ‘900 - ho voluto rompere il silenzio perché solo onorando e rispettando la memoria si mantiene in salute la democrazia (…) facendo crescere uno spazio comune dove le persone siano riconosciute uguali in dignità e diritti”.La seconda data: il 10 febbraio - “giornata del ricordo”:istituita nel 2004 la ricorrenza vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.

“Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo”
(La frase si trova incisa in trenta lingue su un monumento nel campo di concentramento a Dachau)

“Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare
(Primo Levi)

A.2: dalla memoria al fare memoria
Fare memoria non vuol dire ricordare, Vuol dire rileggere un fatto, una persona, uno scritto, trasportarlo nel presente, renderlo  attuale, vicino.
Scrive Cristina Mazza: “E’ nella memoria dei figli, riconoscere quanto è stato fatto per loro e prima o poi restituire. Restituire tutto quello che hanno imparato, sofferto, mangiato, come fosse un grande regalo a chi si è dedicato a loro, a chi li ha amati, a chi ha investito perché diventassero “brave persone” capaci di camminare nel mondo. Dobbiamo fare memoria di quello che è stato perché la memoria non fa dimenticare il passato, ma lo rende vivo dentro di noi, sempre (…)La memoria non è “zavorra” né tanto meno legame a doppio nodo a ciò che è stato e che non c’è più (…) deve essere uno scivolo verso l’autonomia, la presa di responsabilità, lo sguardo al futuro e alle nuove strategie di azione, ma tenendo sempre il riferimento, avendo sempre uno sguardo dentro la memoria perché è lì e solo lì che abbiamo le risposte, che troviamo il senso, che rimettiamo sulla giusta via i nostri piedi. La memoria non è il ricordo infarcito di emozione. La memoria è la nostra storia, è quello da cui siamo partiti. La memoria è il sogno che non si spegne mai e che dura in eterno se è vero sogno. La memoria non arriva dopo la morte di qualcuno. La memoria è ieri, la memoria è già domani, la memoria è il minuto trascorso e quello che arriverà. La memoria sono già IO. Noi siamo la nostra memoria. E solo nel fare memoria ci ritroviamo, spalla spalla nel cammino. Abbiamo il dovere della storia, che non è di qualcun altro, è quella che altri prima hanno fatto di noi e con noi. Attimi, gesti, pensieri, soli e lune, figli e figlie, cammini e soste, guerre e riappacificazioni, distruzione e costruzione (…) i binomi eterni della storia (…) Ma dentro questa storia.”
         A.3:  fare memoria dell’Eucarestia
Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me
(Lc. 22, 19)
E’ chiaro, preciso, sicuro, il comando che Gesù ha dato agli Apostoli, sostiene don Rodolfo Reviglio, – un vero e proprio mandato, il giorno prima della sua morte – di “fare memoria” dell’istituzione dell’Eucarestia, del dono del suo corpo e del suo sangue “per la remissione dei peccati”. Solo Matteo (26,28) accenna alla remissione dei peccati (frutto del sangue versato), mentre Luca (22, 19), come pure Paolo (1 Corinzi 11,24 – 25), a lasciarci il comando di Gesù di ripetere il suo dono facendo memoria di lui. Fin dall’inizio – da subito dopo il dono dello Spirito Santo a Pentecoste – gli Apostoli hanno ubbidito al comando di Gesù ed “erano perseveranti(…) nella frazione del Pane” (Atti 2,42).
Ma in che cosa consiste questo “fare memoria”?Non si tratta certo di un semplice ricordare, tramandare, non dimenticare, come si accennava in apertura. La “memoria” a cui allude Gesù è una “specialissima Presenza” (come ha scritto Paolo VI nell’enciclica Mysterium fidei), cioè un modo reale, vero, di “far rivivere” ciò che fu compiuto allora (anche se si tratta di un esistere in modo sacramentale, non fisico, ma nemmeno solo simbolico).
Abbiamo tanti modi, noi, per fare memoria: conserviamo lettere, immagini, oggetti di persone care; i libri di storia tramandano notizie a distanza di secoli e millenni. Nel cuore, poi, conserviamo ricordi straordinari di persone amate e forse decedute da parecchi anni.
Nell’Eucarestia, invece, la “memoria” rende presente il fatto, perché sotto l’apparenza del pane e del vino sappiamo che esiste realmente tutto Gesù (corpo, sangue, anima e divinità), nel suo gesto sublime di donarsi e consegnarsi a noi. Possiamo dire che la Chiesa – lungo i secoli -  continua a vivere la memoria eucaristica e, attraverso questa, a vivere la memoria di tutta la vita di Gesù. E questa memoria eucaristica, a chi la trasmettiamo? I primi catechisti dei bambini sono i loro genitori, nella misura e nel modo con cui vivono essi per primi la memoria eucaristica.


La vita chiama
Le persone hanno una storia, gli animali hanno una storia, le cose hanno una storia. Oltre ad una storia legata al chi o al che cosa, perché tutto ha una sua storia, ci sono anche storie di relazione.
Un animale mi ricorda (…)
Un oggetto mi ricorda (…)
Qual è il ricordo più bello legato a te marito – padre, a te moglie – madre, a voi figli – fratelli?
Che patrimonio ricco di emozioni è la famiglia!
Basta aprire lo scrigno e ne usciranno narrazioni divertenti, scherzose, curiose, di reciproca conoscenza, di storie finite bene, di storie finite male, ma che hanno insegnato tanto.
Altro che televisione durante i pasti!
Durante i pasti potremmo accendere l’emittente di famiglia e ne sentiremmo delle belle!
Certamente occorre che qualcuno cominci, e noi crediamo che a cominciare debbano essere i genitori. Sono loro che creano il clima nella famiglia e che sono in grado di coinvolgere, essendo i capifila nel cammino di vita dei loro figli.
Oltre a raccontare esperienze di oggi, di ieri o magari di una settimana fa, sicuramente ai vostri figli interessa il racconto della vostra vita.

C – L’attivazione
Iniziate a raccontare come vi siete conosciuti, che cosa ha fatto sì che il papà, tra tante donne, scegliesse proprio la mamma, e viceversa, proprio il papà.
Quanti messaggi sono chiusi in questa narrazione e sicuramente interessa ai figli perché,in fondo, è il big bang anche della loro storia.
Poi ci sono le foto, i filmini (…)
E la famiglia vive coesione, intimità, sicurezza, fiducia (…)

D – In ascolto della Parola


Mese di MARZO
Parola da concettualizzare: LODARE


QUINTO INCONTRO – focus: onorare, osannare, elogiare (…) biasimare, criticare, denigrare.
Sviluppo della tematica: lodare Dio ed il creato


“La lode è una lusinga abile, nascosta e raffinata,
che soddisfa in maniera diversa chi la dà e chi la riceve.
L’uno la prende come una ricompensa dei suoi meriti;
l’altro la dà per far notare la sua equità e il suo discernimento”
(Francois de La Rochefoucauld)

“O Dio, mio re, voglio esaltarti
E benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
senza fine è la tua grandezza”
(Salmo 145- Lode al Signore re)
A – La comprensione

Con il lodare e la lode impariamo ad essere familiari fin dall’infanzia: sono strumenti cardinali di riconoscimento e di approvazione sociale. Ora, il lodare è un atto verbale: non si loda a gesti. Consiste nel pronunciare (o scrivere) un elogio verso qualcuno o qualcosa, apprezzandone qualità e azioni. Lodo la tua risposta equilibrata davanti alla provocazione, lodo la determinazione che ti ha portato ad un risultato eccezionale, lodo la tua squisita cucina. Tuttavia, la lode non sempre è autentica e sincera; talvolta è adulazione,”lusinga abile e raffinata” afferma Francois de La Rochefoucauld. Quando non si esprime nel suo contrario: biasimo, critica, denigrazione. Nella vita di ciascuno si alternano le diverse accezioni positive e meno positive “ due volte nella polvere (…)due volte sull’altar” ci ricorda Alessandro Manzoni nell’ode “5 Maggio” a proposito della vicenda storica e umana di Napoleone Bonaparte caratterizzata da grandezza e sconfitta.
Recuperando la riflessione di apertura, la lode quale apprezzamento può acquisire, anche, il profilo di una celebrazione, di una vera esaltazione: la preghiera è ricca di lodi elevate a Dio-
“Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode(…)
Popoli, benedite il nostro Dio,
fate risuonare la voce della sua lode
recita il Salmo 66, 2.8. Lodare è un verbo dal suono evocativo, come ci aspettiamo faccia un vero approvare: onorare, osannare, (…) esaltare:
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni
nel paese che il Signore, tuo Dio, tu dà.
Leggiamo nell’AT, (Esodo 20,12) quando JHWH stipula la sua Alleanza sul Sinai con il popolo di Israele
Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!”
Nel NT, l’evangelista Marco (11, 9-10) ci fa memoria della lode trionfale con cui la folla di Gerusalemme  accoglie e accompagna l’ingresso di Gesù di Nazareth nella città.
Altissimo, onnipotente, bon Signore,
tue so le laude, la gloria e l’honore et omne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullo homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mì Signore, cum tucte le tue creature,
specialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato sì, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato sì, mi’ Signore, per frate vento
Et per aeree t nubili et sereno et omne tempo
per lo quale a le tue creature dài sostentamento.
Laudato sì, mì Signore, per sor’acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato sì, mì Signore, per frate focu
Per lo quale ennallumini la nocte:
et ello è bello, et iocundo et robustoso et forte.
Laudato sì, mì Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato sì, mì Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
Et sostegno infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato sì, mì Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo homo vivente po’ skappare:
guai a’cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate et benedicete mì Signore et rengratiate
E serviateli cum grande humilitate.
                                                        (S. Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole)

Con questo ultimo celebre canto di lode nasce, nel 1225, la nostra letteratura. E in realtà la lode è l’arteria principale che irrora tutta la letteratura delle origini: nelle confraternite si diffondono le laudi (preghiere cantate) mentre, in ambito profano, i poeti cantano le lodi della donna amata. Certo questo testo, scrive Lucia Masetti (dottoranda in studi umanistici all’Università Cattolica di Milano), non è un inno alla natura, ma a Dio: infatti nella sensibilità medioevale ogni aspetto della vita è segno del divino. Tuttavia questo non svilisce la bellezza  dei singoli elementi; al contrario, forse Francesco d’Assisi scrive proprio in polemica con l’eresia Catara che svalutava la terra in favore del cielo. La chiave del testo sta forse nella particella “per”, che introduce quasi tutti gli elementi elencati. La spiegazione può sembrare immediata: “sii lodato a causa di (…)” Tuttavia “per”può significare anche “attraverso”: la lode arriverebbe a Dio per mezzo del creato, che è espressione della sua potenza e del suo amore. Del resto, secondo la Bibbia, è proprio Dio a pronunciare la prima lode: “ E vide che era cosa buona”; una lode performativa che, affermando la bellezza, la fa essere. Ed anche la lode di San Francesco ha una componente performativa: non solo valorizza ciò che incontra, ma trasforma anche il significato delle esperienze negative.
Dopo gli elementi naturali, infatti, l’autore cita “infermità e tribolazione”, e perfino “sorella morte”: un rovesciamento che ha dell’assurdo. Eppure, in qualche modo San Francesco riesce a ricondurre tutta l’esperienza umana sotto il segno della gratitudine. Così la vita diventa in pratica un circuito di lode, che da Dio va all’uomo e viceversa: un circolo in cui la bellezza viene riaffermata e la sofferenza, misteriosamente riscattata.
Papa Francesco, per la prima Enciclica interamente ascrivibile alla sua paternità “Laudato sì”, sceglie come tematica l’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, la “cura della casa comune”e su questo aspetto così complesso oggi intende “entrare in dialogo con tutti” come fece Francesco d’Assisi molti secoli fa. La lode, per papa Francesco, scrive Enzo Bianchi, priore di Bose, nell’introduzione- commento al testo dell’enciclica, non è solo celebrazione della natura e delle sue bellezze (compreso l’uomo) ma anche consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della situazione – limite in cui i nostri comportamenti- individuali, collettivi, politici, economici - hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza dell’irreversibilità di certi processi ormai innescati; consapevolezza della necessità di far fronte comune per fermare il degrado ed invertire la rotta. Responsabilità verso il bene comune, verso la creazione che è stata affidata all’essere umano “perché la coltivasse e la custodisse” quale “amministratore responsabile”.

Queste riflessioni ci hanno consentito di comprendere come, talvolta, alla lode si sostituisca il biasimo o la critica. Non è scontato, infatti, riconoscere il grande dono della vita, della natura incontaminata, (…) della presenza discreta e silenziosa delle persone che ci stanno accanto e che si prodigano, al meglio, per il nostro ben – essere. Non chiedere nulla non è segno di superficialità o sottovalutazione. Spetta a ciascuno di noi cogliere l’impegno, la dedizione e riconoscerlo anche con un semplice GRAZIE!

B – La vita chiama
“Se pensate qualcosa di carino su una persona, ditegliela sempre: non potete immaginare il potere di una gentilezza inaspettata”

Dalla cucina, come al solito accadeva da lungo tempo, la donna disse: “E’ pronto! A tavola!” Il marito, che leggeva il giornale, e i due figli, che guardavano la televisione e ascoltavano musica, si misero rumorosamente a tavola e, in men che non si dica, avevano già le posate tra le mani, pronti ad annientare ogni cosa sarebbe passata sotto i loro occhi.
La donna arrivò ma, invece delle solite e profumate pietanze, quel giorno mise a tavola un bel mucchietto di profumato fieno(…) “Ma…ma!”, fu la reazione stupita dei tre, “Ma sei diventata matta?!” La donna li guardò e rispose tranquilla: “Beh, come avrei potuto immaginare che ve ne sareste accorti? Cucino per voi da vent’anni e in tutto questo tempo non ho mai sentito da parte vostra una parola che mi facesse capire quanto apprezzate quello che cucino per voi!”…

Il racconto è un po’ grottesco, ma efficace.
In vent’anni, mai una lode, un riconoscimento, un grazie.
Perché ci accorgiamo, sempre e subito, se la minestra è salata e non ci accorgiamo invece di tutte quelle volte in cui è buona, se non ottima?

Dire “grazie” non è una questione di galateo. Significa dire ad una persona: “Toh,mi sono accorto che tu esisti”. Per questo il mondo è pieno di persone invisibili.

Una lode, un battimani, magari coinvolgendo i figli, fa la differenza, trasforma l’ora dei pasti in un momento piacevole di condivisione ed intimità.
Io credo che dovremmo chiedere scusa anche per tutti i “grazie” non detti o dimenticati.
Teniamo conto che, se non si vive la gratitudine in casa, è difficile viverla con gli altri e con Dio.
I figli imparano, non da quello che diciamo ma da quello che facciamo, imparano con gli occhi, non con le orecchie.
Insegnare a riconoscere il bello, il buono, il bene, per lodare le persone e Dio.

C - L’attivazione
Per quali cose potrei  lodare mia moglie – mio marito, i nostri figli?
Diamo alcuni suggerimenti:
Chi si accerta che l’auto sia efficiente?
Chi porta fuori la spazzatura?
Chi stira?
Chi aiuta chi, a fare cosa?
Chi cura l’amministrazione della casa?
Chi consola?
Per che cosa possiamo lodare Dio?
In piccoli gruppi cercare in quante occasioni, grandi o feriali, potremmo lodare – ringraziare.

D – In ascolto della parola

E - Bibliografia di riferimento:
Ti affido all’amore di Dio, Preghiere di benedizioni per i nostri figli, Porziuncola edizioni
F. Morandi, Marcello Candia, «Un uomo dal cuore d’oro», Paoline
Madre Teresa, Sii la mia Luce, BUR


Quinto anno



Mese di SETTEMBRE
presentazione del percorso educativo/formativo

INCONTRO PROPEDEUTICO - Focus: Educarsi per educare

“Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”
Francois Rabelais
Obiettivi generali:
Diventare promotori di autostima per favorire nei propri figli capacità di autonomia e senso di responsabilità.
Offrire contenuti di valore capaci di orientare la persona nelle scelte di vita.
Competenze:
Proporsi come testimoni credibili e coerenti.
Saper promuovere processi di crescita umana e cristiana.

Proposta per riflettere: Il fuoco
Sei persone, colte dal caso nel buio di una gelida nottata, su un’isola deserta, si ritrovarono ciascuna con un pezzo di legno in mano. Non c’era altra legna nell’isola persa nelle brume del mare del Nord.
 Al centro un piccolo fuoco moriva lentamente per mancanza di combustibile. Il freddo si faceva sempre più insopportabile.
La prima persona era una donna, ma il guizzo della fiamma illuminò il volto di un immigrato dalla pelle scura. La donna se ne accorse. Strinse il pugno attorno al suo pezzo di legno. Perché consumare il suo legno per scaldare uno scansafatiche venuto a rubare pane e lavoro?
L’uomo che stava al suo fianco, vide che uno non era del suo partito. Mai e poi mai avrebbe sprecato il suo bel pezzo di legno per un avversario politico.
La terza persona era vestita malamente e si avvolse ancora di più nel giaccone bisunto, nascondendo il suo pezzo di legno. Il suo vicino era certamente ricco. Perché doveva usare il suo ramo per un ozioso riccone?
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, alle due ville, alle quattro automobili e al sostanzioso conto in banca. Le batterie del suo telefonino erano scariche,doveva conservare il suo pezzo di legno a tutti i costi e non consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una smorfia di vendetta nella fievole luce del fuoco ormai quasi spento. Stringeva forte il pugno attorno al suo pezzo di legno. Sapeva bene che tutti quei bianchi lo disprezzavano. Non avrebbe mai messo il suo pezzo di legno nelle braci del fuoco. Era arrivato il momento della vendetta.
L’ultimo membro di quel mesto gruppetto era un tipo gretto e diffidente. Non faceva nulla se non per profitto. Dare soltanto a chi dà, era il suo motto preferito. Me lo devono pagare caro questo pezzo di legno, pensa.

Li trovarono così, con i pezzi di legno stretti nei pugni, immobili nella morte per assideramento.
Non erano morti per il freddo di fuori, erano morti per il freddo “di dentro”.

Forse anche nella tua famiglia, nella tua comunità, davanti a te c’è un fuoco che sta morendo. Di certo stringi un pezzo di legno tra le mani. Che ne farai?


Percorso formativo dei genitori: tempi e nodi tematici:

Settembre
Ottobre
Novembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Incontro propedeutico
Essere chiamati
Rispondere
Amare
Annunciare
Essere sale e luce


Quadro di riferimento della catechesi del/della figlio/a
Tema generale: LA CHIESA

Bambini/e di 10 anni – classe quinta -  scuola primaria

Quadro di riferimento:
Nucleo generativo
atteggiamento
preghiera
Vangelo di riferimento
Icona biblica di riferimento
Tempo liturgico da vivere e valorizzare
segno
Gesto di carità


La Chiesa


Incontrare la Chiesa nel mondo

Credo

La chiamata dei discepoli;i discepoli di Emmaus

Abramo, padre della fede
 (Gen 12, 22)

Da Pasqua a Pentecoste


Il Vangelo

Gesto missionario



Mese di OTTOBRE
Parola da concettualizzare: ESSERE CHIAMATI


PRIMO INCONTRO

focus: Prendere coscienza del valore dell’essere chiamati

Sviluppo della tematica: Non sono ammesse mezze misure: siamo chiamati a puntare alto!


“C’è sempre, nella nostra vita, una misteriosa coerenza, un filo conduttore,
una trama che qualcuno chiama vocazione, o chiamata, o addirittura destino.
Che dobbiamo saper riconoscere e che dobbiamo avere il coraggio di non tradire
se vogliamo restare noi stessi, e fare qualcosa che vale”.
Francesco Alberoni

«Andando via di là, Gesù vide un uomo,
seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo,
e gli disse: “Seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì». 
Mt 9,9


A – Comprensione

A. 1: Prendere in mano la propria vita
   La forma passiva di questo verbo, essere chiamati, rimanda all’origine della chiamata e sollecita alcuni interrogativi importanti per dare un senso alla nostra vita:
Da chi siamo chiamati?
A che cosa siamo chiamati?
   Dalla risposta che ognuno di noi darà a queste domande dipende la consistenza e il valore della sua vita. Si può vivere alla giornata secondo la logica del “carpe diem” e, catturati nel vortice del ritmo frenetico che ci viene imposto, trascorrere i nostri giorni senza “prendere in mano” seriamente la propria vita: quasi fossimo stati “gettati nel mondo” senza motivo e senza scopo.
   Si porta avanti allora un’esistenza inautentica che non può appagarci perché non risponde a quello che noi realmente e radicalmente siamo, non risponde alla nostra essenza, alla nostra vera identità di esseri pensanti, capaci di interrogarsi e cogliere il senso profondo della propria vita.
   Scrive Pascal: “L’uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa”. È la nostra capacità di pensare che ci distingue da ogni altro essere vivente e ci fa essere creature “speciali”, non “gettate nel mondo”, ma create da un Dio che ci ha voluti “a sua immagine e somiglianza” e ci ha chiamati ad essere unici e irrepetibili, ad occupare un posto nel mondo che nessun altro può occupare e ad essere quello che nessun altro può essere.
   Scrive S. Giovanni Paolo II: “L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio. L’altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale”.

A.2: Siamo fatti per le altezze

   Questa pienezza di vita si può declinare concretamente e diventa chiamata all’amore, perché siamo stati creati dall’Amore per amare ed essere amati. L’amore è la vocazione fondamentale innata della persona umana come immagine di Dio e il matrimonio è uno dei modi specifici di realizzare integralmente questa vocazione della persona umana all’amore. Proprio per questo è il canale che permette la realizzazione personale degli sposi e la creazione di una nuova vita.
   La generazione infatti non può essere ridotta ad un fatto puramente biologico: essa investe il tutto della persona. Questa esperienza nasce dall’amore, cresce e si manifesta nell’amore. Il figlio può essere generato solo nell’amore e per amore, attraverso l’atto coniugale.
   Il generare è collaborazione con l’azione di Dio, creatore e padre, che chiama gli sposi a “dare la vita”e a partecipare così alla sua stessa opera creativa.
   Gli sposi divengono così servitori gioiosi del disegno di Dio. L’atto del generare è accogliere un dono e il primo atto educativo è la capacità di riconoscere nel figlio questo dono divino.
   Quale miracolo più grande di una vita che cresce nel grembo materno! A quali grandi cose ci chiama il Signore! Quali altezze ci fa raggiungere!
   Egli vuole che la nostra vita sia realizzata in pienezza, sempre, ma vuole anche che noi diventiamo per i nostri figli o per chiunque fa parte della nostra vita “educatori di aquile e non di galline”. Dobbiamo vivere e invitare a vivere secondo la nostra più autentica identità, quella di figli di Dio, creati a “sua immagine e somiglianza”.
   Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica “Gaudete et exsultate” scrive che il Signore “ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente”. Santità è una parola che non entra solitamente nel nostro vocabolario, la riserviamo a coloro che, lontani dalle occupazioni ordinarie, si dedicano alla preghiera. «Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali». (Gaudete et exsultate 14). 

B – La vita chiama

Un uomo trovò un uovo di aquila sulla cima di un monte e lo mise insieme alle uova che dovevano essere covate da una gallina. Al tempo opportuno l’aquilotto nacque con gli altri pulcini. Crebbe con loro, imparò a chiocciare, razzolare, a cercare vermiciattoli, limitandosi solo a salire sui rami bassi delle piante, proprio come le galline. La sua vita trascorreva nella consapevolezza di essere una gallina. Un giorno, ormai vecchia, l’aquila alzando gli occhi al cielo, vide un uccello stupendo volteggiare liberamente e senza sforzo nell’azzurro del cielo.
La vecchia aquila ne restò impressionata e chiese alla sua vicina : “Che uccello è quello?”.
Quella rispose : “Oh, è l’aquila, la regina dei cieli. Ma non pensarci. Noi viviamo sulla terra perché siamo solo galline.
La vecchia aquila non guardò più in cielo e morì convinta di essere gallina.

C – Attivazione (confronto in piccolo  o grande gruppo)

Anche noi, spesso, nella nostra vita di relazione e soprattutto per quel che riguarda la sfera spirituale, viviamo al di sotto delle nostre possibilità. Ci accontentiamo del minimo sindacale. Eppure con il battesimo siamo diventati sacerdoti, re e profeti. Siamo delle aquile, chiamate a vivere per grandi ideali, non per razzolare.
La storia è deludente, non ha un bel finale. Allora insieme potremmo crearne uno più dignitoso, più esaltante.
Prepariamo un finale migliore per l’aquila e poi proviamo ad  …. applicarlo a noi.

Anche i nostri figli potrebbero adagiarsi e vivacchiare o essere aiutati a credere in grandi valori e ideali e a spendersi per essi.
Invece di comprare a tuo figlio tutto ciò che non hai avuto, insegnagli tutto ciò che non ti hanno insegnato.
E cioè cosa potresti insegnare?

D – In ascolto della parola


Mese di NOVEMBRE
Parola da concettualizzare: RISPONDERE


PRIMO INCONTRO – focus: risposte quotidiane, risposte alle domande esistenziali, risposte come “chiamata”

Sviluppo della tematica: ogni risposta implica un impegno ed una promessa

A – la comprensione
“ Prima avevamo un sacco di domande senza risposte.
Ora, con l’avvento dei computer, abbiamo un sacco di risposte senza domande”
(Peter Alexander Ustinov, attore, regista, scrittore britannico)

“Solo il tempo ti darà le risposte che stai cercando,
e te le darà quando avrai dimenticato le domande”
(Osho Rajneesh, mistico e maestro di spiritualità indiano)

“Domandare è lecito, rispondere è cortesia”
(proverbio)
1 – Introduzione
Nella comunicazione interpersonale, di norma, ad una domanda segue una risposta, più o meno chiara od argomentata.. Rispondere, infatti, richiede abilità come: l’ascolto, l’empatia, la cordialità; per cui non risulta così scontato che la risposta sia pertinente, ossia restituisca un’autenticità dell’ascolto e l’interlocutore si senta compreso nei suoi bisogni. Talvolta, ad una domanda può seguire un silenzio se non si desidera rispondere o se non si è prestato ascolto o compreso quando richiesto.
Risponde, con sicurezza, lo studente preparato durante un’interrogazione; tarda a rispondere il bambino coinvolto nel gioco al richiamo dei genitori; si risponde in modo scortese quando si è irritati e ci si giustifica quando si è richiamati a torto o a ragione perché troppo concentrati davanti al video della TV o allo schermo di uno smartphone. Risposte complesse, espanse, lunghe riflessioni sulla sofferenza esistenziale, la compassione, (…) la morte, giungono da chi è stato provato dalla vita e ne restituisce il valore profondo.
Quante risposte affrettate, non soppesate! Bisognerebbe fare sospensione di giudizio prima di rispondere per evitare letture distorte della realtà, pensieri modellati su pregiudizi o luoghi comuni.
Comunque sia, l’azione del rispondere implica impegno, promessa, assunzione di responsabilità, ricordando l’etimologia latina “re –spondeo”, che a sua volta rimanda a “sponsio”, da cui sponsale.

“ Da dove viene questo bisogno quest’ansia di risolvere i grandi misteri della vita?
Quando anche la più semplice delle domande non ha risposta.
 Perché esistiamo? Che cos’è l’anima? Perché sogniamo?
Forse sarebbe più comodo fare finta di niente, voltarsi dall’altra parte.
Ma non è nella natura umana.
Non è per questo che siamo qui”
(dal film: Heroes)
2 – Per rispondere alle domande profonde che ognuno di noi si porta dentro
All’inizio del secolo da poco concluso un filosofo aveva affermato: “Dio è morto” e abbiamo vissuto lunghi periodi con la presenza di ideologie contrarie alla fede (marxismo, nazismo, anticlericalismo), sostiene il filosofo della storia Vittorio Possenti, a cui è seguita la lunga onda della secolarizzazione, che tende a leggere la realtà proprio “ come se Dio non ci fosse”. Siamo un po’ tutti, in modo diverso, alla ricerca o vogliamo capire meglio il tempo in cui viviamo, oppure desideriamo confermare la nostra fede o ritrovarne le motivazioni e le ragioni.
Per rispondere alle domande profonde che ci portiamo dentro, a cominciare da quella fondamentale: la nostra vita sulla terra ha un senso oppure no? Potremmo elencarne alcune: Da dove vengo e dove vado? Perché vivo? Perché la sofferenza e l’ingiustizia della malattia? Perché la morte? Cosa ci sarà dopo la morte?
Se guardiamo dentro noi stessi, sostiene Diego Bona esponente dell’Oasi della Parola, queste domande affiorano insistentemente e non è neppure facile rispondere, ma sono esigenti e chiedono una risposta. Molti sfuggono a questi interrogativi, ma è necessario trovare una risposta per dare un senso unitario alla vita. Senza le domande di senso e la ricerca sincera di una soluzione si finisce per sprecare la vita, dominati solo dalle cose immediate,di essere vissuti invano. E’ vero che tra gli uomini e le donne del nostro tempo è subentrata una certa fatica del pensare e si è impostata l’illusione dell’effimero (tanto rumore, tanta musica, tanta TV, tanto stordimento,…). Questa strada è già stata percorsa da tanti prima di noi, come scrive Pascal: gli uomini non avendo potuto sconfiggere la morte, la miseria, l’ignoranza hanno deciso, per poter essere felici, di non pensarci. Alcuni poi pensano che lo sviluppo delle scienze ci porterà a risolvere queste domande, ma nessuna scienza sperimentale, nessun computer, anche il più sofisticato, può rispondere a queste domande profonde. “ Viene il momento – dice Giovanni Paolo II- per tutti in cui, lo si ammetta o no, ognuno ha bisogno di ancorare la propria esistenza ad una verità conosciuta come definitiva, ad una certezza morale, no più sottoposta al dubbio”. Abbiamo bisogno di capire e di vedere: la verità è un’esigenza fondamentale dell’uomo. Basta vedere quello che avviene già nel bambino che continuamente domanda: perché? E non si acquieta finché non trova la risposta.

Occorre mantenere vive le domande ed i problemi del senso perché toccano la sfera esistenziale e nessuno ne è escluso. Le domande di senso non sono una fuga, tanto meno una imposizione estranea ed esterna: nascono dalla libertà dell’uomo che viene a trovarsi davanti interrogativi della sua vita a cui deve una risposta in grado di guidare la sua esistenza.

Scienza e fede non sono in contrapposizione; la scienza si chiede “come” è accaduto un evento; la fede si chiede “perché”: ogni formulazione esige una risposta pertinente e coerente con la domanda posta.

Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito;
egli le ha chiamate ed hanno risposto: “Eccoci!”
e hanno brillato di gioia per colui che le ha create”
(Baruc 3, 34-35)

A.3 La risposta di: Abramo, Maria,…dei primi discepoli, di Paolo.
Abramo, Maria, i primi quattro discepoli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, Paolo sono figure emblematiche di risposte - ad una chiamata- che, pur nella differenziazione dello scopo, sono accumunate  da una fiducia totale in Dio e nel suo progetto di salvezza dell’uomo e dell’umanità intera.
Abramo, denominato il “padre di tutti i credenti”, riceve da Dio l’ordine di lasciare la città di Ur in Caldea alla ricerca di una terra che Lui gli avrebbe indicato. “Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot” (Gn 12, 4). Leggiamo, ancora,  nella lettera agli Ebrei dell’apostolo Paolo (11, 8) “ Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava”. L’accettazione incondizionata gli ha consentito di diventare il capostipite di una discendenza, all’interno del piano della salvezza “farò di te una grande nazione e ti benedirò”(Gn 12, 2)
“Beata colei che ha creduto”affidandosi totalmente alla volontà del Padre. Alla richiesta dell’angelo di diventare la madre di Gesù l’Emmanuele:”… Maria disse: - Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1, 38) Il suo “Sì” permise di continuare quel progetto di salvezza che avrebbe liberato l’umanità dal peccato compiuto all’origine dei tempi.
Gesù chiama i primi quattro discepoli: i due fratelli Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo. Ancora una volta, come per Abramo e Maria, la chiamata avviene in un momento di vita quotidiana: una giornata di pesca lungo il mare di Galilea e la risposta dei quattro è immediata “(...) Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui” (Mc 1, 20). Lasciare qualcosa per riscoprire un nuovo senso della propria vita: diventare “pescatori di uomini”, contribuendo al progetto di salvezza.
Concludiamo la nostra riflessione sulle risposte dettate dalla fede con la figura di Saulo - Paolo. In un primo momento persecutore accanito della giovane Chiesa cristiana, fu improvvisamente “trasformato” sulla via di Damasco, dall’apparizione di Gesù il Risorto che, manifestandogli la verità della fede cristiana, gli espresse la sua speciale missione di apostolo dei pagani. “Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno,…” (Lettera ai Galati, 1, 15-16)

Nella libertà, come le figure bibliche richiamate, siamo chiamati a dare una risposta, al progetto che Dio, ha delineato per ciascuno di noi. Solo così la nostra vita avrà un senso e sarà appagata la nostra sete di domande.

B – La vita chiama: Il piano
Nella storia c’è una pagina bianca, che siamo chiamati a scrivere. E’ nostra. Ci è affidata. E’ Dio che ci dice:- Scrivila tu!” (Don Luigi Ciotti)

Rispondi con la tua creatività alla missione che Dio ti affida” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium)

Durante l’Ascensione, Gesù getta un’occhiata verso la terra che stava piombando nell’oscurità. Soltanto alcune piccole luci brillavano timidamente sulla città di Gerusalemme.
L’arcangelo Gabriele che era venuto ad accogliere Gesù, gli domandò: “Signore che cosa sono quelle piccole luci?”
“Sono i miei discepoli in preghiera intorno a mia madre. Il mio piano, appena rientrato in cielo, è di inviare loro il mio Spirito, perché quelle fiaccole tremolanti diventino un incendio sempre vivo, che infiammi d’amore, poco a poco, tutti i popoli della terra!”
L’arcangelo Gabriele osò replicare: “ E che farai, Signore se questo piano non riesce?”
Dopo un istante di silenzio, il Signore gli rispose dolcemente: “ Ma io non ho un altro piano(…)”

Ognuno di noi è una piccola fiaccola tremolante nell’immensità della notte. Ma facciamo parte del piano di Dio: siamo indispensabili, perché non ci sono altri piani.
C – l’attivazione
D – In ascolto della parola


Mese di Gennaio
Parola da concettualizzare: Amare


TERZO  INCONTRO – focus: Amare è un’arte da imparare

Sviluppo della tematica: Educarci all’amore vero, infinito ed eterno

“Amare non è guardarsi l’un l’altro,
ma guardare insieme nella stessa direzione.
Antoine de Saint-Exupery

“Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”
Giovanni 13,34

A – Comprensione

A.1: Che cosa vuol dire amare?

 Scrive il grande S. Agostino: «Ama e fa' ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene».
   Ama e fa' ciò che vuoi: la seconda parte di questa affermazione trova il suo giusto senso nella prima parola “Ama”, perché dall’amore «non può procedere se non il bene». La scelta di ciò che devo fare non viene dettata dal mio gusto personale, ma trova il suo criterio di discernimento nella misura della mia capacità di amare.
   È necessario però capire il vero e autentico valore della parola “amare”. Infatti non c’è termine più usato ma anche abusato, spesso distorto e travisato nel suo vero significato; se ne parla tanto, ma spesso a sproposito. Questo però non fa che dimostrare quanto l’amore sia importante e che senza amore non si può vivere. Erich Fromm scrisse che “senza amore l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno”.
  L’amore è importante fin dal momento del nostro concepimento: è stato un atto di amore che ha permesso il nostro primo battito del cuore e così la realizzazione e la felicità di tutta la nostra vita sono stati determinati dalla presenza e dalla qualità dell’amore che abbiamo donato e ricevuto.
   Lo scopo di ogni nostra giornata, la motivazione di tutte le nostre azioni, che ne siamo coscienti o meno, è l’amore. Si potrebbe dire che siamo fatti di amore, ne siamo intessuti nel profondo del nostro essere, perché siamo stati creati dall’Amore che ci ha pensato e voluto a “Sua immagine e somiglianza” Siamo nati per amare e per essere amati: «Questo è il sogno di Dio per l’uomo» ha detto Papa Francesco[18].
   Ma se tutto questo è vero perché esiste il male nelle sue forme più varie? Se è l’amore il motore della vita e del mondo non dovrebbe esserci solo bene? Già S. Agostino si era posto questo problema: Unde malum? Da dove viene il male?
   Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che l’immagine perfetta creata da Dio è stata deturpata dal peccato che ha infranto l’armonia originale e ha indebolito la natura umana rendendola incline al male[19]. Facciamo i conti ogni giorno con le nostre tensioni interiori: il nostro egoismo che prevale sul dono di sé, la rivendicazione dei nostri interessi che dimentica i diritti dell’altro, l’odio che non sempre ha la meglio sull’amore, la vendetta che non lascia spazio al perdono. “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” scrive S. Paolo[20].
  
A.2: Educarci ad amare

Dobbiamo imparare ad amare perché amare è difficile e richiede maturazione e purificazione che passano anche attraverso la strada della rinuncia e del sacrificio, per aprirsi all’altro e prendersene cura. Amare non  è solo “volere bene all’altro” ma molto di più è “volere il bene dell’altro”. Lo dice anche il Piccolo Principe di A. de Saint-Exupéry: «Voler bene significa prendere possesso di qualcosa, di qualcuno. Significa cercare negli altri ciò che riempie le aspettative personali di affetto, di compagnia. Voler bene significa rendere nostro ciò che non ci appartiene, desiderare qualcosa per completarci, perché sentiamo che ci manca qualcosa».
   Amare invece è desiderare che l’altro realizzi in pienezza il suo essere, è volere con tutte le forze la sua felicità, è farsi vicini nei momenti di difficoltà, è vivere per l’altro. L’amore non ha confini né di tempo né di spazio, è universale e abbraccia tutti: vicini e lontani, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, connazionali e stranieri, amici e nemici.
   Il Signore stesso afferma: «Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?» (Mt 5,46). Il problema del “diverso” è oggi particolarmente attuale in una società destinata a diventare sempre più multietnica e spesso siamo tentati di chiuderci nelle nostre sicurezze, assumendo la logica della diffidenza o peggio ancora dell’indifferenza, dell’ “anestesia del cuore” come la chiama Papa Francesco.

A.3: La conoscenza dell’altro apre alla relazione

   C’è una parabola tibetana che racconta di una persona che, camminando nel deserto, scorge in lontananza qualcosa di confuso. Per questo comincia ad avere paura, dato che nella solitudine assoluta della steppa una realtà oscura e misteriosa – forse un animale, una belva pericolosa – non può non inquietare. Avanzando, il viandante scopre, però, che non si tratta di una bestia, bensì di un uomo. Ma la paura non passa, anzi aumenta al pensiero che quella persona possa essere un predone. Tuttavia, si è costretti a procedere fino a quando si è in presenza dell’altro. Allora il viandante alza gli occhi e, a sorpresa, esclama: «È mio fratello che non vedevo da tanti anni!».   

   La lontananza genera timori e incubi; l’uomo deve avvicinarsi all’altro per vincere quella paura per quanto comprensibile essa sia. Rifiutarsi di conoscere l’altro e di incontrarlo equivale a rinunciare a quell’amore solidale che dissolve il terrore e genera la vera società. Qui si prova la capacità di amare che è l’appello più alto del cristianesimo per l’edificazione di un mondo migliore e per realizzare “il sogno di Dio”. 
   L’amore supera i limiti del nostro esistere quotidiano per aprirci all’infinito e all’eterno e per questo è un dono da chiedere più che una capacità da sviluppare con le nostre sole forze. Chi mai riuscirebbe, senza la grazia di Dio, a mettere in pratica l’insegnamento di S. Paolo, espresso nel bellissimo inno alla carità della Lettera ai Corinzi (13, 4-7)? «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».
   «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». (Lc 18,27) 

B – La vita chiama

“L’unica cosa importante, quando ce ne andremo, saranno le tracce d’amore che avremo lasciato”. 
Albert Schweitzer
“Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore”
S. Giovanni della Croce

La bambina stava preparando il suo pacco di natale: avvolgeva una scatola con costosissima carta dorata e impiegava una quantità sproporzionata di fiocchi, nastri e quant’altro.
“Che cosa fai?!” la rimproverò il padre, “Stai sprecando roba costosa!”.
La bambina , con gli occhi pieni di lacrime, si rifugiò in un angolo stringendo al cuore la sua scatola.
La sera della vigilia di Natale, con i suoi passettini da uccellino, si avvicinò al papà e gli porse la scatola avvolta con la preziosa carta da regalo e i coloratissimi nastri.
“E’ per te, papà mio”, mormorò la piccola.
E l’uomo s’intenerì: forse era stato troppo duro con la figlia; dopo tutto quel dono era per lui.
Sciolse il nastro ; sgrovigliò con pazienza la preziosa carta e aprì la scatola… ma era vuota!
La sorpresa sgradita fece emergere tutta la sua irritazione: “E tu hai sprecato tutta questa roba per una scatola vuota?!”.
La bambina mormorò appena tra le lacrime: “Ma non è vuota, papi! Ci ho messo dentro un milione di bacini e tutto il mio amore per te!”.
Per questo, oggi c’è un uomo che, in ufficio, tiene sulla scrivania una scatola da scarpe; e tutti a dirgli: “Ma è vuota!”.
E lui con fierezza: “No, è piena dell’amore della mia bambina!”.

Cerchiamo di fare attenzione alle piccole cose, perché sono il seme di quelle grandi.
I doni sono segno del nostro amore: dicono che sono centrata benevolmente su di te. Non importa se semplici o costosi. Ci sono doni che non costano nulla, eppure hanno un immenso valore.  In ognuno di essi c’è un messaggio da scartare e interpretare.
Quanti doni riceviamo ogni giorno, anche se non hanno la carta dorata! Proviamo a riconoscerli, e a ringraziare. Potrebbe essere un bell’esercizio.
Piccoli doni possono essere messi di nascosto dentro lo zainetto, sotto il cuscino, sotto il piatto ….
Amare è uscire da sé per andare verso l’altro.
Sii più gentile del necessario, perché, ciascuna delle persone che incontri, sta combattendo qualche sorta di battaglia.
Questa preghiera di S. Francesco d’Assisi potrebbe diventare la preghiera da recitare con i propri figli in famiglia

Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
dove è odio, fa ch’io porti amore,
dove è offesa, ch’io porti il perdono,
dove è discordia, ch’io porti la fede,
dove è l’errore, ch’io porti la Verità,
dove è la disperazione, ch’io porti la speranza.

Dove è tristezza, ch’io porti la gioia,
dove sono le tenebre, ch’io porti la luce.
Oh! Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Ad essere compreso, quanto a comprendere.
Ad essere amato, quanto ad amare
Poiché è dando che si riceve:
Perdonando che si è perdonati;
Morendo che si risuscita a Vita Eterna.
Amen.
C – Attivazione (confronto in piccolo  o grande gruppo)

C’è un episodio simpatico o curioso, che puoi raccontare, legato al tema di questo incontro?
Amare non è facile nemmeno nella vita di coppia: la fedeltà nell’amare va conquistata giorno dopo giorno in un continuo dono di sé perché l’amore non conosca mai la morte, secondo un’interpretazione etimologica poco attendibile, ma curiosa, della parola amore che individua nel latino a-mors, cioè senza morte, l'origine del termine. Condividiamo (…)



Mese di FEBBRAIO
Parola da concettualizzare: ANNUNCIARE


QUARTO INCONTRO – focus: Annunciamo quello che sperimentiamo

Sviluppo della tematica: La gioia del Vangelo va annunciata con la vita

“La fede nasce dall’ascolto, e si rafforza nell’annuncio”.
Papa Francesco

«Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia,
che sarà di tutto il popolo: 
oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore,
che è il Cristo Signore»
Lc 2,10-11

A – Comprensione

1 - Significato e valore dell’annuncio.
Annunciare è un termine usato per comunicare notizie di una certa importanza, anche inaspettate, che possono essere liete oppure tristi: si annuncia una nascita, un matrimonio, una laurea, una visita, una vittoria, ma anche si annuncia una morte, l’inizio della guerra, una tragedia.
   L’annuncio di alcune notizie, dato o ricevuto, ci riempie il cuore di gioia, ci fa esultare, ci dà la forza di sostenere le inevitabili difficoltà del nostro cammino esistenziale; a volte invece si tratta di notizie dolorose che segnano di sofferenza le nostre giornate e qui ognuno può, ripercorrendo la propria vita, ricordare bene questi momenti perché sono incisi indelebilmente nella nostra memoria.
   Come non ricordare il giorno in cui abbiamo annunciato la nostra prima Comunione, la Cresima, la data del matrimonio o la nascita di un figlio, il raggiungimento di un diploma o di una laurea, un posto sicuro di lavoro o purtroppo anche la morte di una persona cara. In ogni caso annunciare provoca emozioni forti che, nella gioia o nel dolore, ci hanno maturato e ad ognuno di quegli annunci dobbiamo una parte di noi stessi.

   A.2 -Una società che ha perso l’impatto forte dell’annuncio  

Nell’attuale società della comunicazione in cui siamo bombardati da tante notizie, il più delle volte, negative e allarmanti, rischiamo di non cogliere più lo spessore di un annuncio e la sua carica emotiva: tutto viene livellato. Passiamo dall’annuncio di bambini che muoiono per la fame e la guerra, dalla morte in mare di centinaia di migranti alla pubblicità di sempre nuovi prodotti commerciali, creati dall’inarrestabile macchina della produzione e così le notizie scivolano senza incidere più di tanto sulla nostra sensibilità. Ci abituiamo agli annunci come se tutti avessero la stessa importanza e rischiamo la “globalizzazione dell’indifferenza”, secondo un’espressione di Papa Francesco.
  
3 -Annunciare nella Bibbia  
Forse dovremmo tornare alla Parola di Dio per cogliere il valore originale dell’annuncio. Nell’Antico Testamento l’annuncio, il kerygma, è inteso come “proclama”, o “editto”, sia orale che scritto, che va proclamato con voce alta, udibile da tutti; ha un contenuto ufficiale e religioso; è emanato da una autorità costituita, per esprimere la volontà di Dio attraverso un portavoce; deve raggiungere una intera città o tutta la popolazione di Israele. Sono numerosi gli annunci dei Profeti finalizzati a comunicare la volontà del Signore su Israele, a invitare alla conversione o alla lode e al ringraziamento per le opere compiute da Dio in favore del suo popolo oppure finalizzate a prefigurare l’avvento del Messia.
   Non mancano però anche annunci fatti a persone singole: l’annuncio della Terra Promessa e di una numerosa discendenza ad Abramo (Gen 17, 5-8), l’annuncio della nascita di Isacco a Sara (Gen 18,10) solo per citare i più conosciuti.
      Nel Nuovo Testamento  è Gesù stesso che annuncia l’avvento del Regno di Dio e invita alla conversione «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo» (Mc 1,15).
   Nei Vangeli di Luca e Matteo, i cosiddetti Vangeli dell’infanzia, il primo annuncio è quello della nascita di Giovanni Battista in Luca seguito da quello della nascita di Gesù a Maria da parte dell’Arcangelo Gabriele e nel Vangelo di Matteo l’annuncio in sogno a Giuseppe. Ai pastori l’angelo proclama: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2, 10-11).
   L’annuncio nella Sacra Scrittura segna alcune tappe della storia della salvezza, è sempre rivelatore della volontà di Dio per il suo popolo o per singoli personaggi e trasforma la vita e la persona di chi lo riceve. Così dovrebbe essere per ciascuno di noi raggiunto dall’annuncio del Vangelo che è incontro personale con Gesù: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»[21].

   A.4 -Annunciatori della gioia del Vangelo  

Il segno concreto che abbiamo davvero incontrato Gesù è la gioia che proviamo nel comunicarlo anche agli altri. È stata questa l’esperienza dei primi discepoli: dopo il primo incontro con Gesù, Andrea andò a dirlo subito a suo fratello Pietro (cfr Gv 1,40-42), e la stessa cosa fece Filippo con Natanaele (cfr Gv 1,45-46). S. Paolo ebbe a dire: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (Cor 9,16). Incontrare Gesù equivale a incontrarsi con il suo amore. Questo amore ci trasforma e ci rende capaci di trasmettere ad altri la forza che ci dona. «In qualche modo potremmo dire che dal giorno del Battesimo viene dato a ciascuno di noi un nuovo nome in aggiunta a quello che già danno mamma e papà, e questo nome è “Cristoforo”: tutti siamo “Cristofori”. Cosa significa? “Portatori di Cristo”. E’ il nome del nostro atteggiamento, un atteggiamento di portatori della gioia di Cristo, della misericordia di Cristo. Ogni cristiano è un “Cristoforo”, cioè un portatore di Cristo!»[22].
   È la testimonianza della nostra vita che deve annunciare la gioia nel servizio generoso ai fratelli, nell’accoglienza di chi si trova nel bisogno, nella dedizione alla propria famiglia, nell’impegno serio nel proprio lavoro. S Francesco soleva dire ai suoi frati: «Annunciate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole».

B – La vita chiama

“Alla fine, ciò che rimpiangeremo, sarà l’amore che non abbiamo dato”

La lezione dell’anatra
Tre giovani avevano compiuto diligentemente i loro studi alla scuola di grandi maestri.
Prima di lasciasi fecero una promessa: avrebbero percorso il mondo e si sarebbero ritrovati, dopo un anno, portando la cosa più preziosa che fossero riusciti a trovare.
Il primo non ebbe dubbi: partì alla ricerca di una gemma splendida e inestimabile. Attraversò mari e deserti, salì montagne e visitò città sinchè non l’ebbe trovata: era la più splendida gemma che avesse mai rifulso sotto il sole.
Tornò allora in patria in attesa degli amici.
Il secondo tornò poco dopo tenendo per mano una ragazza dal volto dolce ed attraente. “Ti assicuro che non c’è nulla di più prezioso di due persone che si amano” disse.
Si misero ad aspettare il terzo amico.
Molti anni passarono prima che questi arrivasse. Era infatti partito alla ricerca di Dio. Aveva consultato i più celebri maestri di tutte le contrade, ma non aveva trovato Dio. Aveva studiato e letto, ma senza trovare Dio. Aveva rinunciato a tutto, ma non aveva trovato Dio.
Un giorno, spossato per il tanto girovagare, si abbandonò nell’erba sulla riva di un lago. Incuriosito seguì le affannate manovre di un’anatra che, in mezzo ai canneti cercava i piccoli che si erano allontanati da lei. I piccoli erano numerosi e vivaci, e sino al calar del sole l’anatra cercò, nuotando senza posa tra le canne, finché non ebbe ricondotto sotto la sua ala l’ultimo dei suoi nati. Allora l’uomo sorrise e fece ritorno al paese.
Quando gli amici lo rividero, uno gli mostrò la gemma e l’altro la ragazza che era diventata sua moglie, poi pieni di attesa, gli chiesero:” E tu, che cos’hai trovato di prezioso? Qualcosa di magnifico, se hai impiegato tanti anni. Lo vediamo dal tuo sorriso … “
“Ho cercato Dio” rispose il terzo giovane. “E lo hai trovato?” chiesero i due, sbalorditi. “Ho scoperto che era Lui che cercava me”.

 Dio ti sta cercando, ma ti lascia libero di lasciarti trovare.
“Non preoccuparti, non ti chiede nulla di straordinario. Neppure il tuo denaro. Si chiede da te soltanto che, ovunque tu vada, in qualsiasi angolo tu consumi l’esistenza, possa diffondere attorno a te il buon profumo di Cristo. … Che ti impegni a vivere la vita come un dono, non come un peso”[23]

C – Attivazione

Confronto in piccolo o grande gruppo
Quando il Signore ti ha trovato e tu hai trovato Lui?
Chi è per te Dio?
Conosci un cristiano che, anche senza parlare, annuncia Dio?
Quali sono i valori cristiani più importanti che vorresti trasmettere ai tuoi figli?

Papa Francesco nella Esortazione Apostolica postsinodale ai giovani “Christus vivit” riporta l’esempio di alcuni giovani che hanno vissuto la gioia del Vangelo anche nella sofferenza (per es. la beata Chiara Badano (62) o il venerabile Marco Acutis (104-106).
Conoscete la loro storia?


Mese di MARZO
Parola da concettualizzare: ESSERE SALE E LUCE


QUINTO INCONTRO – focus: “essere sale e luce” nella propria vita, nella famiglia, nella comunità

Sviluppo della tematica:  essere risorsa discreta e accendere la speranza

A – La comprensione
Avant – propos
Suggeriamo, di avvicinare “il verbo” da concettualizzare in due momenti. Ci sembra che il “sale” e la “luce” richiamino tante riflessioni e rimandino a tanti contesti della vita recente e passata che lo sviluppo della tematica in un’unica soluzione ne diminuirebbe il significato. Solo in un momento successivo le due “immagini” troveranno la loro sintesi, aiutandoci così a comprendere il senso profondo dell’ “essere sale e luce” nella complessa realtà del terzo millennio.

“ Il sale deve avere qualcosa di sacro,
infatti si trova nel mare e nelle lacrime”
(Khalil Gibran)
A.1.1 – il valore del sale
Il sale ha costituito per millenni una risorsa preziosissima per qualunque popolo del pianeta. Oltre agli ovvi usi alimentari, come insaporire il cibo o conservarlo, il sale ha rappresentato nell’antichità una vera e propria moneta di scambio (da cui il termine salario) e una fonte di ricchezza capace di far crescere o distruggere imperi. Il sale diventò un cristallo dall’alto valore economico per moltissime culture dalla Cina preistorica fino a Roma[24]. Il sale è un elemento essenziale per la vita, ma il suo eccess può uccidere qualunque essere vivente e trasformare il terreno in una landa desolata e disabitata[25]
 Pertanto, il suo utilizzo deve essere dosato,”misurato” per non rendere i cibi troppo salati o troppo insipidi. Pur riconoscendone l’importanza, non ha una sua “visibilità”; infatti “si scioglie” e “si mescola” con gli alimenti, contribuendo in tal modo, alla loro appetibilità.

A.1.2 – il valore della luce
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
 la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60, 1)

 “Di nuovo Gesù parlò loro e disse:
                                                                                                                  “ Io sono la luce del mondo;
                                                                                           chi segue me,non camminerà nelle tenebre,  
                                                                                                 ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12)

Cercare la luce, riprodurla, ravvivarla, mantenerla, perché la sua estinzione implicava ritornare nell’oscurità, nelle tenebre, nella paura, fu attività costante dell’uomo fin dalla notte dei tempi. L’invenzione della luce elettrica ha alleggerito l’uomo dalla fatica di alimentare lampade, attizzare torce e il fuoco nei camini.
Anche nelle fiabe antiche e moderne si “combatte” contro le tenebre e le figure più o meno simboliche che le rappresentano, per ripristinare il “regno della luce”, dell’armonia, della pace. Il bambino per addormentarsi, dopo la narrazione di una fiaba, per esorcizzare il distacco dalle figure parentali, chiede che rimanga acceso “un punto luce”, scongiurando, in tal modo, le ombre della notte.
C’è una strana luce nei tuoi occhi”, si afferma, quando si vuole manifestare la luminosità e la trasparenza dei pensieri e delle azioni e sottolineare la serenità interiore della persona, riformulando il testo evangelico che identifica nell’occhio”la lampada del corpo” (Mt 6,22)

“Dio disse: - Sia la luce!- E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. “ (Gn 1,3-5)
Nella riflessione filosofica presocratica (Eraclito, VI –V sec. a.C) la vita viene concepita come lotta e opposizione inestinguibile, ma anche ordine e armonia ottenuti attraverso il gioco infinito dei contrari: il giorno e la notte, la luce e le tenebre, la vita e la morte, che si alternano seguendo il principio di proporzione immanente al fluire delle cose. Solo “gli svegli”, i saggi, cioè coloro che sanno andare al di là delle impressioni immediate, colgono l’ordine razionale delle cose. Infatti, nel passato, la luce della lampada sempre accesa era segno di saggezza e vigilanza, a dispetto della stoltezza di chi la lascia spegnersi (Mt 25, 1-13) e non è pronto a rispondere alla chiamata “(…). Leggiamo in Paolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi (5,5) “siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre”, ancora in (Lc 11,35) “bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra”.

A.2 – “Essere sale e luce” nella complessa realtà del terzo millennio

“Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano;
 ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni” (Is 42, 6)

                                                                                                      “Oggi essere rivoluzionari significa
togliere più che aggiungere,
rallentare più che accelerare,
significa dare valore
 al silenzio, al buio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.
(Franco Arminio, “Cedi la strada agli alberi”)

Come abbiamo argomentato i due elementi: sale e luce, rivestono, per l’uomo un’importanza fondamentale per la sua stessa sussistenza. Forse è per questo che quando ne troviamo i riferimenti nel Testo sacro, al di là del valore metaforico, ne riconosciamo la valenza ed il significato.
“ Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo(…) Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. (Mt 5,13- 14; 16).
Come il sale insaporisce gli alimenti, così ciascuno di noi dovrebbe dare “sapore” e senso alla propria vita prima di dare “nuovo sapore” a quella degli altri.
Benedetto XVI, nel commentare il testo dell’evangelista Matteo sopra citato,  evoca diversi valori che dovrebbero appartenere “all’uomo nuovo”quali l’alleanza, la solidarietà, la vita e la sapienza. Come un tempo, i discepoli furono chiamati a donare “nuovo sapore” al mondo, così anche a noi, oggi, viene chiesto di partecipare alla vita della comunità ecclesiale mettendo a disposizione i propri carismi, condividendo scelte e progetti, cooperando per il bene comune.
Nel contempo “essere luce” ci impegna ad accendere le speranza in chi è scoraggiato, far diradare le nubi della tristezza in chi è deluso e amareggiato, incontrare chi vive nella solitudine, sostenere chi è sfiduciato.
 Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” ( Ef 5,8-9)
Siamo ben consapevoli che lo scontro tra la luce e le tenebre è parte integrante del divenire della vita e, come sosteneva Bachelard, “c’è ombra solo dove c’è la luce”. Tuttavia, rimaniamo saldi nell’ “amore che è una scuola di volo, innesca una energia, una luce, un calore, una gioia che mette le ali a tutto ciò che fai” (Ermes Ronchi)

B – La vita chiama: Conversione
“ Il saggio mette un pizzico di zucchero in tutto quello che dice agli altri, e ascolta con un grano di sale tutto ciò che gli altri dicono” (proverbio tibetano)

Un giorno, un signore non credente incontrò un amico convertito di recente.
“ Così ti sei convertito a Cristo?”
“Sì”
“Allora devi sapere un sacco di cose su di Lui. Dimmi, in che paese è nato?”
“Non lo so”
“Quanti anni aveva quando è morto?”
“Non lo so”
“Quanti libri ha scritto?”
“Non lo so”
“Sai decisamente ben poco per essere un uomo che afferma di essersi convertito a Cristo!”
“ Hai ragione. Mi vergogno di quanto poco so di Lui. Ma quello che so è questo tre anni fa ero un ubriacone. Ero pieno di debiti. La mia famiglia cadeva a pezzi. Mia moglie e i miei figli temevano il mio ritorno a casa ogni sera. Ma ora ho smesso di bere; non abbiamo più debiti; la nostra è ora una casa felice; i miei figli attendono con ansia il mio ritorno a casa.
Tutto questo ha fatto Cristo per me. E questo è quello che so di Cristo!”

Quando Gesù entra nella nostra vita, la cambia.
Seguire Gesù significa cambiare il modo di vedere Dio, gli altri, il mondo, se stessi.
Gesù dà sapore e luce alla nostra vita. Ci cambia dentro e la vita acquista senso.

C – L’attivazione: in piccolo o grande gruppo
Quali pensieri, emozioni, domande ti suscita il racconto?
Che cosa significa per te “essere sale e luce”?

D – L’ascolto della Parola

E - Bibliografia di riferimento
Francesco Alberoni, L’arte di avere coraggio, Piemme
Erich Fromm, L’arte di amare, Mondadori


APPENDICE

Allegato n°1

Se fosse tuo figlio

Se fosse tuo figlio
Riempiresti il mare di navi
Di qualsiasi bandiera.

Vorresti che tutte insieme
a milioni
facessero da ponte
per farlo passare.

Premuroso,
non lo lasceresti mai da solo
faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi,
lo copriresti
per non farlo bagnare
dagli schizzi d’acqua salata.
Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare,
uccideresti il pescatore che non presta la barca, urleresti per chiedere aiuto,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.

Se fosse tuo figlio oggi saresti in lutto,
odieresti il mondo, odieresti i porti
pieni di navi attraccate,
odieresti chi le tiene ferme e lontane
da chi, nel frattempo
sostituisce le urla
con acqua di mare.

Se fosse tuo figlio li chiameresti
vigliacchi disumani, gli sputeresti addosso
dovrebbero fermarti, tenerti, bloccarti
vorresti spaccargli la faccia,
annegarli tutti nello stesso mare.

Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio,
puoi dormire tranquillo
e soprattutto sicuro.
Non è tuo figlio.

E’ solo un figlio dell’umanità perduta,
dell’umanità sporca, che non fa rumore.

Non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente
Non è il tuo.                                         (Sergio Guttilla, studente presso il Liceo artistico di Cefalù)
                                                                29 giugno 2018 – dedicato ai 100 morti in mare.
                                                                 Morti affogati in attesa di una nave che li salvasse.



Allegato n° 2

Abbi cura di me
Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare
Sono solo quattro accordi ed un pugno di parole
Più che perle di saggezza sono sassi di miniera
Che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera
Non cercare un senso a tutto perché tutto ha senso
Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo
Perché la natura è un libro di parole misteriose
Dove niente è più grande delle piccole cose
E’ il fiore tra l’asfalto lo spettacolo del firmamento
E’ l’orchestra delle foglie che vibrano al vento
E’ la legna che brucia che scalda e torna cenere
La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere
Perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi
E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri
Tu allora vivilo adesso come se fosse l’ultimo
E dai valore ad ogni singolo attimo
Ti immagini se cominciassimo a volare
Tra le montagne ed il mare
Dimmi dove vorresti andare
Abbracciami se avrò paura di cadere
 Che siamo in equilibrio
Sulla parola insieme
Abbi cura di me
Abbi cura di me
Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro
Basta mettersi al fianco invece di stare al centro
L’amore è l’unica strada, è l’unico motore
E’ la scintilla divina che custodisci nel cuore
Tu non cercare la felicità semmai proteggila
E’ solo luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima
E’ una manciata di semi che lasci alle spalle
Come crisalidi che diventeranno farfalle
Ognuno combatte la propria battaglia
Tu arrenditi a tutto, non giudicare chi sbaglia
Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso
Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso
Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo
Anche se sarà pesante come sollevare il mondo
E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte
E ti basta solo un passo per andare oltre
Ti immagini se cominciassimo a volare
Tra le montagne ed il mare
Dimmi dove vorresti andare
Abbracciami se avrò paura di cadere
 Che nonostante tutto
Noi siamo ancora insieme
Abbi cura di me qualunque strada sceglierai, amore
Abbi cura di me
Abbi cura di me
Che tutto è così fragile
Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino
Perché mi trema la voce come se fossi un bambino
Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare
Tu stringimi forte  e non lasciarmi andare
Abbi cura di me                                                                          (Simone Cristicchi, febbraio 2019)

Allegato n°3
Mandami qualcuno da amare


Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo,
quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare;
quando la mia croce diventa pesante,
fammi condividere la croce di un altro;
quando non ho tempo,
dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento;
quando sono umiliato, fa che io abbia qualcuno
da lodare;
quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare;
quando ho bisogno della comprensione degli altri,
dammi qualcuno che ha bisogno della mia;
quando ho bisogno che ci si occupi di me,
mandami qualcuno di cui occuparmi;
quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.
Madre Teresa di Calcutta

Allegato n°4

Preghiera
Voglio ringraziarti, Signore,
per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte
Che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza,
oso pensare, Signore,
che anche Tu abbia un’ala soltanto.
L’altra, la tieni nascosta:
forse per farmi capire
che anche Tu non vuoi volare senza di me.

Per questo mi hai dato la vita:
perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con Te.

Perché vivere non è “trascinare la vita”,
non è “strappare la vita”,
non è “rosicchiare la vita”.

Vivere è abbandonarsi come un gabbiano,
all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala,
con la fiducia di chi sa di avere nel volo
un partner grande come Te.      (don Tonino Bello, vescovo)


Allegato n°5

Quando ti chiedo di ascoltarmi
   Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli, non mi sento capito.
   Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu mi fai domande, discuti, tenti di spiegarmi quello che sento o non dovrei sentire, mi sento aggredito.
   Quando ti domando ascolto, io ti domando di essere vicino, adesso, in questo istante così fragile nel quale mi cerco attraverso una parola maldestra, inquietante, non giusta o caotica. Ho bisogno del tuo orecchio, della tua tolleranza, della tua pazienza, per esprimermi in ciò che è più difficile come in ciò che è più leggero.
   Sì, semplicemente ascoltami…senza scuse e senza accuse, senza espropriarmi della parola.
  Ascolta, ascoltami. Tutto quello che ti domando è di ascoltarmi, il più vicino possibile a me. Semplicemente accogliere quello che tento di dire, quello che cerco di dire. Non interrompermi nel mio brontolio, non aver paura del mio brancolare o del mio imprecare.
   Le mie contraddizioni come le mie accuse, per quanto ingiuste siano, sono importanti per me.
   Attraverso il tuo ascolto, io tento di dire la mia differenza, cerco di farmi capire, soprattutto da me stesso.
   Giungo così ad una parola mia, quella di cui sono stato a lungo espropriato.
   Oh no, non ho bisogno di consigli. Posso agire da me, e anche sbagliarmi. Non sono incapace: a volte indifeso, scoraggiato, esitante, non sempre impotente.
   Se tu vuoi darti da fare per me, contribuisci alla mia paura, accentui la mia inadeguatezza e, forse, rafforzi la mia dipendenza.
   Quando mi sento ascoltato, posso finalmente capirmi. Quando mi sento ascoltato, posso entrare in collegamento. Stabilire ponti, passerelle incerte tra la mia storia e le mie storie. Collegare avvenimenti, situazioni, incontri o emozioni per farne la trama delle mie interrogazioni. Per tessere così l’ascolto della mia vita.
   Sì il tuo ascolto è appassionante. Per favore, ascolta e capiscimi.
   E se vuoi parlare a tua volta, aspetta solo un momento che possa terminare e io ti ascolterò a mia volta, e meglio, soprattutto se mi sono sentito capito…                                    (Jacques Salomè)


Allegato n° 6

Ascoltami con gli occhi
Una giovane mamma, in cucina, preparava la cena con la mente totalmente concentrata su ciò che stava facendo: preparava le patatine fritte. Era sicura che i bambini avrebbero apprezzato molto: le patatine fritte erano il loro piatto preferito.
Il bambino più piccolo di quattro anni, aveva avuto un’intensa giornata alla scuola materna e raccontava alla mamma quello che aveva visto e fatto. La mamma rispondeva distrattamente con monosillabi e borbottii. Qualche istante dopo si sentì tirare per la gonna e udì: “Mamma…” La donna accennò di sì col capo e borbottò qualche parola. Sentì altri strattoni alla gonna e di nuovo: “Mamma…”. Gli rispose ancora una volta brevemente e continuò imperterrita a sbucciare le patate.
Passarono cinque minuti. Il bambino si attaccò alle gonne della mamma e tirò con tutte le sue forze. La donna fu costretta a chinarsi verso il figlio. Il bambino le prese il volto fra le manine paffute, lo portò davanti al proprio viso e disse: “Mamma, ascoltami con gli occhi!”


Allegato n° 7
Preghiera per i genitori

Mio Dio, concedimi di meglio comprendere i miei genitori e rendere loro amore per amore. Se non posso amarli come una volta, ciò vuol dire che devo amarli più fortemente;
non più come un bimbo che balbetta appena, ma come l’uomo che sa ciò che deve dire ed esprime i sentimenti del suo cuore con una parola dolce e forte.
Andrò da mio padre e da mia madre, che penano per me, e il cui lavoro finora mi è rimasto sconosciuto,
sicuro che una parola del loro figlio darà gioia ad essi, a mio padre e a mia madre che vivono solo per me…
Questa sera riprenderò con maggiore comprensione delle altre volte, la vecchia preghiera della mia infanzia:
Padre nostro, che sei nei cieli, ascolta i tuoi figlioli. Ti preghiamo per i nostri genitori.
Per mezzo loro ci hai dato tutto, rendi loro tutto il bene che ci hanno fatto.
Ci hanno dato la vita: conserva loro la salute.
Ci hanno nutrito: concedi loro il pane quotidiano.
Ci hanno vestito: che la loro anima sia sempre rivestita della tua grazia.
Dona loro sulla terra la felicità che si trova solamente nel servirti e amarti;
e fa’ che un giorno possiamo essere tutti riuniti in cielo. Così sia.
(J. Hainout, « La prière de la route »


Allegato n°8 L’arte di accompagnare: I DISCEPOLI DI EMMAUS
L’autrice, Janet Brooks-Gerloff, di origine americana, è morta in Germania nel 2008 dopo una grave malattia.

Vorremmo restare ancora un po’ nel clima del brano del vangelo che abbiamo appena ascoltato e lo facciamo attraverso un quadro poco noto, ma molto interessante perché  è denso di significati, di messaggi validi per gli uomini di ogni tempo, quindi anche per noi.
Diamo alcune chiavi di lettura per  poterlo apprezzare e gustare pienamente.
I tre personaggi sono di spalle, (noi siamo dietro di loro) ed è come se ci invitassero a seguirli, ad andare con loro per entrare in dialogo e condividerne le domande.
Le ampie vesti dei due discepoli sono nere, come il colore cupo dei loro pensieri.    
Non è difficile identificarsi in questi due discepoli, perché anche noi, a volte, camminiamo sulle strade della vita con pensieri cupi e tante domande nel cuore. Magari desiderosi che qualcuno si accosti a noi  per condividere le nostre ansie, le nostre preoccupazioni.
Geniale è l’idea della pittrice di tratteggiare solo il profilo di Gesù rendendolo trasparente, senza peso.
 Ciò ci ricorda che il nostro sguardo non riesce ad afferrare la sua nuova identità pasquale, di risorto. Infatti i discepoli sono in conversazione con lui, sicuramente lo avevano conosciuto, lo avevano sentito parlare, ma non si rendono conto che è proprio Lui, in quanto i loro occhi sono ancora “in attesa” incapaci di riconoscerlo, anche se il loro cuore si sta riscaldando.
Si noti poi, che i due occupano solo la metà sinistra della composizione, mentre il Signore che li accompagna sta al centro, costituendo così il fulcro dell’immagine: è lui infatti la Via, la Verità, la Vita!
In lontananza, sulla destra dell’orizzonte, sembra avvicinarsi un temporale… o forse una pioggia ristoratrice che farà rifiorire i deserti, …. anche quelli interiori, come se il paesaggio fosse un vero e proprio stato d’animo, in attesa di ristoro.
In questo dipinto non è rappresentato il culmine della narrazione di Luca, cioè il momento del riconoscimento del Signore, si evidenzia invece, si pone l’accento, sull’importanza del cammino, del camminare insieme.
E allora vediamo come Lui accompagna. Lo ricaviamo anche dal racconto.
Gesù si accosta, piano piano, con naturalezza, senza forzature, camminando alla pari, senza bisogno di mostrare l’etichetta o il fulgore della sua gloria, anzi chiede, si lascia istruire, ascolta, forse anche si ferma. Resta loro accanto, adattandosi al loro ritmo, al loro passo e li incontra là dove essi sono, nei loro dubbi, nelle loro delusioni e paure.
E’ bello vedere che il discepolo di sinistra, si gira verso di Lui, per ascoltare meglio, quasi avesse intuito qualcosa.

Alla successiva richiesta dei discepoli: “Resta con noi” avviene un’inversione: da ospitanti (resta con noi) essi diventano ospitati da Gesù.
E proprio in questa sua ospitalità, il Signore si rivela nel segno dello spezzare il pane, come un vero compagno, colui che è “cum panis” cioè che mangia lo stesso pane, condividendo gesti semplici, abituali, ma densi di significato.
Poi scompare: così come ogni autentico accompagnatore deve saper fare. per permettere all’altro di camminare con le sue gambe e di tornare alla sua vita, alle sue relazioni ma ….con una buona notizia da annunciare.
Questo è il frutto dell’incontro: un’esperienza pasquale, di passaggio dalla depressione del “volto triste” alla capacità di diventare annunciatori coraggiosi.
Potrebbe diventare l’ ICONA di ogni accompagnatore.



Allegato n° 9 (v. classe 2° - primo incontro – consacrare; oppure classe 4° – primo incontro: benedire)

I riti sono esercizi del cuore
Uno dei ricordi più vivi della mia infanzia, si riferisce a quando mio padre tornava a casa dal lavoro alle sei e mezzo di sera. Io e mio fratello lo sentivamo suonare il campanello più e più volte, per gioco, fino a quando uno di noi due andava ad aprirgli la porta.
Di solito, noi eravamo in cucina a fare i compiti o a guardare la televisione e lanciavamo grida di entusiasmo nel sentire quel familiare scampanellio.
Ci precipitavamo giù per le scale, spalancavamo la porta di casa e quel punto lui ci diceva: “ Beh,  come mai ci avete messo tanto?”.
Era il momento migliore della giornata quando lui tornava a casa.
C’è un altro ricordo che mi accompagnerà per sempre e si riferisce a quello che per lui era un vero rito quotidiano: la cena.
Ci accomodavamo a tavola tutti insieme e poi lui, posando una mano sul braccio della mamma, diceva: “Ma voi sapete che avete la mamma più straordinaria del mondo?”.
Era la frase che amava ripetere tutte le sere.

Allegato n° 10 (v. classe 4° - terzo incontro: dare)
Abbi grande fiducia in Dio, ma, prima, fai tutta la tua parte, perché Dio non ha altre mani che le tue

Dio solo può dare la fede; tu, però, puoi dare la tua testimonianza.
Dio solo può dare la speranza; tu, però, puoi infondere fiducia nei tuoi fratelli.
Dio solo può dare l’amore; tu, però, puoi insegnare all’altro ad amare.
Dio solo può dare la pace; tu, però, puoi seminare l’unione.
Dio solo può dare la forza; tu, però, puoi dare sostegno ad uno scoraggiato.
Dio solo è la via; tu, però, puoi indicarla agli altri.
Dio solo è la luce; tu, però, puoi farla brillare agli occhi di tutti.
Dio solo è la vita; tu, però, puoi far rinascere negli altri il desiderio di vivere.
Dio solo può fare ciò che appare impossibile; tu, però, potrai fare il possibile.
Dio solo basta a se stesso; egli, però preferisce contare su di te.
(Canto  brasiliano)

Allegato n°11 (v. classe 3° - primo incontro: ascoltare)

Dialogo familiare

Figlio: “Avete sentito quello che è successo in Siria?”
Padre : “Bah!”
Madre : “E’ abbastanza salata la minestra?”
Figlio : “E’ un problema, no?”
Padre : “Sì”
Figlio : “Allora che ne pensi?”
Padre: “Hai ragione, manca un po’ di sale”
Madre : “Eccolo tieni”
Figlio : “ E’ strano come si sia potuto arrivare a tanto”
Madre : “Quanto hai preso in matematica?”
Padre: “ Io non ho mai capito niente di matematica”.
Madre : “ Fa freddo, stasera (…)”

Un marito ascolta la moglie al massimo per 17 secondi e poi incomincia a parlare lui.
Una moglie ascolta il marito al massimo per 17secondo e poi incomincia a parlare lei.
Marito e moglie ascoltano i figli per (…)

Allegato n° 11 (v. classe 4° - quarto incontro: annunciare)

Chi è Dio?

Lo chiesi ad un saggio e mi invitò a cercare.
Lo chiesi a mia madre e mi offrì il suo affetto.
Lo chiesi a mio padre e mi offrì il suo lavoro.
Lo chiesi al vento e mi regalò una carezza.
Lo chiesi ad un gabbiano e si alzò in volo.
Lo chiesi al mare e mi insegnò il silenzio.
Lo chiesi ad un passero e cominciò a cantare.
Lo chiesi ad una nuvola e danzò con il sole.
Lo chiesi ad un albero e si coprì di fiori.
Lo chiesi ad un amico e mi invitò ad asciugare una lacrima.
Lo chiesi ad un bambino e mi invitò a giocare.
Lo chiesi al mio sposo e mi baciò teneramente.
Lo chiesi ai miei figli e mi vennero in braccio.
Lo chiesi al povero e mi regalò il suo pane.
Lo chiesi ad un vecchio e mi donò un sorriso.
Lo chiesi ad un malato e mi mostrò il dolore.
Lo chiesi alla morte e mi invitò a sperare.
Lo chiesi a Dio e si fece Bambino.. e si fece Vita

(don Tonino  e Rosaria Solarino in Diario di Famiglia ed. Elledici)

Allegato n°12
L’invito

Il signore di un castello diede una grande festa, a cui invitò tutti gli abitanti del villaggio aggrappato alle mura del maniero. Ma le cantine del nobiluomo, pur essendo generose, non avrebbero potuto soddisfare la prevedibile e robusta sete di una schiera così folta di invitati.
Il signore chiese un favore agli abitanti del villaggio: “ Metteremo al centro del cortile, dove si terrà il banchetto, un capiente barile. Ciascuno porti il vino che può e lo versi nel barile. Tutti poi vi potranno attingere e ci sarà da bere per tutti”.
Un uomo del villaggio, prima di partire per il castello, si procurò un orcio e  lo riempì di acqua, pensando: “ Un po’ d’acqua nel barile passerà inosservata (…)nessuno se ne accorgerà!”
Arrivato alla festa, versò il contenuto del suo orcio nel barile comune e poi si sedette a tavola. Quando i primi andarono ad attingere, dallo spinotto del barile uscì solo acqua.
Tutti avevano pensato allo stesso modo. E avevano portato solo acqua.

Se siamo scontenti del mondo, è perché troppi portano solo acqua.
E tutta la creazione ne soffre.



[1]  Dono e regalo non sono sinonimi. Aiutiamoci con l’etimologia:regalo deriva probabilmente dallo spagnolo “re-galo” riferito anticamente agli omaggi che i sudditi elargivano al re. Evoca l’atto volto a riconoscere un merito, a compensare un debito verso qualcuno nei confronti del quale si debba manifestare riconoscenza. Ha un valore quantitativo. Dono viene dal verbo dare, dare nel senso più pieno e profondo. Dono è anche sinonimo di qualità, dote, virtù è un gesto di affetto verso gli altri che non chiede nulla in cambio. E’ disinteressato;può valere quasi nulla da un punto materiale (da cui la dimensione qualitativa), ma contiene un ingrediente molto importante: l’amore. Il dono, a differenza del regalo, è un omaggio ai sentimenti e non alla persona.
[2] il culto del silenzio nella preghiera, nella meditazione e nella letteratura,  ha dato luogo a infinite interpretazioni, metafore, significati. Tra questi, in un mondo dove tutti vogliono esprimere opinioni e giudizi, l’arte di ascoltare, ovvero di stare in silenzio, è forse quella più difficile da mettere in pratica.
[3] L’attesa dei genitori adottivi: possiamo incontrare genitori che dopo anni di sofferenza, di attesa hanno potuto accogliere un/una figlio/a. L’adozione è l’incontro del bisogno di un bambino di essere amato da una famiglia che l’aiuti a crescere e della disponibilità di una coppia a diventare genitori di un bambino nato da altri e nato altrove.
[4] Spesso accade che già nell’attesa e nei primi anni di vita del figlio, il padre non sappia più qual è il suo ruolo. La madre è tutta rivolta alle cure per il figlio e spesso non gli lascia spazi per il suo accadimento, svalutando i timidi tentativi di prodigarsi. E’ una nuova stagione per la coppia che deve ri-direzionare “la sua bussola”. Il padre diventa, se coinvolto, il garante della stabilità e del benessere della famiglia. E’ lui che permette alla moglie – madre di prendersi cura del piccolo, di dedicargli tutto il tempo di cui ha bisogno.
[5] La paternità sociale all’interno della famiglia ha modo di manifestarsi fin dai primi mesi di vita del figlio, quando il genitore concorre gradualmente a differenziare il legame madre-bambino, inserendosi nella diade e sollecitando entrambi i soggetti a interagire con il diverso, con l’altro, un comune interlocutore capace di incidere in maniera forte sull’aumento delle relazioni. In riferimento a ciò, la paternità sociale intrafamiliare si esplica attraverso precise modalità di condotta che, tra loro intrecciate, concorrono a definire la funzione educativa del padre: il padre come divieto o limite relazionale, il padre come rappresentante dell’autorità, il padre come razionalità.
[6] 1. Individuo che sa costruire relazioni significative e durature; capacità di comprendere, in modo profondo ed articolato le problematiche esistenziali; attraversa momenti difficili nella vita e chiede attenzione, ascolto, cura, per non sentirsi solo. “Essere adulti è essere soli” (Jean Rostand, biologo e filosofo francese)
2- “Persone che hanno raggiunto un determinato e caratteristico stadio dello sviluppo psicologico e fisiologico”. Ciò significa che un individuo maturo cognitivamente e affettivamente, proprio grazie a questa maturità, impara in modo diverso ed ha differenti bisogni educazionali[6] da quelli di una persona ai primi stadi di sviluppo.
[7] Ci rendiamo conto che il tempo in cui stiamo vivendo, pur affascinante, riserva delle preoccupazioni ed è segnato da profondi ripensamenti della stessa realtà “uomo”,  “persona”.
[8] E. Erikson, Infanzia e Società, Armando editore, Roma

[10] Il rito è una forma di comportamento ripetitivo consistente in una sequenza di atti, formule linguistiche, rappresentazioni visive o oggettuali utilizzate in modo simbolico. In un’accezione più ampia il rito indica qualunque comportamento o attività formalizzata che si svolge secondo regole o procedure specificate dalla società. I riti sono strettamente connessi con la religione e la sfera del sacro: ogni rito religioso svolge la funzione di rendere tangibile e ripetibile l’esperienza religiosa
[11] secondo l’antropologo Arnold Van Gennep “accompagnano ogni modificazione di posto, di stato, di posizione sociale e di età”; si tratta dei riti che vengono celebrati, ad esempio, in occasione della nascita, della pubertà, del matrimonio o della morte, la cui funzione principale è di segnalare e di riconoscere il formarsi di nuove relazioni sociali (nuovi ruoli di responsabilità all’interno della comunità di appartenenza).. Si prenda, ad esempio, la nascita; essa dà luogo a molti riti, di separazione, di margine e di aggregazione. Il bambino deve essere innanzitutto separato dal suo mondo precedente, dalla madre tagliando il cordone ombelicale. Altri riti di separazione sono il primo bagno, il lavaggio della testa, il massaggio del neonato.
[12] I tre bisogni fondamentali  che hanno molta incidenza sulla formazione dei bambini sono: bisogno di stimoli, bisogno di riconoscimento, bisogno di struttura.
[13]… “Il bisogno di struttura ci sostiene e viene appagato  nella misura in cui riusciamo ad orientarci alla motivazione interiore, cioè siamo liberi rispetto al giudizio e alla considerazione degli altri; non nel senso che ci è indifferente, ma nel senso che riusciamo a mantenere un certo margine di autonomia per decidere seco0ndo ciò che a noi sembra giusto, in base ai valori che abbiamo scelto ed in cui crediamo” (in Raffaello Rossi, Piccoli genitori grandi figli”, pag. 100)
[14] v. differenza tra eu-stress (aspetto positivo dello stress. Una certa quantità di stress, intesa come quantità di stimoli indirizzati al nostro corpo e alla nostra mente, serve per mantenersi attivi e reattivi. Questo ci permette, infatti, di avere una vita movimentata, con successi, insuccessi e di ricercare un modo per sfogare il nostro malessere)ed di-stress (Una grande quantità di stress, cioè di stimolazioni emotivamente importanti, che arrivano al nostro organismo in un breve lasso di tempo, oppure si protraggono nel tempo, e che non trovano una valvola di sfogo, mettono a repentaglio la salute. Se non si è in grado di riposare fisicamente e mentalmente, trovando dei modi per sfogare le tensioni, lo stress diventa negativo).
[15] Ci ricorda Xavier Lacroix in Passatori di vita, saggio sulla paternità, “Il padre è colui che apre al mondo, che introduce alla realtà, che stimola la conoscenza del nuovo. Egli rappresenta la forza, lo stare saldo dinanzi all’avversità, la capacità di mantenere la rotta nonostante il vento contrario; e perciò suscita timore (per la forza che detiene) ed insieme infonde fiducia perché la sua forza è benefica. E’ anche testimone della legge perché insegna il limite, il rispetto dell’autorità, senza il quale non vi può essere passaggio, crescita, libertà”
[16] teoria della retribuzione morale (Grozio, Kant, Bettiol): secondo questa corrente esiste una esigenza radicata nella coscienza morale che il bene sia ricompensato col bene, il male col male. Poiché il delitto costituisce una violenza dell’ordine etico, è dalla stessa coscienza umana che scaturisce l’imperativo di retribuirlo con una pena.
[17] Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief il nome esteso in inglese) è una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. Ne fanno parte 18 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano con quasi 3.000 partner locali in oltre 90 nazioni per individuare soluzioni durature alla povertà e all'ingiustizia.[1]
[18] Papa Francesco, Angelus del 29/10/2017
[19] CCC 396 - 409
[20] Rm 7,19
[21] Evangelii gaudium, 1
[22] Udienza giubilare di Papa Francesco 30 gennaio 2016
[23] Don Tonino Bello vescovo, Con Cristo sulle strade del mondo - ed. San Paolo
[24] L’antica via Salaria romana, ad es. era nata con il preciso scopo di trasportare a Roma il sale estratto dalle saline dell’Adriatico
[25] v. a tale proposito v. Cartagine che nel 149 a.C. venne rasa al suolo e il terreno cosparso di sale per evitarne la rinascita; oppure il  mar Morto (Yam ha – Melah, letteralmente Mare del sale) la depressione più profonda della Terra, generatasi per millenni per effetto dell’evaporazione delle sue acque non compensate da quelle degli immissari, che è anche causa della sua notevole salinità. L’alta concentrazione di sale presente  non consente forme di vita fatta eccezione per alcuni tipi di batteri.